sabato 27 agosto 2016
La sfortuna di essere De Rossi
E così, Daniele De Rossi ne ha combinata un'altra delle sue. Un'altra espulsione, la quattordicesima in carriera, un'altra follia, un altro fiume di polemiche. E questa volta, Daniele l'ha fatta proprio grossa. Già, perchè senza quell'espulsione, senza quella folle entrata a ottanta metri dalla sua porta, senza quel piede a martello, la Roma, la sua Roma, quella sera avrebbe avuto qualche chance di raddrizzare la partita contro il Porto e staccare il passa che valeva la Champions League. Senza quello che quella sera era il suo capitano, invece, la Roma s'è sciolta come neve sotto il sole.
Daniele De Rossi è così. E' un grande, grandissimo giocatore, tra i centrocampisti italiani della sua generazione, probabilmente, secondo solamente ad Andrea Pirlo. Ma al contrario del bresciano, Daniele è un sanguigno. Pirlo è la freddezza, De Rossi l'ardore, Pirlo è la lucidità, De Rossi l'istinto. Quell'istinto che, di tanto in tanto nel corso della carriera di Daniele, è diventato incontrollato ed incontrollabile e ha originato lampi di follia.
Come quella sera a Kaisersalutern, nel giugno del 2006, quando con la maglia dell'Italia Daniele stampa in faccia a McBride il suo gomito. Cartellino rosso, De Rossi tornerà solamente nella finale di Berlino. O come quando nel novembre del 2012, questa volta con la maglia della Roma, De Rossi colpisce il laziale Mauri con un pugno, durante un derby infuocato.
Daniele De Rossi è così, lo è sempre stato, al punto che spesso, troppo spesso, queste sue malefatte hanno finito per oscurare il grande giocatore che è stato e che tuttora è. Eppure, per noi, uno come Daniele De Rossi rimane il lato bello del calcio di oggi. Sì, lo diciamo e lo ribadiamo anche adesso, dopo la sua ennesima follia. Daniele De Rossi rimane il lato bello del calcio di oggi perchè è un innamorato: innamorato della maglia che indossa, innamorato di Roma e della Roma, innamorato di questo sport. Daniele De Rossi è un ragazzo che in campo butta sempre tutto, ma proprio tutto quello che ha. A volte ci mette pure troppo, e finisce male come l'altra sera contro il Porto. Noi non riusciamo a vederci cattiveria in quell'entrata. E' solo istinto, un istinto che ti dice che te la devi andare a prendere ad ogni costo, quella palla, un istinto che ti dice che se riesci a recuperare quella palla, la tua squadra e la tua città avranno qualche piccola possibilità in più di prendersi la Champions League. E lui, Daniele, la sua città e la sua squadra in Champions League ce le voleva vedere ad ogni costo. Non era cattiveria, era solo troppo amore, verso la sua città, la sua squadra, la sua maglia. Perchè Daniele non è altro che un tifoso della Roma che ha realizzato il sogno di giocare nella sua squadra del cuore.
Noi non riusciamo proprio a non voler bene ad uno come Daniele, uno che è nato e cresciuto in una città e in una squadra scegliendo di rimanerci per tutta la vita, nonostante negli anni in tanti abbiano provato a portarselo via offrendo soldi, tanti soldi, e trofei garantiti. C'erano tante squadre in cui Daniele avrebbe potuto guadagnare e vincere di più, ma tutte avevano un grandissimo difetto: non erano la Roma. Questo, a Daniele, è sempre bastato per dire no. Si potrebbe obiettare dicendo che De Rossi è sì rimasto a Roma a vita, ma anche grazie a continui ritocchi dell'ingaggio verso l'alto. Sarà pur vero, ma resta il fatto che in giro per l'Europa Daniele avrebbe potuto riempirsi le tasche ancor di più, oltre alla bacheca, ma ha scelto di non farlo. Nel calcio di oggi, De Rossi è un caso più unico che raro. E questo, sia chiaro, non vuol essere un attacco alla moralità di chi, nella sua carriera, prende decisioni diverse, solo una constatazione del fatto che di storie come quella di Daniele, oggi, quasi non se ne vedono più.
E un giocatore così, un ragazzo che si lega alla stessa maglia e alla sua città per la vita intera, per noi è qualcosa di bello, uno dei pochi lati romantici rimasti nel calcio di oggi. Nonostante qualche gomito un po' troppo alto, nonostante qualche entrata un po' troppo in ritardo.
E allora noi vogliamo difenderlo Daniele, perchè in troppi si dimenticano di lui, ricordandosene solo quando è il momento di criticarlo. Lo vogliamo difendere, perchè Daniele, nella sua avventura da calciatore professionista, è stato penalizzato due grandi sfortune: innamorarsi della Roma e diventarne una bandiera durante il regno infinito di Francesco Totti, nascere in Italia e fare il centrocampista durante la scintillante epopea di Andrea Pirlo. Per scrollartele di dosso, quelle ombre, devi cercare il fuoco dentro di te. Ma il fuoco è incontrollabile, e a volte può sorprenderti, può prendere il sopravvento, come è successo durante la partita contro il Porto. Ombre ingombranti, ombre dalle quali Daniele troppo spesso è riuscito a uscire solamente a causa dei suoi lampi di follia.
Ma Daniele è di più: è un sanguigno, è uno di quei giocatori, quei rari giocatori, per cui la maglia ancora rappresenta qualcosa di importante. E oltretutto è un anche un grandissimo giocatore.
E oggi c'è tanto bisogno di giocatori come Daniele.
[A.D.] - liberopallone.blogspot.it - Riproduzione Riservata
foto www.inliberta.it
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