venerdì 22 luglio 2016

Matto da legare: Gianfranco Zigoni



Di pazzi, di personaggi votati agli eccessi, fuori dagli schemi, la storia del calcio ne ha visti passare, in più di un secolo, davvero tanti. Potremmo fare un elenco infinito di giocatori, allenatori o dirigenti che rispondano a questa descrizione. Se idealmente ci mettessimo a compilarlo, questo immaginario elenco, uno dei primi nomi ad uscire dalla penna sarebbe senza alcuna ombra di dubbio quello di Gianfranco Zigoni. Lui sì, lui era davvero matto da legare.



Gianfranco Zigoni nasce a Oderzo, provincia di Treviso, il 25 novembre del 1944, cinque mesi esatti prima della Liberazione. Viene da una famiglia di contadini, e la sua infanzia trascorre nel quartiere periferico di Quartier Marconi. Un'infanzia come tante, passata a dar calci ad un pallone insieme ai suoi coetanei. Ma quella di Gianfranco non sarà una vita come tante.

Gianfranco cresce nel Patronato Turroni, la società dell'oratorio del suo paesino, un piccolo centro di 20 mila anime, poi, all'alba dei favolosi anni Sessanta, la chiamata della vita: su di lui mette gli occhi la Juventus, abbagliata dal suo cristallino e sconfinato talento con il pallone tra i piedi. I bianconeri si assicurano le prestazioni di quell'attaccante dai colpi da giocoliere, che al pallone dà del tu. I bianconeri, però ancora non conoscono l'altra faccia della medaglia: quel talento innato cela un'inguaribile insofferenza ad ogni tipo di regola che gli viene imposta, in campo e fuori, un carattere ribelle che, negli anni, farà parlare e farà ammattire dirigenti e allenatori. E poi Gianfranco ama il calcio, sì, ma ama allo stesso modo le donne, l'alcool e le armi. No, non è vero: tutte queste cose, Gianfranco le ama ancor di più rispetto al pallone. Ma tutto ciò verrà fuori solamente negli anni a venire.

La Juventus "parcheggia" Zigoni al Pordenone, società satellite, poi, nel 1961, lo richiama alla base. L'esordio è datato 10 dicembre 1961: Gianfranco ha appena compiuto 17 anni e scende in campo con la maglia bianconera contro l'Udinese: in Friuli Nicolè regala il vantaggio alla Juve, poi una doppietta di Canella firma la vittoria dei padroni di casa. Esordio sfortunato per Zigoni, ma sarà l'intera sua prima esperienza sotto la Mole a non essere esattamente felice: "Zigo" in prima squadra gioca poco, anzi non gioca praticamente mai, in tre anni la miseria di quattro presenze condite da un gol. Gianfranco, così, cambia aria, nell'estate del '64 si trasferisce in prestito al Genoa: due stagioni, una in serie A e una in serie B, 58 presenze, 16 reti, nonostante una retrocessione e una mancata promozione "Zigo" inizia a regalare sprazzi della sua immensa classe. Quella classe che, qualche anno prima, dopo un'amichevole Juventus-Real Madrid, indusse Santamaria, difensore dei blancos, a paragonarlo a Pelè: "Sto chico è migliore del negro". Era forte Zigoni, era forte per davvero. Un giorno, dopo un Genoa-Milan terminato con il punteggio di 3-1 per il Grifone, Trapattoni fa il verso a Santamaria e sentenzia: "Quel ragazzo è meglio di O'Rei".

Era forte e sapeva di esserlo, Gianfranco, che qualche anno dopo, a chi gli chiede chi sia, secondo lui, il giocatore più forte della storia del calcio, risponde così: "Metto fuori classifica me, Pelè e Maradona, noi siamo extraterrestri". Qualche anno dopo ancora, e Zigo correggerà il tiro: "Ero il Pelè bianco, ma per avere continuità avrei anche dovuto allenarmi".

La serie B, quasi superfluo specificarlo, va troppo stretta a "Zigo", che così, nel '66, rientra alla casa madre, la Juventus: la sua seconda esperienza in bianconero sarà decisamente più fortunata e vincente della prima. Pronti via ed al primo anno è subito scudetto: Gianfranco ci mette la firma con 8 reti in 23 presenze. Il titolo rimarrà l'unico della sua carriera, ma non per questo l'Italia del pallone smetterà di parlare di Zigoni. Anzi.

Nelle tre stagioni successive Zigoni manterrà un buon rendimento: il quadrienno bianconero si chiuderà con 94 presenze e 25 reti. C'è anche l'esordio in nazionale: la sua prima e unica presenza arriva nelle qualificazioni agli Europei del 1968 (vittoria 1-0 in Romania). Ma in azzurro i Ct chiedono impegno, abnegazione, rispetto delle regole: tutte cose che non fanno per Gianfranco. Già in questi anni torinesi, infatti, Zigoni evidenzia chiari sintomi di quella lucida follia che lo avrebbe reso celebre negli anni successivi. Per esempio, non riesce mai a superare le 23 presenze a campionato. La causa? Le ripetute squalifiche, nella gran parte dei casi per le sue "intemperanze" nei confronti degli arbitri. "Li odiavo", dichiarerà qualche anno dopo la fine della sua carriera: c'è una volta in cui si becca sei giornate perchè invita un guardalinee a infilarsi la bandierina...beh, sì, proprio là. Zigoni, poi, è il più classico dei "capelloni" che spopolano negli anni Sessanta: questo, in una società come la Juventus, dove anche l'immagine è estremamente importante, non viene visto di buon occhio. La sua chioma diventa oggetto di un vero e proprio braccio di ferro con Gianni Agnelli, con quest'ultimo che ne esce vincitore. "Ma mi sono pentito di aver ceduto", ammetterà anche qui a fine carriera "Zigo".

Nel 1970 Gianfranco cambia ancora e migra a Roma, sponda giallorossa, dove lo attende Helenio Herrera: 48 presenze, 12 gol, poi ancora le valigie in mano. Quello che Zigoni firma nel '72 con l'Hellas Verona non è un contratto come gli altri: è quello che segnerà la sua carriera, quello che lo legherà indissolubilmente ai colori gialloblù e alla città di Romeo e Giulietta. A Verona, l'Italia del pallone ammirerà per sei anni Gianfranco Zigoni in tutto il suo immenso talento, così come nelle sue folli stranezze. E' a Verona che "Zigo" diventerà il simbolo di chi si vuole ribellare ai potenti, di chi non vuole seguire le regole dettate dal conformismo. E' un decennio di ribellione, in Italia e non solo, Zigoni ne diventerà un'emblema. A 28 anni Zigoni dà il là alla parentesi più splendente e folle della sua carriera.

Zigoni incanta in campo: segna meno rispetto agli anni precedenti, ma ogni suo tocco è una gioia per gli occhi. Il Bentegodi pende dai suoi piedi. In sei stagioni "Zigo" scende in campo con la casacca gialloblù per 139 volte segnando 33 reti. Rimane a Verona dal '72 al '78, nel mezzo una retrocessione per illecito sportivo (il cosiddetto "Scandalo della telefonata", ma questa è un'altra storia) e una repentina risalita dalla serie B. E poi la leggendaria "Fatal Verona", quando l'Hellas, battendo per 5-3 il Milan, consegna lo scudetto alla Juventus. E' il 20 maggio del '73, "Zigo" è protagonista nelle vesti di assist-man. In campo Gianfranco dà spettacolo, è vero, ma è fuori dal rettangolo verde che il ragazzo di Oderzo fa ripetutamente scalpore. Con tutti gli episodi bizzarri di cui "Zigo" si rende protagonista si potrebbe scrivere un libro (e in realtà proprio lo stesso Gianfranco lo scriverà a quattro mani con l'amico e collega Ezio Vendrame nel 2002, si intitolerà "Dio Zigo pensaci tu").


C'è quella volta in cui Valcareggi, tecnico scaligero, lo esclude dai titolari, e lui per tutta risposta si presenta in panchina con pelliccia e cappello da cowboy. Quella pelliccia con cui era solito farsi vedere in città negli anni Settanta, con annessa pistola infilata nella cintura. Sì, perchè come abbiamo detto, una delle passioni di Gianfranco sono le armi: durante i ritiri è solito passare il tempo tra un allenamento e l'altro cercando di colpire tutti i lampioni a portata di tiro: che personaggio, Quei ritiri in cui tutta la squadra tranne Zigo è tenuta a presentarsi in campo alle 8. E quando qualcuno prova a protestare Valcareggi risponde: "Quando avrai due piedi come quelli di Gianfranco, potrai dormire fino a tardi. Che personaggio "Zigo", che grattacapi per il povero Valcareggi. E poi il whisky ("Per fare una carriera migliore avrei dovuto rinunciare a parecchie bevute con gli amici, ma non ne valeva la pena"), le sigarette ("Ne fumavo 40 al giorno"), le donne, le ore piccole, la auto veloci: "Una volta uscii di strada con la mia Porsche e mi finsi morto: quando Maddè e Costa, che erano dietro di me, arrivarono a controllare come stavo, sorrisi all'improvviso e feci l'occhiolino. Per poco non schiattarono".

Zigoni non ama allenarsi, ma quando scende in campo è uno spettacolo.


Il Bentegodi si innamora di lui, e l'amore è totalmente corrisposto. Per credere, basta leggere questa dichiarazione, ripetuta dallo stesso Zigoni in più di un'intervista: "Sognavo di morire sul campo, con la maglia del Verona addosso, mi immaginavo i titoloni dei giornali e la raccolta firme per cambiare il nome dello stadio: da Bentegodi a Gianfranco Zigoni. La radio avrebbe gracchiato: "Scusa Ameri, intervengo dallo Zigoni di Verona"".

Gli anni migliori, calcisticamente, per Zigoni sono quelli di Verona: nel 1978, a 34 anni, Gianfranco saluta il suo popolo e scende in B con il Brescia. Due anni,  40 presenze e 4 reti. Nella seconda di queste due annate Zigoni non segna, ma il Brescia viene promosso. Quando si incontrano Brescia e Verona, Zigo si rifiuta di scendere in campo: perchè lui è un ribelle, sì, ma un ribelle con un cuore.

Zigo avrebbe l'occasione di restare in B, Gigi Simoni lo vuole al Genoa: ma questo calcio non è più il suo, Gianfranco non si riconosce più in un mondo malato, nel quale lo scandalo del Totonero sta dilagando. Per lui il calcio è ancora un gioco, quindi sceglie di scendere tra i dilettanti: Opitergina in serie D e Interregionale, Piavon in Terza e Seconda Categoria. Zigoni appende le scarpette al chiodo nel 1987, a 43 anni: nell'ultima gara giocata in Seconda Categoria mette a segno 4 reti, la sua squadra vince 5-4.

Una volta abbandonato il calcio giocato Zigoni si è dedicato ai più piccoli, ricoprendo il ruolo di allenatore delle giovanili in diverse società dilettantistiche della sua zona: e chissà come si sarà comportato, Zigo, cercando di domare qualche ragazzino un po' ribelle e indisciplinato, lui che è stato uno dei concentrati di follia, anticonformismo e istinto ribelle più incredibili della storia del calcio italiano.

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foto it.wikipedia.org (1-2-3), www.calcio-giocato.com

1 commento:

  1. Non ho idea di quanto fosse forte perché non l'ho mai visto giocare. Ma tutti ne hanno sempre parlato un gran bene. E comunque le cose più belle sono l'umanità e la simpatica follia che quest'uomo trasuda. Un calcio d'altri tempi, lontano anni luce da quello giocato oggi da suo figlio Gianmarco. Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti (cit)

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