venerdì 5 agosto 2016

L'undici del mio cuore


Questi che troverete di seguito non sono i giocatori più grandi della storia del calcio, nè i più vincenti. E nemmeno quelli più forti che io abbia avuto la fortuna di ammirare. Questi sono semplicemente gli undici giocatori che più di tutti gli altri mi hanno preso il cuore: questa è la formazione ideale del mio cuore. Una formazione a tinte granata, ma che volete, al cuor non si comanda, no?

LUCA BUCCI


 E' il 14 ottobre del 2001, al Delle Alpi si gioca il derby tra Toro e Juventus. La Juventus ha vinto 3-0 il primo tempo, il Toro ha vinto per 3-0 il secondo, il totale fa 3-3, è una partita pazzesca, al di là di ogni logica. Al minuto 88 c'è Salas sul dischetto: è rigore per i bianconeri, la rimonta granata può diventare vana. Il cileno calcia alle stelle, il portiere del Toro si tuffa dalla parte opposta, ma appena vede la sfera finire in cielo scatta in aria come un grillo, corre, urla, abbraccia i suoi compagni. Poi rivolge lo sguardo verso i suoi tifosi: occhi cattivi, spiritati, occhi di chi ha ripreso un derby in una maniera leggendaria e non vuole lasciarselo scappare. Quel portiere è Luca Bucci. Non era un gran Toro, quello che mi diede il benvenuto nel meraviglioso mondo del pallone a cavallo tra i due millenni, ma aveva un gran portiere, un portiere con un cuore grande così. Come lui, dopo di lui, se ne sono visti pochi, a Torino sponda granata.

KAMIL GLIK


Se n'è andato, Kamil, ma s'è portato via un pezzetto di cuore di ogni tifoso granata. Era il nostro capitano nella notte di Bilbao, era il nostro capitano nel primo derby vinto dopo quasi vent'anni di astinenza, è stato il nostro capitano negli ultimi tre anni, è stato colui che ha letto, ogni 4 maggio, i nomi degli Invincibili caduti a Superga. Impossibile, per un tifoso del Toro, non innamorarsi calcisticamente di un giocatore come lui: grinta e cuore, ogni goccia di sudore spremuta sul campo, sempre. Impossibile non innamorarsene, impossibile non soffrire in quest'estate che lo ha portato lontano da Torino.

ALESSANDRO NESTA



Un difensore con la tecnica e l'eleganza di un trequartista. Sfortunato con la maglia della nazionale, ma che giocatore è stato Sandro negli anni d'oro con le maglie di Lazio e Milan. Per me, il più forte difensore centrale che io abbia avuto la fortuna di veder giocare: quando stava bene, era un muro vero e proprio. Con l'aggiunta di uno stile impareggiabile.

PAOLO MALDINI

A completare la difesa del mio cuore un altro campionissimo. Ho definito Nesta come il miglior centrale che io abbia visto giocare, Paolino invece è stato il miglior difensore. Centrale, terzino, libero, sapeva fare tutto, e tutto a livelli di eccellenza. E poi la longevità, il carisma anche fuori dal campo, l'attaccamento ad una sola maglia per l'intera carriera: ho sempre ammirato il Paolo Maldini uomo, tanto quanto il calciatore.

ANTONINO ASTA

Ad arare la fascia destra, nell'ideale centrocampo a cinque schierato nel mio cuore, c'è lui, Tonino Asta da Alcamo, un altro dei capitani granata della storia recente. Erano anni bui, di retrocessioni, di serie B, quando andava bene di salvezze acciuffate nelle ultime giornate, ma il suo moto perpetuo sulla fascia sapeva ugualmente esaltare. E poi, era il capitano del 3-3 contro la Juve: la sua esultanza dopo aver conquistato il rigore dal quale sarebbe scaturito il 3-2 è un manifesto della grinta. Quell'anno, Trapattoni gli regalò anche la gioia dell'esordio in nazionale.

GENNARO IVAN GATTUSO



A proposito di grinta. Colui che mi ha fatto innamorare di una certa maniera di vedere e vivere il calcio, colui che mi ha insegnato ad essere spontaneo, "vero", a non mollare mai, a credere sempre negli obiettivi, anche quando il destino sembra non essere d'accordo. Uno che ha saputo esaltare una tifoseria dal palato fino come quella del Milan pur avendo due ferri da stiro al posto dei piedi, uno che dentro ha e ha sempre avuto qualcosa di speciale.

ANDREA PIRLO


Va bene ammirare la grinta, va bene amare i medianacci di rottura, ma se sei italiano, se sei malato di calcio, sei nato negli anni Novanta e per di più, come me, nella vita hai provato a fare il centrocampista, amare Andrea Pirlo è una conseguenza praticamente scontata. Il Regista con la R maiuscola: lanci di cinquanta metri eseguiti con una disarmante naturalezza, visione a 360° (alzi la mano chi, vedendolo giocare, non ha pensato almeno una volta "Ehi, ma questo ha gli occhi anche sulla nuca!"), invenzioni geniali, eleganza, freddezza in ogni situazione. Poesia applicata al calcio.

STEVEN GERRARD


La "macchina" da calcio più completa che io abbia mai visto su un campo. Impressionante con la maglia del Liverpool nella seconda metà dello scorso decennio, sapeva fare tutto, ma proprio tutto: difendere, contrastare, dribblare, impostare, segnare. Gli manca solamente una partita in porta, forse. Uomo squadra d'altri tempi, anche lui innamorato di un solo colore. E questo, per me, è sempre stato motivo sufficiente per ammirare un calciatore. A maggior ragione quando si parla di un calciatore immenso come Stevie G.

FABIO GROSSO



A solcare la fascia sinistra un giocatore che mi ha regalato alcune tra le più forti emozioni calcistiche della mia vita, tutte concentrate all'inizio del luglio 2006, tutte concentrate in due partite, le ultime due del Mondiale tedesco. Vedere la propria nazione vincere un Mondiale, per un calciofilo inguaribile, è una gioia che ha pochi paragoni: se ho avuto la fortuna di viverla, una buona fetta di merito va a Fabio Grosso.

RONALDINHO



Non ho mai apprezzato particolarmente i giocatori dediti a numeri da circo, frizzi, lazzi e giochetti vari. Ronaldinho è l'eccezione. Che spettacolo vederlo negli anni ruggenti di Barcellona. Mentre Messi scaldava i motori, era Dinho la stella più lucente dei blaugrana: uno dei pochi giocatori in grado di vincere letteralmente le partite da solo, in quegli anni. La fotografia più nitida che ho in mente? Il gol di punta al Chelsea, in una gara di Champions giocata a Stamford Bridge, dopo un balletto a prendersi gioco dei difensori avversari, completamente irretiti.

MARCO FERRANTE



125 gol con la maglia del Toro. Centoventicinque. Tanti segnati in serie B, ma chi se ne importa. Marco è stato il primo bomber granata a farmi innamorare, il primo di cui mi feci regalare la maglia. E poi quell'esultanza, ah, quell'esultanza. Una delle cose che più mi fanno innervosire? Quando qualcuno mi dice "Ah, sì, l'esultanza di Maresca". No. Tacete. Quella è l'esultanza di Marco Ferrante.

Non è stato facile ridurre 25 anni di calcio a 11 giocatori: sono stati tanti quelli in grado di farmi emozionare, gioire, esaltare, da quando la malattia mi ha contagiato fino ad oggi. Dalla cernita sono usciti questi undici nomi: questa è la squadra del mio cuore.

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