Una storia che risale a due anni fa. Storia vecchia? No, perchè i tifosi del Toro, e non solo loro, questa storia non la dimenticheranno mai, per mille motivi.
Per chi tifa Torino, gli ultimi venti
sono stati anni bui. Stagioni difficili, sempre in bilico tra
campionati di serie B e anonime partecipazioni alla massima serie. E'
dura tifare Torino per le giovani leve, figuriamoci per i granata più
anziani. Dev'essere un colpo al cuore aver vivo dentro di sé il
ricordo di Pulici e Graziani e doversi accontentare di Ventola e
Bjelanovic oppure di Inacio Pià e Mario Salgado. Deve far
tremendamente male pensare agli anni in cui il Torino era il Toro e
lottava per lo scudetto, per poi aprire gli occhi e rendersi conto
che la realtà è maledettamente diversa.
Ne hanno dovute sopportare di disgrazie
i tifosi granata. Ad inizio anni '90 Vazquez, Casagrande e compagni
eliminavano il Real Madrid, ebbene sì, proprio i futuri Galacticos,
dalla Coppa Uefa. Da lì in poi una Coppa Italia vinta in finale
contro la Roma, poi il buio. Una lenta ed inesorabile discesa verso
il baratro. Discesa via via più repentina, che diventerà
irreversibile quando le redini del Torino Calcio finiranno in mano a
Francesco Cimminelli. E' l'estate del 2000 quando quest'imprenditore
calabrese preleva la società granata dal genovese Massimo Vidulich:
i tifosi ancora non lo sanno, ma Cimminelli sarà il vero e proprio
giustiziere del Toro, colui che gli darà il colpo di grazia
definitivo. Il 26 giugno 2005 il Torino batte il Perugia nella doppia
finale playoff e conquista la promozione in serie A: i tifosi si
riversano in strada, la gioia è incontenibile, Torino quella notte
si tinge di granata. Sembra poter essere l'inizio di una rinascita,
la squadra è ottima e può contare su giocatori validi anche nella
massima serie: c'è un giovane Andrea Mantovani, c'è Federico
Balzaretti, c'è il funambolico brasiliano Andrè Luciano da Silva
Pinga, c'è un attaccante di razza come Massimo Marazzina, c'è anche
Fabio Quagliarella. Le premesse per fare bene anche in serie A ci
sono tutte. Quella squadra, però, nella massima serie non ci
giocherà mai. Già nei giorni immediatamente successivi alla
promozione la gioia e i sogni di gloria lasciano spazio alle
perplessità, ai dubbi, al terrore vero e proprio. La società ha
accumulato montagne di debiti nelle passate gestioni, compresa
l'ultima di Cimminelli, l'iscrizione alla serie A viene negata. Sono
quaranta giorni di agonia per il popolo granata, ma i vari ricorsi
non fruttano alcun esito, la fideiussione necessaria a garantire la
copertura dei debiti con l'erario non arriva: il 9 agosto 2005 il
Torino Calcio non esiste più.
Alla lunga serie di disgrazie, non solo
sportive, che i tifosi granata hanno dovuto sopportare e superare si
aggiunge l'onta del fallimento. Lunga serie, si, perchè il Toro ha
riservato drammi ad ogni generazione di tifosi. Nel 1949 il popolo
granata pianse la scomparsa del Grande Toro, tutt'ora considerata una
delle squadre più forti di tutti i tempi, nella tragedia di Superga.
Correva poi il 1967 quando a perdere la vita fu Gigi Meroni, giovane
stella che conobbe la morte in una sera di ottobre, investito da
un'automobile guidata, ironia del destino, da quell'Attilio Romero
che avrebbe poi occupato la poltrona di presidente del Toro durante
la sciagurata gestione Cimminelli. Poco meno di dieci anni dopo una
terribile malattia si portò via Giorgio Ferrini, capitano di mille
battaglie e recordman di presenze col granata addosso. Tantissimi poi
i dispiaceri sportivi che il Toro ha dato ai suoi fedeli sostenitori,
soprattutto nell'ultimo ventennio: dalla sconfitta nello spareggio
promozione contro il Perugia nel 1998 all'interminabile astinenza di
vittorie nel derby, dalle retrocessioni alle tristi stagioni
trascorse nell'anonimato di metà classifica in serie B.
Ma in quell'agosto 2005, tutto sembra
finito. Niente più partite, niente più vittorie, niente più
sconfitte. Niente più Toro. I tifosi vivono un incubo e si
mobilitano per salvarlo, il loro Toro. Sono settimane concitate, una
cordata di imprenditori, i cosiddetti “lodisti”, fa rinascere una
nuova società professionistica cui, grazie al Lodo Petrucci, vengono
trasferiti titolo e meriti sportivi. Ma le risorse finanziarie non ci
sono, serve qualcuno che, come si dice, “cacci il grano”. I
tifosi acclamano a gran voce Urbano Cairo, imprenditore alessandrino.
Si fa avanti anche il laziale Luca Giovannone, che viene però
letteralmente cacciato coi forconi dal popolo granata. E' il 2
settembre 2005 quando finalmente tutti i dubbi vengono sciolti:
Urbano Cairo è il nuovo presidente del Torino, che si iscrive al
campionato di serie B 2005-06. Il Toro vivrà ancora.
Sembra poter essere l'inizio di
qualcosa di bello, il primo passo verso il ritorno del Toro ai fasti
che furono. L'avvento di Cairo porta nell'ambiente granata un
entusiasmo enorme, entusiasmo che porta la banda di De Biasi, una
squadra assemblata in fretta e furia in una settimana di settembre, a
conquistare al primo tentativo il salto in serie A. Sembra una
favola, il Toro sta tornando. Sembra, perchè gli anni successivi si
rivelano poi un tantino diversi da quelli che i tifosi sognavano.
Niente rinascita, il Toro nelle stagioni che seguono torna ad essere
il torello a cui i tifosi sono tristemente abituati. Qualche stagione
in serie A con la salvezza presa per i capelli, una nuova
retrocessione e poi nuove, squallide ed anonime stagioni in serie B.
Nel 2010-2011 il Torino chiude 8°, fallendo anche l'obiettivo
playoff: una delle peggiori stagioni nella storia granata,
l'entusiasmo e le speranze di quel settembre 2005 sembrano lontani
anni luce.
Poi, in quell'estate 2011, la prima
piccola svolta. Urbano Cairo, dopo anni di scelte sbagliate e
scellerate (vedi Alvaro Recoba, in granata controfigura del
campionissimo che fu, vedi i vari Stefano Fiore, Giuseppe Pancaro ed
Eugenio Corini, tutti ottimi giocatori arrivati a Torino con troppi
anni di ritardo) affida la panchina del Toro a Giampiero Ventura. Un
allenatore vero, un uomo che vive di calcio, uno che ha fatto la
gavetta, non come i vari Inzaghi e Seedorf, sbattuti su una panchina
di serie A con gli scarpini da giocatore ancora addosso. Non il
massimo della simpatia, magari, ma un Allenatore con la A maiuscola,
di quelli che lasciano un'impronta profonda nelle squadre che
guidano. Il Toro con Ventura centra la serie A, questa volta senza
passare dai playoff. Il 4-2-4 venturiano funziona, i granata sono
superati in classifica solo dal magico Pescara di Zeman, ma poco
importa, la massima serie è conquistata, e questa volta il Toro
vuole tenersela stretta. Per la verità, però, la stagione 2012-2013
non è poi così diversa dalle ultime disputate dal Toro in serie A.
I granata vivacchiano, raccolgono punticini qua e là senza
particolari squilli, perdono entrambi i derby e conquistano la
salvezza solo nelle ultime giornate. Un solo giocatore riesce ad
infiammare, a sprazzi, gli animi della Maratona: parliamo di Alessio
Cerci, fedelissimo di Ventura arrivato in prestito dalla Fiorentina.
Cerci arriva con l'etichetta di bad boy, di piantagrane, il classico
giocatore che non riesce a trovare il giusto equilibrio tra genio e
sregolatezza. A volerlo fortemente è però appunto Ventura: con il
tecnico genovese Cerci ha un feeling particolare, e ai suoi ordini ha
disputato la sua miglior stagione in carriera, con la casacca del
Pisa nel 2007-08. Cerci, dicevamo, regala fiammate che accendono la
Maratona: il coast to coast contro il Siena in casa, lo splendido
sinistro a giro all'Artemio Franchi di Firenze. Sono però solo
piccoli assaggi di ciò che avverrà l'anno dopo. Nell'estate 2013 a
Torino arriva anche Ciro Immobile. Il campano non deve per la verità
fare molta strada, dato che arriva dai cugini bianconeri, dalla
Vecchia Signora, da quella squadra che ogni tifoso granata fa fatica
persino a pronunciare. L'accoglienza riservata a Immobile non è
quindi delle più calde: chi arriva dall'altra sponda del Po deve
impegnarsi il doppio degli altri per conquistarsi l'affetto della
Maratona. Se si aggiunge che Immobile arriva da una stagione
deludente con la maglia del Genoa, l'impresa che attende il campano
classe '90 non è delle più facili. E' qui però che arriva la
seconda svolta per il Toro, dopo quella di due estati prima
rappresentata dall'approdo di Ventura sotto la Mole. Nell'estate 2013
si compone la coppia Cerci-Immobile: Ciro arriva in comproprietà,
Alessio viene riscattato dalla Fiorentina. Ciro e Alessio, i due
ragazzi che torneranno a far sognare la curva Maratona: già, perchè
chi si aspetta il solito anonimo campionato, la solita salvezza
acciuffata in dirittura d'arrivo, quest'anno si sbaglia.
Ventura cambia, sorprende tutti
abbandonando il suo marchio di fabbrica, il 4-2-4, e adotta un 3-5-2
atipico, con Cerci sempre defilato sulla destra pronto a spaccare le
difese con le sue progressioni per poi liberare il sinistro. E'
proprio in questo modo che arriva il gol che chiude la pratica
Sassuolo al Comunale, alla prima giornata di campionato: segna
Brighi, Alessio mette in cassaforte i tre punti con il definitivo
2-0. E la Maratona sogna. I risultati, nelle prime giornata, sono
altalenanti, ma il gioco non manca mai. Alla terza giornata il Milan
viene dominato in lungo e in largo, ma riesce a raggiungere
fortunosamente il 2-2 nel finale: il Toro era avanti 2-0 fino ad un
quarto d'ora dal termine, con la seconda rete segnata ancora da Cerci
dopo uno splendido duetto con Immobile. Sono le prove generali della
fantastica intesa che verrà a distanze di poche settimane. La prima
rete in granata, per Immobile, arriva a Marassi, contro la Samp: la
prima firma di una lunga serie. Al Comunale di Torino trema anche
l'Inter: finisce 3-3, Ciro va ancora a segno dopo che Alessio in
apertura ha sbagliato un rigore. La coppia d'oro granata va a segno
insieme anche nel 3-3 di Livorno: l'intesa cresce, Ventura gongola,
la Maratona sogna. All'undicesima di campionato, il Toro è la prima
squadra a bloccare la Roma di Garcia, fin lì una macchina perfetta:
al Comunale finisce 1-1, segna Alessio. E' a fine novembre che
l'intesa tra Cerci e Immobile inizia a dare frutti eccezionali. Il
Toro inizia a fare sul serio, la colonna sinistra della classifica
non è più solo un'utopia: certo, non è il più eccezionale dei
traguardi, ma fidatevi, dopo vent'anni d'inferno può bastare per
sognare. Qualcuno, sottovoce, inizia a parlare di Europa League.
Intanto Alessio e Ciro girano che è una meraviglia: la salvezza, per
una volta, non sarà acciuffata faticosamente nelle ultime giornate.
Immobile timbra anche a San Siro contro il Milan, dopo che il Toro ha
fatto un sol boccone delle canoniche concorrenti per la permanenza in
A: Catania, Chievo, Sassuolo, Verona.
Non mancano gli incidenti di
percorso, vedi i KO interni con Bologna e Samp, ma il Toro ha Ciro e
Alessio, e quei due fanno paura a tutti. Immobile ne rifila tre al
malcapitato Livorno, che a Torino cade 3-1, poi segna un meraviglioso
quanto inutile gol all'Olimpico di Roma: Florenzi darà i tre punti
ai giallorossi, ma la bellezza del sinistro al volo del bomber
campano rimarrà a lungo negli occhi dei tifosi, così come la data
13 aprile 2014 resterà impresso nella memoria collettiva del popolo
granata. Quel giorno, al minuto 89 di Toro-Genoa, i rossoblù sono
avanti 1-0 al Comunale, a pochi minuti dal colpo esterno. Ma quei due
ragazzi terribili che il Toro ha in attacco non ci stanno. Al 92'
Ciro sigla il pareggio con uno splendido destro a giro. Già questo
basterebbe per mandare in delirio la Maratona. Ma non è finita: al
minuto 93, Alessio prende palla a metà campo, resiste alla carica di
due avversari e giunto al limite dell'area spedisce la palla
all'incrocio dei pali. In due minuti, Ciro e Alessio hanno ribaltato
il Genoa: la Maratona e lo stadio tutto vengono letteralmente giù.
E' l'apoteosi, la consacrazione per Cerci e Immobile che ora sono i
re di Torino sponda granata.
Si scomodano paragoni fino a poco tempo
prima impensabili e quasi blasfemi: Cerci e Immobile come Pulici e
Graziani, i leggendari Gemelli del gol protagonisti dello scudetto
'76. Ma ora siamo nel 2014, lo scudetto del Toro si chiama Europa
League, e ormai tutti ci credono. I granata battono anche Udinese e
Chievo ed arrivano a giocarsi la qualificazione all'ultima giornata:
a contendere il posto in Europa alla truppa di Ventura c'è il Parma
di Donadoni, altra sorpresa del campionato. Il Toro va in trasferta a
Firenze, i ducali attendono il Livorno. Il Parma liquida la pratica
amaranto vincendo 2-0, mentre all'ultimo minuto dell'ultima partita
del campionato il Toro sta pareggiando 2-2 al Franchi. Con questi
risultati, Parma in Europa League e sogno svanito per i granata. Ma
in quel momento, all'ultimo minuto dell'ultima partita del
campionato, Alessio Cerci è sul dischetto, e sta per battere il
calcio di rigore che potrebbe mandare in Paradiso il popolo torinista
dopo anni d'inferno. Questa però non è una favola, questa è la
cruda realtà. Alessio sbaglia, tira male, troppo male per essere
vero, Rosati para, finisce 2-2. Il sogno è svanito, per i tifosi
granata un classico e drammatico epilogo da Toro. Il Parma gioisce,
Alessio piange, e con lui tutto il popolo del Toro giunto in massa in
riva all'Arno: tutti volevano esserci, nessuno voleva mancare
l'appuntamento con la storia. Un finale paradossale, con una squadra
condannata dall'errore di quello che era stato fino a quel momento il
suo miglior giocatore. Il Toro si consola con il titolo di
capocannoniere conquistato da Ciro Immobile con 22 reti: era dai
tempi di Ciccio Graziani che un granata non si issava sul trono dei
bomber. Le reti del campano, insieme alle 13 del gemello laziale,
fanno di Cerci e Immobile la coppia più prolifica della serie A,
meglio anche di Llorente e Tevez.
Tutto finito? Ancora no. Ancora una
volta il treno della storia del Toro esce dai binari della normalità:
un copione non nuovo per i granata. I tribunali tornano protagonisti,
come in quell'angosciante estate 2005. Questa volta però, le notizie
sono buone: al Parma viene negata la licenza Uefa a causa di un
mancato pagamento Irpef dell'importo di circa 300.000 euro. A nulla
servono i mille ricorsi del presidente Ghirardi, il posto in Europa
League viene revocato ai ducali ed assegnato al Toro di Ventura. Dopo
un ventennio passato a calcare i campi di Castellammare di Stabia,
Gubbio e Cittadella, le maglie granata varcheranno di nuovo i confini
italiani.
Nell'estate 2014 sia Ciro che Alessio
lasciano Torino, provocando reazioni contrastanti all'interno della
tifoseria. Restano però incancellabili il ricordo e le emozioni
vissute dal popolo granata grazie alle magie di questa coppia nella
stagione 2013-2014. Restano i gol, restano i colpi di classe, restano
le straripanti esultanze della Maratona. Resta, ad Alessio e Ciro, il
merito di aver trascinato il Torino fuori da quel triste anonimato in
cui era piombato nell'ultimo ventennio, il merito di aver preso il
Torino ed averlo fatto ritornare il Toro. Non hanno vinto coppe, Ciro e Alessio, non hanno vinto scudetti. Ma hanno permesso ad un popolo depresso di tornare a sognare, ad esaltarsi, ad esibire fieri, a testa alta, i loro colori: e questo, sotto la Mole, vale forse quanto uno scudetto. E senza di loro? Bè, il
Toro se la caverà. Il Toro se la cava sempre. Il popolo del Toro si
rialza sempre. Perchè forte non è chi non cade mai, ma chi sa
rialzarsi dopo ogni caduta.
In bocca al lupo Ciro, in bocca al lupo
Alessio.
[A.D.] http://liberopallone.blogspot.it/ - Riproduzione Riservata
Nessun commento:
Posta un commento