Paradiso e Inferno. Due realtà diametralmente opposte, infinitamente lontane, che all'apparenza hanno ben poco in comune. Per qualcuno, però, il confine tra Paradiso ed Inferno è sottilissimo, labile, quasi impercettibile. Per qualcuno il passo dal Paradiso all'Inferno è incredibilmente breve. E' stato così per Dante Bertoneri: per lui Paradiso e Inferno non sono altro che le due facce di una medesima medaglia. La sua è la storia di chi voleva volare nel Paradiso del pallone italiano, di chi però, da un momento all'altro, si è ritrovato invischiato in una realtà maledettamente infernale.
Nato a Massa il 10 agosto del 1963, Dante è lo stereotipo del bambino italiano: perennemente di corsa dietro ad un pallone. E' a casa sua, a Massa, nella Litoranea, che Dante muove i primi passi del suo cammino da calciatore. Tra i banchi di scuola Dante non eccelle, ma non è quello il destino che lui ha scelto: vuole fare il calciatore, è questo il grande sogno, che è poi quello di migliaia e migliaia di suoi coetanei. Si fermerà alla terza media, e questo elemento, un po' più avanti nella storia, nella sua storia, assumerà un peso specifico decisamente rilevante.
Dai suoi coetanei, però, Dante riesce a distinguersi: è veloce, ha fiato da vendere, gioca sulla fascia ma sa disimpegnarsi alla grande anche in mezzo al campo, è un vero e proprio treno. Se ne accorgono gli osservatori del Torino: quando ha 14 anni, Dante Bertoneri si veste di granata, di quel colore che gli cambierà la vita. Sono gli anni in cui il vivaio granata è una fonte rigogliosa ed inesauribile di talenti: dal laboratorio del Filadelfia escono campioncini a ripetizione. Sono gli anni di Pulici e Graziani, i Gemelli del Gol, gli anni di un Toro ritornato grande a quasi trent'anni dalla sciagura che a Superga spezzò il volo di una delle più grandi squadre che la storia del calcio ricordi. Dante questo Toro lo vede, lo vive, lo respira molto da vicino, dai bordi del campo del Comunale, dove fa il raccattapalle, e dove ogni domenica gli rimbalzano negli occhi le gesta dei granata. Vive in convitto, Dante, ma come abbiamo detto, tra i banchi di scuola, per lui son dolori. Poco importa, in quegli anni in cui il destino corre veloce e in cui la realtà che Bertoneri vive ogni giorno ha tutte le fattezze e i lineamenti del sogno. Dante sbarca negli Allievi, poi una rapida esperienza nella formazione Beretti, prima di approdare, per volere del mitico Sergio Vatta, direttamente in Primavera. Ma è bravo per davvero, quel ragazzino venuto dalla Toscana, che spesso, nelle partitelle del giovedì contro i "grandi", mette in seria difficoltà marpioni affermati come Pecci, Claudio Sala e Zaccarelli: per la stagione 1980-1981, a 17 anni, Dante è così aggregato alla prima squadra di Ercole Rabitti. Il 18 gennaio del 1981, per quel ragazzino che fino a meno di quattro anni prima correva sui campi spelacchiati della provincia toscana, si schiudono le porte dorate della Serie A: Rabitti lo manda in campo nel finale della gara interna contro l'Ascoli, vinta 3-0. Gli lascia spazio Vincenzo D'Amico, Dante gioca tre minuti senza toccare il pallone, ma fa in tempo a lasciarsi impressionare dal ruggito della curva Maratona, che verso di lui, ragazzo del "Fila", nutre un affetto particolare. Un affetto quanto mai reciproco: è la scintilla che fa scattare l'amore, è il colpo di fulmine mediante il quale il granata entra nel cuore e delle vene di Bertoneri per non uscirne mai più. Per Dante, in stagione, altre 5 apparizioni, ottime prestazioni e la conferma per la stagione successiva agli ordini del nuovo tecnico Giacomini. Le presenze sono 23, due le reti: la stagione 1981-1982 sembra poter essere quella della definitiva consacrazione. I numeri, del resto, parlano chiaro: con 23 presenze su un totale di 30 gare, Bertoneri può considerarsi un titolare della rosa granata. Sembra la rampa di lancio, l'incipit di una carriera prodiga di soddisfazioni, viceversa è l'inizio del declino: Bertoneri ha soltanto vent'anni, eppure è già all'apice.
Dante imbocca la fase discendente della sua parabola nella stagione 1982-1983: parte militare, si allena poco insieme alla squadra, il nuovo tecnico Bersellini gli concede poco spazio. In casa granata è rivoluzione vera: si chiude l'era Pianelli, il presidente dello scudetto cede a Sergio Rossi. in società fa capolino l'ingombrante figura di Luciano Moggi. Negli scampoli che ha a disposizione - 12 in tutto - Bertoneri riesce però a ben figurare. Diverse volte, subentrando dalla panchina, riesce letteralmente a cambiare il volto della squadra: i voti dei quotidiani sportivi, non a caso, sono sempre positivi. Prestazioni che però non scalfiscono le scelte e le convinzioni di Bersellini, che prosegue imperterrito per la propria strada, preferendo Hernandez e Torrisi. Assolti i propri doveri nei confronti della Patria, Dante confida che la stagione 1983-1984 possa essere quella del suo rilancio. Questo scenario, però, resta nelle idee e nelle speranze di Bertoneri: Moggi, infatti, ha altri progetti. Lo convoca in sede e gli comunica che sarà prestato al Cesena dell'amico Lugaresi. In Serie B. Ma come in Serie B? Sono tante le società che punterebbero su Bertoneri anche in massima serie, perchè costringerlo al salto all'indietro? Dante si oppone e si accasa all'Avellino, in Serie A. Gioca una buona stagione, 22 presenze e 2 reti, gli irpini centrano la salvezza, ma poco alla volta Bertoneri sconta la pena che Moggi ha deciso di infliggergli per quel "no" dell'estate '83. Chi ha obbedito ai voleri di quello che è già una sorta di "dominus" del calciomercato si ritrova tutte le porte aperte, chi, come Bertoneri, ha invece opposto resistenza, trova strade sbarrate, terra bruciata. All'alba del millennio successivo l'Italia intera aprirà gli occhi sull'impressionante potere accentrato nelle mani di Luciano Moggi, un uomo che letteralmente tira i fili del pianeta pallone in Italia, un uomo che ha la facoltà di indirizzare, calcisticamente parlando, i destini di centinaia di calciatori e allenatori: Bertoneri, in anticipo rispetto al resto del paese, se ne accorge nel 1984. Di fatto, quello che appena tre anni prima era uno dei talenti più promettenti del fertile vivaio granata, rimane a spasso, senza squadra, abbandonato da quella società che lo aveva portato via di casa a 14 anni per farne un calciatore. Non bastasse tutto questo, vengono messe in giro voci infamanti: "Dante si allena male, è uno sfaticato", sostengono in tanti, "Ha problemi con la cocaina", vanno giù ancora più pesanti i più maligni. E' tutto falso, ma i pugnali che si conficcano nella schiena di Dante, le bordate che distruggono pezzo dopo pezzo la sua carriera e la sua serenità, sono tremendamente concreti. L'ormai ex granata trova casa al Parma, in Serie B, ma anche qui la nuvola di negatività e maldicenze che lo segue finisce per piegarlo: poche presenze, la retrocessione, il suo allenatore, Carmignani, che di fronte ai giornalisti lo accusa di non saltare di testa per paura di scompigliarsi i capelli. Dante manca della personalità per reagire, per gridare in faccia a tutti la realtà di un ginocchio malconcio che, quello sì, gli impedisce di avere un'elevazione accettabile. Nel 1985-1986 Dante è in Serie B, a Perugia, ma è l'ombra di sè stesso: nemmeno Giacomini, suo ex allenatore al Toro e ora tecnico dei Grifoni, riesce a tirarlo a lucido, a rilanciare quel talento imploso nel momento in cui tutti attendevano l'esplosione. Bertoneri torna a casa, alla Massese, in Serie C2, ma le sue giornate trascorrono con una nuova indesiderata compagna che prova a mangiarsi la sua anima, pezzo dopo pezzo. E' la depressione: Dante è passato dalla Serie A all'inferno della C2, ha vestito le maglie di tutte le selezioni giovanili azzurre fino all'Under 21, dove lo aveva lanciato Azeglio Vicini, per poi schiantarsi sul più bello, ha vissuto il Paradiso per poi vederselo sfuggire dalle mani, ha consegnato sè stesso ad un mondo che prima lo ha illuso e poi lo ha sputato all'Inferno. Tutto per un "no", pronunciato nel momento sbagliato, di fronte alla persona sbagliata, tutto per colpa di un animo troppo vulnerabile che non ha saputo incassare i colpi inferti dal destino.
Nel 1989, a 26 anni, dopo un'ultima esperienza all'Isola d'Elba, in Eccellenza, e dopo un grave infortunio al ginocchio, Dante dice addio al calcio e si ritira. Torna a casa, a Massa, ma quel mostro che lo divora da dentro lo svuota da ogni energia. In giro si dice che il mondo del calcio lo abbia relegato nel dimenticatoio, sputandolo come un rifiuto, anche per colpa del rifiuto a sottoporsi ad alcune pratiche dopanti e di un altro secco "no" alla proposta di "aggiustare" il risultato di una partita. Lui, Dante, di questo non ha mai parlato molto. Ha parlato invece della depressione, di quei giorni infiniti di inizio anni Novanta, di un mondo - e questa è realtà, non semplice diceria - che lo ha completamente abbandonato. Va vicino a fare una brutta fine, Dante, pensa di farla finita, lo salva la fede, che lo raccoglie dal fondo e riesce a iniettargli quel poco di forza sufficiente a resistere, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mentre i ricordi di un passato da futuro campione sbiadiscono insieme alle fotografie, mentre arrivare alla fine del mese diventa impresa sempre più difficile. Se nella vita hai sempre giocato a calcio, se il tuo titolo di studio è la terza media, ripartire a nemmeno trent'anni può non essere la più facile delle cose. Si arrangia come può, quel ragazzo che avrebbe dovuto essere, e non è stato, l'erede di Gigi Meroni: qualche lavoretto qua e là, ci prova anche con un negozio d'abbigliamento, ma la situazione resta economicamente ed umanamente drammatica. Economicamente, perchè sbarcare il lunario grazie ai rimborsi come allenatore di squadre dilettantistiche giovanili non è facile, nè tantomeno bastano i premi per le vittorie nelle gare di corsa. Dante, infatti, nonostante la crisi, nonostante la depressione, nonostante la parola "fine" messa sulla sua vita da calciatore, ha mantenuto il fiato e le gambe dei tempi migliori: inizia nel 2001 con le maratone, poi passa ai 10 mila metri, con ottimi risultati. Umanamente, perchè Dante lancia ripetuti appelli rivolti al mondo del calcio, a quegli amici che ritiene tali, ma che gli voltano invece le spalle: appelli che cadono puntualmente nel vuoto. Il passato recente di Dante è quello di un uomo che con orgoglio e dignità sta provando a riciclarsi: frequenta il corso e ottiene il diploma da badante. Per un ex calciatore professionista è un caso più unico che raro, ma pure questo, per Dante, si rivela un mondo ostile: pare che in questo mestiere le donne straniere siano molto più richieste rispetto ad un ultra-cinquantenne con un passato da atleta professionista.
Così, nel 2017, Bertoneri si ritrova costretto, quasi ventotto anni dopo il suo ritiro, a chiedere ancora aiuto a quel mondo, quello del calcio, che gli ha prima regalato ricordi felici, e che gli ha poi inferto i colpi più dolorosi della sua esistenza. Ha lanciato appelli a più riprese dalle pagine di Tuttosport, recentemente anche da quelle della Gazzetta dello Sport: l'unica realtà a rispondere "presente" con aiuti concreti è stata l'associazione degli ex calciatori del Torino, mentre tutto il resto di quel mondo spietato ha scelto di tacere, di ignorare il grido di quel figlio ripudiato che non chiede altro che un piccolo ruolo da osservatore, o da allenatore delle giovanili, anche a modestissimi compensi, un ruolo che gli permetta di pagare quei pochi anni di contributi mancanti per avere diritto alla pensione.
"Mi vergogno un po', ma sono davvero in difficoltà. Di recente ho venduto un paio di maglie per pochi spiccioli. Accetterei l'aiuto di qualsiasi club, ma sarebbe bello che arrivasse proprio dal Torino di Cairo. In fondo, sono un ragazzo del Filadelfia"
Così, a gennaio, Dante ha lanciato dalle pagine della Gazzetta dello Sport l'ennesimo appello, l'ennesimo disperato grido nei confronti di un mondo dorato che a lui ha riservato il suo volto più oscuro. Un mondo che negli ultimi vent'anni gli ha tolto molto più di quanto non gli abbia dato in precedenza, in quegli anni felici, in cui per tutti Dante, con il 7 sulla schiena, era il prescelto dal destino per riprendere il filo sfuggito di mano a Gigi Meroni.
Dante imbocca la fase discendente della sua parabola nella stagione 1982-1983: parte militare, si allena poco insieme alla squadra, il nuovo tecnico Bersellini gli concede poco spazio. In casa granata è rivoluzione vera: si chiude l'era Pianelli, il presidente dello scudetto cede a Sergio Rossi. in società fa capolino l'ingombrante figura di Luciano Moggi. Negli scampoli che ha a disposizione - 12 in tutto - Bertoneri riesce però a ben figurare. Diverse volte, subentrando dalla panchina, riesce letteralmente a cambiare il volto della squadra: i voti dei quotidiani sportivi, non a caso, sono sempre positivi. Prestazioni che però non scalfiscono le scelte e le convinzioni di Bersellini, che prosegue imperterrito per la propria strada, preferendo Hernandez e Torrisi. Assolti i propri doveri nei confronti della Patria, Dante confida che la stagione 1983-1984 possa essere quella del suo rilancio. Questo scenario, però, resta nelle idee e nelle speranze di Bertoneri: Moggi, infatti, ha altri progetti. Lo convoca in sede e gli comunica che sarà prestato al Cesena dell'amico Lugaresi. In Serie B. Ma come in Serie B? Sono tante le società che punterebbero su Bertoneri anche in massima serie, perchè costringerlo al salto all'indietro? Dante si oppone e si accasa all'Avellino, in Serie A. Gioca una buona stagione, 22 presenze e 2 reti, gli irpini centrano la salvezza, ma poco alla volta Bertoneri sconta la pena che Moggi ha deciso di infliggergli per quel "no" dell'estate '83. Chi ha obbedito ai voleri di quello che è già una sorta di "dominus" del calciomercato si ritrova tutte le porte aperte, chi, come Bertoneri, ha invece opposto resistenza, trova strade sbarrate, terra bruciata. All'alba del millennio successivo l'Italia intera aprirà gli occhi sull'impressionante potere accentrato nelle mani di Luciano Moggi, un uomo che letteralmente tira i fili del pianeta pallone in Italia, un uomo che ha la facoltà di indirizzare, calcisticamente parlando, i destini di centinaia di calciatori e allenatori: Bertoneri, in anticipo rispetto al resto del paese, se ne accorge nel 1984. Di fatto, quello che appena tre anni prima era uno dei talenti più promettenti del fertile vivaio granata, rimane a spasso, senza squadra, abbandonato da quella società che lo aveva portato via di casa a 14 anni per farne un calciatore. Non bastasse tutto questo, vengono messe in giro voci infamanti: "Dante si allena male, è uno sfaticato", sostengono in tanti, "Ha problemi con la cocaina", vanno giù ancora più pesanti i più maligni. E' tutto falso, ma i pugnali che si conficcano nella schiena di Dante, le bordate che distruggono pezzo dopo pezzo la sua carriera e la sua serenità, sono tremendamente concreti. L'ormai ex granata trova casa al Parma, in Serie B, ma anche qui la nuvola di negatività e maldicenze che lo segue finisce per piegarlo: poche presenze, la retrocessione, il suo allenatore, Carmignani, che di fronte ai giornalisti lo accusa di non saltare di testa per paura di scompigliarsi i capelli. Dante manca della personalità per reagire, per gridare in faccia a tutti la realtà di un ginocchio malconcio che, quello sì, gli impedisce di avere un'elevazione accettabile. Nel 1985-1986 Dante è in Serie B, a Perugia, ma è l'ombra di sè stesso: nemmeno Giacomini, suo ex allenatore al Toro e ora tecnico dei Grifoni, riesce a tirarlo a lucido, a rilanciare quel talento imploso nel momento in cui tutti attendevano l'esplosione. Bertoneri torna a casa, alla Massese, in Serie C2, ma le sue giornate trascorrono con una nuova indesiderata compagna che prova a mangiarsi la sua anima, pezzo dopo pezzo. E' la depressione: Dante è passato dalla Serie A all'inferno della C2, ha vestito le maglie di tutte le selezioni giovanili azzurre fino all'Under 21, dove lo aveva lanciato Azeglio Vicini, per poi schiantarsi sul più bello, ha vissuto il Paradiso per poi vederselo sfuggire dalle mani, ha consegnato sè stesso ad un mondo che prima lo ha illuso e poi lo ha sputato all'Inferno. Tutto per un "no", pronunciato nel momento sbagliato, di fronte alla persona sbagliata, tutto per colpa di un animo troppo vulnerabile che non ha saputo incassare i colpi inferti dal destino.
Nel 1989, a 26 anni, dopo un'ultima esperienza all'Isola d'Elba, in Eccellenza, e dopo un grave infortunio al ginocchio, Dante dice addio al calcio e si ritira. Torna a casa, a Massa, ma quel mostro che lo divora da dentro lo svuota da ogni energia. In giro si dice che il mondo del calcio lo abbia relegato nel dimenticatoio, sputandolo come un rifiuto, anche per colpa del rifiuto a sottoporsi ad alcune pratiche dopanti e di un altro secco "no" alla proposta di "aggiustare" il risultato di una partita. Lui, Dante, di questo non ha mai parlato molto. Ha parlato invece della depressione, di quei giorni infiniti di inizio anni Novanta, di un mondo - e questa è realtà, non semplice diceria - che lo ha completamente abbandonato. Va vicino a fare una brutta fine, Dante, pensa di farla finita, lo salva la fede, che lo raccoglie dal fondo e riesce a iniettargli quel poco di forza sufficiente a resistere, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mentre i ricordi di un passato da futuro campione sbiadiscono insieme alle fotografie, mentre arrivare alla fine del mese diventa impresa sempre più difficile. Se nella vita hai sempre giocato a calcio, se il tuo titolo di studio è la terza media, ripartire a nemmeno trent'anni può non essere la più facile delle cose. Si arrangia come può, quel ragazzo che avrebbe dovuto essere, e non è stato, l'erede di Gigi Meroni: qualche lavoretto qua e là, ci prova anche con un negozio d'abbigliamento, ma la situazione resta economicamente ed umanamente drammatica. Economicamente, perchè sbarcare il lunario grazie ai rimborsi come allenatore di squadre dilettantistiche giovanili non è facile, nè tantomeno bastano i premi per le vittorie nelle gare di corsa. Dante, infatti, nonostante la crisi, nonostante la depressione, nonostante la parola "fine" messa sulla sua vita da calciatore, ha mantenuto il fiato e le gambe dei tempi migliori: inizia nel 2001 con le maratone, poi passa ai 10 mila metri, con ottimi risultati. Umanamente, perchè Dante lancia ripetuti appelli rivolti al mondo del calcio, a quegli amici che ritiene tali, ma che gli voltano invece le spalle: appelli che cadono puntualmente nel vuoto. Il passato recente di Dante è quello di un uomo che con orgoglio e dignità sta provando a riciclarsi: frequenta il corso e ottiene il diploma da badante. Per un ex calciatore professionista è un caso più unico che raro, ma pure questo, per Dante, si rivela un mondo ostile: pare che in questo mestiere le donne straniere siano molto più richieste rispetto ad un ultra-cinquantenne con un passato da atleta professionista.
Così, nel 2017, Bertoneri si ritrova costretto, quasi ventotto anni dopo il suo ritiro, a chiedere ancora aiuto a quel mondo, quello del calcio, che gli ha prima regalato ricordi felici, e che gli ha poi inferto i colpi più dolorosi della sua esistenza. Ha lanciato appelli a più riprese dalle pagine di Tuttosport, recentemente anche da quelle della Gazzetta dello Sport: l'unica realtà a rispondere "presente" con aiuti concreti è stata l'associazione degli ex calciatori del Torino, mentre tutto il resto di quel mondo spietato ha scelto di tacere, di ignorare il grido di quel figlio ripudiato che non chiede altro che un piccolo ruolo da osservatore, o da allenatore delle giovanili, anche a modestissimi compensi, un ruolo che gli permetta di pagare quei pochi anni di contributi mancanti per avere diritto alla pensione.
"Mi vergogno un po', ma sono davvero in difficoltà. Di recente ho venduto un paio di maglie per pochi spiccioli. Accetterei l'aiuto di qualsiasi club, ma sarebbe bello che arrivasse proprio dal Torino di Cairo. In fondo, sono un ragazzo del Filadelfia"
Così, a gennaio, Dante ha lanciato dalle pagine della Gazzetta dello Sport l'ennesimo appello, l'ennesimo disperato grido nei confronti di un mondo dorato che a lui ha riservato il suo volto più oscuro. Un mondo che negli ultimi vent'anni gli ha tolto molto più di quanto non gli abbia dato in precedenza, in quegli anni felici, in cui per tutti Dante, con il 7 sulla schiena, era il prescelto dal destino per riprendere il filo sfuggito di mano a Gigi Meroni.
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http://www.adnkronos.com/sport/2015/05/26/ciro-caruso-dante-bertoneri-quando-talento-non-basta-diventare-totti-cannavaro_BMBJePrJF1tGRTGDo9PsKK.html?refresh_ce
http://www.liberoquotidiano.it/news/11701582/Dante-Bertoneri--l-ex-baby.html
http://iltirreno.gelocal.it/massa/cronaca/2013/03/11/news/faro-il-badante-per-la-pensione-dante-bertoneri-dal-calcio-all-assistenza-1.6680340
http://www.torinogranata.it/primo-piano/bertoneri-io-ripudiato-da-un-calcio-malato-21630
http://www.gazzettadiparma.it/news/sport/86345/Storie-di-calcio---Dante.html
"Per il Torino valevo Meroni, un no a Moggi mi ha ucciso" - Gazzetta dello Sport del 25/1/2017 - Francesco Ceniti
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