martedì 31 maggio 2016

Allegri, l'eroe normale



E' il 15 luglio del 2014: dopo tre anni di trionfi, Antonio Conte rassegna le proprie dimissioni dall'incarico di allenatore della Juventus. Ventiquattr'ore dopo, la società bianconera ufficializza il nome del suo successore: sarà Massimiliano Allegri. A Torino si rischia la rivolta popolare.
Per i tifosi di Madama, Allegri è il nemico, è l'allenatore del Milan, quello delle polemiche dopo il celebre gol (o meglio, non gol) di Sulley Muntari. L'accoglienza, per il tecnico livornese, è da incubo, con gran parte della tifoseria che saluta il suo arrivo a Vinovo al grido di "Noi Allegri non lo vogliamo", proseguendo con "Rossonero pezzo di m....", per concludere poi con "Allegri uomo di m....". Un bell'ambientino tranquillo nel quale lavorare, insomma. Attacchi personali, attacchi rivolti all'Allegri uomo, ma a essere messe in discussione sono anche le stesse qualità di allenatore del livornese. I tifosi bianconeri arrivano da tre stagioni fantastiche vissute con Antonio Conte al timone.





Antonio Conte, il cuore bianconero, che in bianconero ha vinto tutto da giocatore, tornato sotto la Mole per guidare la Signora verso la definitiva rinascita dopo l'incubo Calciopoli. Antonio Conte, la grinta, la cattiveria agonistica e la fame mescolate insieme e inserite in un solo allenatore. Un motivatore, un leone in allenamento e in partita, un "martello", come tanti amano chiamarlo. Proprio la grinta, la carica che Conte trasmette ai suoi recitano un ruolo fondamentale nella rinascita juventina: in tre anni il tecnico pugliese si prende tre scudetti consecutivi (il primo chiudendo da imbattuto, il terzo abbattendo il record di punti, scalando quota 100 e fermandosi a 102). Per i tifosi bianconeri, dopo tre anni così, l'arrivo di Max Allegri è un passo indietro, e in tanti non fanno nulla per nascondere la loro opinione, lanciando anche hashtag come #noallegri, che spopolano sul web. Eppure, il curriculum del livornese non è dei più poveri: c'è uno scudetto vinto al primo tentativo con il Milan, ce n'è un altro sfumato a poche giornate dal termine, quello del gol di Muntari. C'è un buonissimo score in Champions League, competizione nella quale "acciughina", come lo chiamano con tono dispregiativo i suoi nuovi tifosi, ha sempre superato la fase a gironi. Ma tant'è, dell'ex allenatore del Milan, all'ombra delle Alpi, sembrano davvero non volerne sapere.



Ora facciamo un salto in avanti di due anni. Molte cose sono cambiate. Allegri ora è un eroe per tutto il popolo bianconero. Allegri ha conquistato altri due scudetti, il primo dominando in lungo e in largo il campionato, il secondo dopo un'entusiasmante rimonta ai danni del Napoli, dopo una partenza horror, dopo aver perso in estate tre colonne come Pirlo, Vidal e Tevez. Allegri è riuscito laddove Conte aveva fallito, conquistando una finale di Champions League, poi persa contro un Barcellona stellare. La Juve è tornata a ruggire anche in Europa, lo ha fatto anche quest'anno, con i quarti sfumati a pochi secondi dall'impresa contro la corazzata Bayern, e lo ha fatto con Allegri in panchina. Proprio lui, quell'uomo accolto al grido di "uomo di m...." appena due estati prima.

Come ha fatto, il vecchio Max, a conquistare tutti? Come ha fatto a trasformare gli insulti in applausi, come ha fatto a diventare idolo per persone che fino a due anni prima lo vedevano come il nemico giurato? La risposta è semplice: Allegri ci è riuscito con la normalità. In un calcio sempre più show, sempre più mediatico, in un calcio in cui calciatori ed allenatori sono sempre più personaggi, Allegri ha conquistato un popolo intero, un popolo numeroso come quello bianconero, con la sua straordinaria normalità. Straordinaria normalità: sembra un ossimoro, eppure è proprio così. Allegri, caratterialmente, è quanto di più lontano ci possa essere da Antonio Conte: non lo vedrete mai scomporsi e fare salti mortali in panchina (o meglio, quasi mai, vedi Carpi-Juventus di quest'anno), non lo vedrete mai aizzare il popolo dello Stadium come usava fare il pugliese. Conte in panchina appariva come un leone in gabbia: erano anche i suoi urlacci, il suo continuo gesticolare, a caricare i suoi da bordo campo. Non è il tipo, Max, lui preferisce il profilo basso, quello del lavoro, quel lavoro che, passo dopo passo, lo ha portato dalla panchina dell'Aglianese (serie C2, stagione 2003-2004) a quella della società più titolata d'Italia. Una scalata percorsa senza mai alzare la voce, senza fare acrobazie in panchina, solo con la normalità. Quella normalità e quell'intelligenza che lo hanno portato ad incassare gli insulti senza battere ciglio, nei giorni del suo arrivo a Torino. Lo accusavano di aver cacciato Pirlo dal Milan, lui ha risposto facendo del bresciano un pilastro della sua prima Juve. Lo accusavano di saper giocare solamente con il trequartista, lui, che di trequartisti veri, in rosa, non ne aveva, ha risposto proseguendo intelligentemente sulla strada tracciata da Conte, senza vergognarsi di riproporre in alcune occasioni anche il 3-5-2 dell'allenatore che sarebbe poi diventato Ct della Nazionale. Gli chiedevano un gioco più "europeo", ha risposto centrando la finale di Champions League eliminando niente meno che il Real Madrid. Gli hanno portato via tre stelle come Pirlo, Vidal e Tevez, lui senza fiatare ha confezionato un capolavoro, realizzando una delle più grandi rimonte che il nostro campionato ricordi. Lo accusavano di scarsa personalità, di scarso carisma nel gestire i campioni, ha risposto tirando fuori il meglio da giovani in rampa di lancio come Pogba, come Dybala, oltre che rispolverando vecchi leoni come Barzagli e Buffon, quest'ultimo reduce probabilmente da una delle annate migliori della carriera: non facile a 38 anni, non facile quando ti chiami Gigi Buffon, sei il miglior portiere italiano di tutti i tempi e di annate grigie ne hai avute davvero poche. Il tutto in silenzio, lavorando giorno dopo giorno, senza mai alzare la voce in conferenza stampa, senza il bisogno di creare quel clima da "o con me o contro di me" tanto caro a Conte. Conte sguazzava nelle polemiche, Allegri le evita: due modi diametralmente opposti di vivere il calcio moderno e di interpretare il ruolo di allenatore. Modi diversi, ma ugualmente vincenti.

Già, perchè questo è il grande merito di Max Allegri: aver dimostrato che si può essere vincenti, pur essendo uomini normali.

Ora tutti i tifosi bianconeri lo sanno: c'è vita dopo Conte.

[A.D.] http://liberopallone.blogspot.it/ - Riproduzione Riservata

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