lunedì 29 agosto 2016
Andrea Belotti: testa, cuore, gambe
Se dovessimo idealmente e grossolanamente dividere i calciatori per categorie, ne individueremmo principalmente due. Ci sono quelli nati con il "dono", quelli cui madre natura ha concesso la fortuna di doti innate racchiuse nei piedi (o, a volte, anche solo in uno dei due). I predestinati, insomma, quelli che nella vita non potrebbero fare altro che i calciatori. E poi ci sono quelli che invece, per arrivare a fare questo mestiere dei sogni, hanno dovuto sudare, fare sacrifici, lavorare, lavorare e ancora lavorare. I primi sono nati con destino già scritto, i secondi, invece, hanno dovuto costruirselo giorno dopo giorno. Andrea Belotti, senza dubbio, appartiene alla seconda delle categorie che abbiamo delineato.
Già, perchè la strada di Andrea Belotti, oggi osannato come il nuovo campioncino del pallone italiano, convocato in nazionale e capocannoniere della serie A, in passato ha rischiato di subìre brusche deviazioni, deviazioni che avrebbero condotto Andrea ben lontano dal sogno di diventare un calciatore. Il riferimento va al secco "no" che un Andrea poco più che bambino si sentì dire dai dirigenti dell'Atalanta dopo un provino. Andrea era sgraziato, aveva un gran fisico sì, ma tecnicamente era grezzo, i dirigenti della Dea decisero di non puntare su di lui. E chissà che penseranno, oggi, quegli stessi dirigenti.
Ma Andrea, che ancora non era il Gallo, quel sogno se lo voleva conquistare a tutti i costi, nonostante il destino non lo avesse baciato con due piedi vellutati ed un talento innato. Dopo altri provini, altra fatica e altro sudore, ecco la chance giusta: a dire "sì" è l'Albinoleffe. Ma la strada verso il grande calcio sarà ancora lunga, fatta, manco a dirlo, di lavoro, sacrificio, di fatica e sudore. Perchè per chi, come Andrea, non è un predestinato, la strada verso il successo è tutta in salita.
Una strada che, dopo qualche apparizione in B (otto, con due gol nel 2011-2012), parte dalla vecchia C1, che ora chiamano Prima Divisione: nel 2012-2013, con l'Albinoleffe, 31 presenze, 12 reti. Andrea lavora, sgomita, e finisce per guadagnarsi lo step successivo della sua scalata al grande calcio. Uno step che si chiama Palermo: in B 24 presenze, dieci gol. Andrea suda e cresce, inizia ad affinare quella tecnica di base che per molti rappresenta il suo punto debole. E il lavoro paga, soprattutto se ci si mettono dentro cattiveria, voglia di emergere, fame: e ad Andrea non manca nessuno di questi elementi.
Quella fame che porta Andrea in Serie A: nel 2014-2015 38 presenze, quasi tutte da subentrato, e 6 reti, sempre con la maglia del Palermo. Nell'estate del 2015 ecco la chiamata del Torino. E' un altro salto in avanti, ma la strada per arrivare a sfondare è ancora lunga: serve altro lavoro, serve altra fatica, serve altro sudore. Sì perchè i primi mesi in granata, per Andrea, che non è un predestinato, sono tutt'altro che positivi. Sono mesi difficili, in cui la scalata verso il successo di Belotti, che nel frattempo sì, è diventato il Gallo, sembra subìre una brusca battuta d'arresto.
A Torino in molti faticano a comprendere come sia stato possibile spendere 8 milioni di euro per lui: il Belotti delle prime uscite in granata è un giocatore impacciato, potente, sì, ma troppo sgraziato, e la tecnica, poi, è quella che è. Le prime gare di Andrea con il Toro sono fatte di stop banali puntualmente sbagliati, stacchi completamente fuori tempo e diversi gol sbagliati. Ma a Torino ci sono due persone che continuano a credere in lui: la prima è Giampiero Ventura, che lo ha voluto fortemente e che, quasi un anno dopo, gli regalerà la gioia della convocazione in nazionale. La seconda, bè. la seconda è Belotti stesso. Andrea non si arrende, lavora per limare i suoi difetti, si allena sempre ai mille all'ora, così com'è necessario se non sei un predestinato ma vuoi ugualmente fare il calciatore. Il Gallo non si perde d'animo, cerca di rendersi utile anche quando il gol non arriva: pressa, sgomita, rincorre ogni avversario, insomma, si sobbarca il lavoro sporco che si addice ai mediani, con la differenza che lui sulle spalle porta il numero 9 e di mestiere fa il centravanti. Belotti sa che con il lavoro, con il sudore e la fatica, oltre che con l'aiuto di un maestro come Giampiero Ventura, alla fine la notte passerà: il Gallo lo sa, serve solo un po' di pazienza, poi tornerà il sereno.
E il sereno arriva in una fredda sera di novembre, quella del 28: il Torino gioca in casa contro il Bologna: al minuto 75', quando il punteggio è fermo sullo 0-0, il Gallo stoppa con il petto (o con il braccio? Poco importa) un lancio dalle retrovie, brucia Maietta e fulmina Mirante col sinistro. E la mano va subito lì, sulla fronte, a mimare il gesto del Gallo che tanto gli era mancato: Belotti si è sbloccato, e non si fermerà più. Esattamente nove mesi dopo, ancora in casa, ancora contro il Bologna, Belotti mette a segno una devastante tripletta e sale in cima alla classifica dei marcatori della Serie A. Nel mezzo altri 12 gol che ne fanno il più prolifico attaccante italiano nell'anno solare 2016, oltre alla convocazione in nazionale e ad una crescita impressionante quanto costante.
Il Gallo, per usare una metafora decisamente abusata in questi giorni, ha alzato la cresta, e l'ha alzata definitivamente. Belotti il suo destino se l'è scritto da solo: Belotti non è nato calciatore, ma lo è diventato con il lavoro e l'abnegazione. Oggi il Gallo è sulla bocca di tutti, è l'attaccante del momento, è considerato da molti il centravanti azzurro del futuro. Ma non è stato facile, per lui, arrivare fin qui. Sono serviti anni di allenamenti, ore ed ore sul campo a cercare di limare i difetti ed esaltare le qualità: perchè lui non è un predestinato, non è stato baciato dal talento concesso solo ai grandissimi, ma tra i grandissimi ci vuole arrivare ugualmente. Andrea Belotti è l'esempio vivente di come il lavoro, alla lunga, paghi sempre: quell'attaccante che un anno fa sembrava sgraziato, scoordinato e grezzo, oggi è il centravanti più in forma della Serie A e si candida ad una maglia da titolare in nazionale. La tecnica è stata affinata, il fisico possente è diventato straripante, incontenibile per tanti difensori, i movimenti, sconclusionati e confusionari fino ad un anno fa, sono diventati quelli giusti, quelli letali, quelli da centravanti consumato. E poi ci sono la grinta, la generosità, la voglia di lottare su ogni pallone: quelle non se n'erano mai andate, nemmeno nei momenti più bui.
Ora il Gallo è diventato grande, ma non è stato facile.
Sono servite testa, cuore e gambe.
[A.D.] - liberopallone.blogspot.it - Riproduzione Riservata
foto nell'ordine www.gazzetta.it, www.spaziomilan.it, www.notizie.it, www.toronews.net
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