Ospitaletto è un tranquillo comune
della provincia bresciana, poco più di 14 mila anime a circa 10
chilometri di pianura dal capoluogo. Nacque come “Hospitium”,
come luogo di ristoro per viandanti e viaggiatori intorno al VII-VIII
secolo dopo Cristo. Un centro di passaggio, insomma, un paesello che
nei secoli si sarebbe poi trasformato in un borgo agricolo, e poi
ancora in un polo dell'industria metalmeccanica. Reims, invece, è
una grande città francese, quasi 200 mila abitanti nel dipartimento
della Marna, regione di Grand Est, nella zona nord-orientale
dell'Esagono.Una città ricchissima di storia, un centro che Giulio
Cesare scelse come capitale della Gallia: è qui che dal 987 al 1825
vennero incoronati quasi tutti i Re di Francia. Si iniziò con il
conte di Parigi Ugo Capeto, capostipite della dinastia dei Capetingi,
per arrivare a Carlo X. Tra Ospitaletto e Reims corrono quasi 1000
chilometri di strada e i due centri, lo si può notare fin da questi
brevi cenni di storia, non hanno apparentemente nulla in comune: da
una parte un piccolo paesello, luogo di passaggio rimasto fin dalle
sue origini alla periferia della storia, dall'altra una grande città
che alla storia ha fatto spesso da palcoscenico, ospitandone passaggi
chiave. Eppure c'è un piccolo filo rosso che lega Ospitaletto a
Reims e viceversa. Un filo rosso che parla di calcio, di champagne,
di vittorie leggendarie e disfatte clamorose.
E' il 1987 quando in Serie C2 si mette
in evidenza un giovane allenatore. La sua squadra, l'Ospitaletto,
colpisce sì per i risultati – che la porteranno al salto in C1 –
ma in particolar modo per il gioco. Un gioco tutto votato
all'attacco, divertente, veloce, dinamico, un gioco così
spumeggiante da meritarsi l'appellativo di “calcio champagne”,
espressione nata (anche) dal mestiere originario dell'allenatore di
quella squadra, che prima di diventare un tecnico professionista
lavorava come rappresentante alla Veuve Clicquot Ponsardin, azienda
produttrice, per l'appunto, di champagne. Nella stagione successiva
il presidente Gino Corioni decide di comprarsi il Bologna e di
portare con sé quell'allenatore che aveva stupito per la
brillantezza del gioco che aveva saputo dare all'Ospitaletto: Gigi
Maifredi, nell'estate del 1987, diventa così il nuovo tecnico
rossoblù. E i risultati rispettano in pieno le aspettative di
Corioni, dei tifosi e di un po' tutto il movimento calcio italiano,
che identifica ormai in Maifredi il profeta del calcio champagne: in
tre stagioni arrivano prima la promozione in Serie A, poi una
brillante salvezza, ed infine la qualificazione per la Coppa Uefa.
Maifredi è sulla cresta dell'onda, oltre che sui taccuini delle big:
se lo prende la Juventus, che lo sceglie come successore di Dino Zoff
nell'estate del 1990. Ma l'ascesa di Maifredi, sotto la Mole,
s'interrompe bruscamente: la Juventus guidata dall'ex tecnico del
Bologna finisce addirittura in settima posizione, mancando la
qualificazione europea dopo ben 28 anni consecutivi di presenza fissa
nelle Coppe. Niente calcio champagne, niente vittorie, l'incantesimo
del mago Maifredi ha esaurito i suoi effetti e non tornerà a
sprigionarne mai più: è l'inizio della parabola discendente di un
allenatore che sembrava promettere tantissimo, che però non ha
saputo mantenere. Ancora oggi, però, se in Italia si pronunciano le
due paroline “magiche”, “calcio champagne”, il pensiero di
molti corre, spesso con un pizzico di sarcasmo, a quella Juventus, a
quel Maifredi che seppe entusiasmare solo per pochissimi anni. Si
pensa a quella fallimentare stagione, anche se a dire la verità a
Torino, in quella stagione, di calcio champagne se ne vide
decisamente poco.
Non è ad Ospitaletto, nemmeno a
Bologna, né tantomeno nella Torino bianconera, che nacque
quell'espressione ormai entrata nel glossario del nostro pallone: non
fu Maifredi a dare vita per primo al calcio champagne, che vide
invece la luce ben prima degli anni '80.
E' qui che la nostra storia si sposta a
Reims, è qui che il nastro del tempo si riavvolge di circa
trent'anni. E' qui, nel luogo in cui lo champagne, quello vero, viene
esportato in tutto il mondo, che per davvero nasce il calcio
champagne, il cui padre ha un nome e un cognome: si chiama Albert
Batteux, è nato proprio a Reims nel 1919, figlio di un ferroviere,
cresciuto insieme a 13 fratelli, nella squadra della sua città
natale ha giocato come centrocampista per tutta la carriera, dal 1939
al 1952, vincendo una Coppa nazionale e un Campionato. Un buon
giocatore, un onesto mestierante con l'intelligenza tattica come
qualità migliore, che al momento di appendere gli scarpini al
proverbiale chiodo avrà messo insieme 169 presenze con lo Stade de
Reims e 8 “caps” con la nazionale: non male in un tempo in cui i
calendari non erano fitti come oggi e in una carriera spezzata in due
dal secondo conflitto mondiale. Ma fu nel 1950 che Batteux smise di
essere una semplice comparsa e passò a vestire i panni di vero e
proprio protagonista del panorama del calcio europeo. Proprio dopo la
conquista della Coppa nazionale i vertici dello Stade Reims gli
proposero di assumere la carica di giocatore-allenatore: legato alla
squadra, ai colori e alla città com'era, la risposta possibile era
una, e una soltanto. Si sdoppiò per due stagioni, poi, nel 1952, un
grave infortunio lo costrinse a chiudere col calcio giocato: era
tempo di dedicarsi anima e corpo al suo ruolo di allenatore, fu
l'inizio dell'epopea più scintillante nella storia dello Stade de
Reims.
Batteux guidò la squadra della sua
città fino al 1963 facendo incetta di vittorie: 6 campionati
francesi, il primo nel '53, una Coppa di Francia, 3 Supercoppe di
Francia, una Coppa Latina alzata al cielo dopo aver sconfitto in
finale il Milan della mitica linea d'attacco Gre-No-Li. Mancò
l'alloro europeo, ma di mezzo c'era un Real Madrid troppo forte,
quello di Puskas e Di Stefano, che per due volte, nel '56 e nel '59,
respinse i francesi in finale. Due sconfitte che non scalfirono e non
scalfiscono tutt'ora la grandezza di una squadra, quella guidata da
Batteux, che seppe entusiasmare non solo per i risultati ottenuti –
risultati che mai più sarebbero stati ottenuti nella storia della
società – ma anche, e soprattutto, per il gioco che sapeva
esprimere sul campo. E qui si ritorna, a livelli decisamente più
prestigiosi, agli aggettivi utilizzati per l'Ospitaletto di Gigi
Maifredi: lo Stade de Reims di Batteux era una squadra divertente,
frizzante, spumeggiante, in cui la prima e unica priorità era
attaccare. Concetti lontani anni luce dal gioco prettamente fisico in
voga in Francia fino ad allora. Attaccare, sempre e comunque, con
quanti più uomini possibile, prediligendo il gioco corto e il
fraseggio in velocità nello stretto: nelle giornate di grazia quello
Stade de Reims era una gioia per gli occhi degli spettatori, una
tortura per le squadre avversarie. Merito anche di una preparazione
atletica specifica e massacrante cui venivano sottoposti i giocatori
durante il pre-campionato, in un'epoca in cui le conoscenze
scientifiche nel campo erano molto ridotte, in cui, insomma, spesso
si procedeva per sperimentazione: i metodi di Batteux prevedevano
dieci giorni di esercizi di forza, resistenza e velocità, di
intensità e difficoltà progressive, in sedute che secondo le
leggende duravano anche dall'alba al tramonto. Il “seminario”, lo
chiamava Batteux, per questo soprannominato da molti giocatori “Il
predicatore”. Perchè per esprimere al meglio le loro qualità
tecniche, sosteneva Batteux, i giocatori dovevano essere in
condizioni fisiche eccellenti.
La tecnica, infatti, in quella squadra
già c'era: c'erano giocatori splendidi come Raymond Kopa, tra i
migliori interpreti e icona vera e propria del calcio-champagne, Just
Fontaine e Roger Piantoni, a Batteux il compito di trovare la ricetta
giusta per far rendere al meglio tutti gli ingredienti. Compito
svolto alla perfezione: lo testimoniano i risultati, lo
testimoniavano le bocche spalancate sulle tribune degli stadi di
tutta la Francia. Quando giocava lo Stade de Reims, c'era da starne
certi, ci si divertiva sempre. E nessuno aveva dubbi: il segreto di
quella meravigliosa macchina da gol era lui, l'allenatore, quel
Batteux che nel 1955 fu chiamato dalla federazione a guidare la
nazionale francese. Il calcio-champagne non poteva più limitarsi a
rimanere confinato a Reims, ma doveva diventare lo spot del calcio
francese tutto di fronte al mondo. E anche alla guida dei Galletti
Batteux confermò di avere il tocco magico dei grandi: nel 1958 i
Bleus centrarono il terzo posto al mondiale svedese, miglior
risultato ottenuto fino ad allora dal calcio transalpino.
Il suo “regno” alla guida della
nazionale sarebbe durato fino al 1962, l'anno dopo, a causa – così
si disse all'epoca – di problemi di bilancio, giunse all'epilogo
anche la sua straordinaria epopea a Reims: aveva indossato quella
maglia per la prima volta nel 1939, se ne andava ventiquattro anni
dopo, dopo aver lasciato un solco indelebile nella storia del calcio
francese ed europeo. Aveva iniziato da centrocampista, se ne andava
da leggenda, da profeta, padre di un nuovo modo di concepire il gioco
del calcio.
Chiusa la sua storia d'amore con lo
Stade de Reims, Batteux decise di immergersi in una realtà nuova,
guidando per quattro stagioni il Grenoble, nelle serie inferiori. Si
allontanò dai riflettori, per poi ritornare prepotentemente sulle
scene nel 1967, anno in cui il Saint Etienne lo scelse come
successore di Jean Snella: in cinque stagioni, tre campionati vinti e
due affermazioni in Coppa di Francia. Ma, soprattutto, tanti gol,
tanto spettacolo, tanto calcio-champagne. Ma, come tutti i cicli
vincenti, anche quello dei verts arrivò al suo epilogo: nel 1972 i
rapporti tra Batteux e il presidente Rocher, ormai deteriorati sotto
diversi aspetti, giunsero al punto di rottura. Dopo aver fatto grande
lo Stade de Reims, aveva replicato le sue magie con il Saint Etiene:
ora Batteux se ne andava, ancora una volta, avvolto da un'aura da
semi-divinità del pallone. Ma quelle ottenute nella città della
Loira furono le ultime vittorie del profeta del calcio-champagne:
Batteux tornò in panchina nel 1976, guidò prima l'Avignone, poi il
Nizza, e poi ancora l'Olympique Marsiglia, dove chiuse la carriera
nel 1981. In nessuna di queste tre esperienze, però, Batteux arrivò
ad avvicinare le meraviglie di Reims e Saint Etienne.
Lavorò ancora come commentatore e come
giornalista, si spense a Grenoble, il 28 febbraio del 2003, stroncato
dal morbo di Alzheimer. Oggi una tribuna dello stadio Auguste
Delaune, tana dello Stade de Reims, è intitolata a lui, che France
Football inserì al terzo posto nella classifica dei migliori
allenatori francesi di sempre.
In conclusione, torniamo a quel filo
conduttore che ci ha guidati in questo viaggio nella storia del
pallone tra Italia e Francia: il calcio-champagne, quel concetto che
come abbiamo detto è ormai entrato nel vocabolario comune di chi ama
il gioco più bello del mondo. Ebbene, se si parla di
calcio-champagne, è assolutamente e chiaramente impossibile non
citare la nazionale francese campione d'Europa nel 1984. Era la
Francia di Platini, di Giresse, di Tigana, la Francia che due anni
prima aveva ottenuto il terzo posto ai mondiali spagnoli, era il
trionfo di una squadra spettacolare, capace di andare a segno per 14
volte in 5 gare, in quella fase finale dell'Europeo casalingo. Si
parlò di “grandeur”, si parlò soprattutto di calcio-champagne,
in quei giorni. Ma andando un po' più a fondo, non era difficile
spiegare il gioco spettacolare di quella favolosa squadra. C'erano i
campioni, sì, c'era uno dei più grandi di sempre, “Le Roi”
Platini. Tutto vero.
Ma c'era, in panchina, un certo Michel Hidalgo,
uno che Batteux lo aveva conosciuto, respirato, studiato da vicino.
Hidalgo aveva giocato nel grande Stade de Reims nell'epoca d'oro, dal
'54 al '57. Quando, dopo il trionfo europeo, qualcuno gli chiese
quale fosse il segreto di quella Francia così perfetta e
spumeggiante, Hidalgo non ebbe alcun dubbio: fece il nome del suo
maestro, di Albert Batteux, che gli aveva insegnato, trent'anni
prima, ad amare il gioco corto, rapido, offensivo. Ad amare il
calcio-champagne, insomma.
Perchè lui, Batteux, anche se in
tanti, negli anni, avrebbero poi attribuito la paternità di questa
filosofia a Raymond Kopa, del calcio-champagne era il vero padre.
Kopa era il braccio, questo sì, ma la mente era quella di Batteux:
era lui il vero profeta.
[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata
SITOGRAFIA
Mediapolitika -
http://www.mediapolitika.com/sport2/amarcord/8243-amarcord-luigi-maifredi-suo-calcio-champagne/
Tout sur l'Asse -
http://toutsurlasse.free.fr/staff/anciens/batteux.htm
BIBLIOGRAFIA
“Il minuto di silenzio – La storia
del calcio attraverso i suoi eroi” di Gigi Garanzini – Mondadori
– pp. 213-214
FOTOGRAFIE
1 - www.poteaux-carres.com
2 - it.wikipedia.org
3 - www.poteaux-carres.com
4 - www.poteaux-carres.com
5 - it.uefa.com
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