Sarà Giampiero Ventura il successore
di Antonio Conte sulla panchina della nazionale azzurra. Una scelta
per certi versi in controtendenza rispetto ai Ct che lo hanno
preceduto. Ventura, infatti, non ha il plamarès di Sacchi o di
Lippi, e nemmeno un passato glorioso come calciatore, come Conte o
Donadoni. Ma lui, il tecnico genovese reduce da cinque anni alla
guida del Toro, per l'Italia può essere l'uomo giusto al posto
giusto: l'allenatore ideale per svecchiare la nazionale. Avete capito
bene, Giampiero Ventura, nato il 14 gennaio 1948, 68 anni appena
compiuti, può essere il nome giusto per dare una ventata di
freschezza al nostro calcio.
Giampiero Ventura, come abbiamo detto,
non è mai stato un grande calciatore. Le giovanili alla Sampdoria,
senza mai trovare la soddisfazione dell'esordio in prima squadra, poi
tanta serie D. Il giovane Giampiero, che nella sua “prima vita”
calcistica fa il centrocampista, gioca per una stagione nella
Sestrese, prima di trasferirsi a Enna e rimanerci per quattro anni,
dal '70 al '74. Ma il richiamo della sua Liguria è troppo forte,
così, proprio nel '74, Ventura si riavvicina a casa, alla Sanremese.
Nel '76 l'ultima avventura con gli scarpini bullonati ai piedi: due
stagioni alla Novese, poi, nel '78, Ventura dice “basta”, dando
inizio alla sua “seconda vita” calcistica. Gli inizi sono nella
squadra del cuore, la Sampdoria, dove Ventura prima guida le
giovanili, poi ricopre il ruolo di vice allenatore in prima squadra.
Poi un lungo, lunghissimo peregrinare in giro per l'Italia, iniziato
nel 1980. Ventura gira lo stivale in lungo in largo, da nord a sud e
da est a ovest: dall'Albenga al Giarre, dalla Pistoiese allo Spezia,
passando per Venezia e Lecce. Fino ai primi anni '90, però, la
carriera del Ventura allenatore sembra ripercorrere le orme di quella
del Ventura giocatore: tanta serie D, qualche puntata in C, pochi
squilli. Una carriera come tante, insomma. Qualcuno potrebbe quasi
definirla anonima.
La svolta arriva a Lecce: dal '95 al
'97 Ventura ottiene due promozioni consecutive portando i pugliesi
dalla C1 alla serie A. L'Italia conosce Ventura, il quale alla soglia
dei 50 anni respira per la prima volta l'aria della massima serie.
Arriva tardi, il ligure, ma si capisce che non è un allenatore
qualunque: ha idee chiare, idee che porta avanti contro tutto e
tutti, con le parole e con i fatti. Per lui, l'idea di calcio che le
sue squadre devono proporre viene prima di tutto, anche del
risultato. E forse proprio questa cocciutaggine, a volte, ha limitato
l'ascesa di Ventura in un calcio dove il risultato è tanto, quasi
tutto. La carriera del tecnico ligure prosegue tra alti e bassi,
senza particolari picchi: Cagliari, Sampdoria, Udinese, Napoli,
Messina e Verona le sue squadre fino al 2007. Ma il meglio deve
ancora venire.
Nella stagione 2007-2008 Ventura è
alla guida del Pisa in serie B: i nerazzurri propongono un 4-2-4
spettacolare, Cerci e Castillo, in campo, fanno impazzire le difese
di mezza Italia. Non basterà per raggiungere la massima serie, solo
sfiorata, ma la stagione dei toscani non passerà inosservata. Per
Ventura, infatti, a distanza di poco più di un anno arriva la
chiamata del Bari, in serie A. Con i Galletti, Ventura si guadagnerà
l'appellativo di “Mister Libidine”: “Alleno per libidine”,
afferma un giorno il ligure durante una conferenza stampa. Poche
parole che la dicono lunga sulla filosofia e sul modo di intendere il
calcio del neo Ct azzurro. Il risultato è una conseguenza, non
l'obiettivo primario. La squadra non deve mai rinunciare a proporre
il proprio gioco: il risultato, poi, verrà da sé.
E il suo Bari è davvero da libidine:
50 punti nel 2009-2010, record nella storia dei pugliesi in serie A.
L'anno dopo arriveranno le dimissioni, il Bari retrocederà, ma
l'importantissima pagina di storia scritta da Ventura con i
biancorossi, quella rimarrà.
Arriviamo quindi all'ultimo capitolo
della carriera del tecnico ligure, probabilmente il più importante.
Ventura si accorda con il Torino nel 2011. Ci rimarrà per cinque
anni: cinque anni indimenticabili per Ventura stesso, ma anche per la
società e per i tifosi granata. La promozione in A, il ritorno in
Europa, il titolo di capocannoniere per Immobile, che a Torino
mancava dai tempi di Pulici e Graziani, serate storiche come quella
di Bilbao, la fine del digiuno nel derby con la Juventus, che durava
da quasi vent'anni, tantissimi giovani lanciati nel “calcio che
conta”.
Proprio quest'ultimo aspetto ci riporta
all'inizio del pezzo. La capacità di Ventura di lanciare i giovani.
Citiamo solamente i più recenti: Andrea Ranocchia, Leonardo Bonucci,
Angelo Ogbonna, Alessio Cerci, Ciro Immobile, Matteo Darmian, Bruno
Peres, Nikola Maksimovic. Giocatori affermati, tutti con un fattore
in comune, quello di aver conosciuto con Giampiero Ventura la loro
esplosione. Qualcuno, vedi Ranocchia, vedi Cerci, una volta salutato
il neo Ct azzurro ha conosciuto tremende involuzioni, testimonianza
ulteriore della straordinaria capacità di Ventura di trarre il
meglio dai propri giocatori.
Soprattutto per questo motivo vien da
dire che sì, Giampiero Ventura è il tecnico giusto, al posto giusto
e nel momento giusto. Qualcuno solleva perplessità sul suo
curriculum internazionale, sulla sua inesperienza nel gestire i
campioni. Ma, fatta eccezione per il totem Buffon e per pochi altri,
è difficile che Ventura si ritroverà a dover gestire dei veri
fuoriclasse, durante la sua esperienza alla guida dell'Italia:
sconfortante da dire per una nazione che un tempo sfornava “top
players” a ripetizione, ma tant'è. Per l'Italia sono anni di
ricostruzione, l'eccessiva gratitudine verso la generazione degli
“eroi” del 2006 ha lasciato macerie, vedi le ultime due
esperienze mondiali, intervallate dall'illusorio Europeo del 2012. I
campioni del passato hanno ormai imboccato il viale del tramonto,
lasciandoci orfani di eredi veri e propri. Se i campioni non ci sono,
allora bisognerà plasmarli, spremendo il meglio dal materiale umano
a disposizione. La penuria tecnica della nostra odierna nazionale ci
costringe a puntare sui giovani: in questo, Ventura è un maestro, e
i suoi ultimi dieci anni di carriera sono lì a dimostrarlo. Sono
stati anni confusi, quelli appena trascorsi, per il pallone italiano.
Servono idee chiare e il coraggio di metterle in pratica. Anche in
questo, non poteva esserci scelta migliore: Ventura ha spesso diviso
le piazze in cui ha allenato proprio per questo motivo. Crede, crede
fermamente, al limite della testardaggine, nelle proprie idee. Anche
quando i risultati tardano a dargli ragione, anche quando i tifosi
invocano a gran voce un cambio di modulo o l'impiego di giocatori
diversi, Ventura continua per la sua strada. E alla lunga, molto
spesso, ha ragione lui. Dicevano che Cerci non si sarebbe mai
adattato al 3-5-2, dicevano che Darmian era inadatto alla serie A,
dicevano che Immobile non si sarebbe più ripetuto dopo l'exploit di
Pescara. Come sono andate le cose, poi, lo sanno tutti. Ventura non è
stato a sentire, ma ha insistito sulle proprie idee. Ed ha vinto.
Non ha vinto tutto come Lippi, non ha
rivoluzionato il mondo del pallone come Sacchi, ma Ventura, a modo
suo, è un degno erede dei Ct del passato. Grandi, grandissimi
allenatori, negli ultimi anni, hanno ammesso di studiare schemi e
metodi di allenamento di Ventura: lo ha fatto Ancelotti, lo ha fatto
Guardiola, lo ha fatto lo stesso Conte. Vi bastano come sponsor?
Ventura è il Ct giusto, al momento giusto.
[A.D.] http://liberopallone.blogspot.it/ - Riproduzione Riservata
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