Seduto al computer, in camera mia. Il monitor, la tastiera, tanti, troppi pezzi da scrivere, il tempo che stringe, tutto il mondo fuori. Un mondo pazzo: nevica ad ottobre, non succedeva da anni, dal cielo scende ghiaccio, il freddo punge all'improvviso. Tempo da lupi. Di fianco a me la mia libreria: libri e manuali che mi hanno cresciuto e mi hanno condotto fin qui. E i videogiochi, i miei vidoegiochi, compagni fedeli di un'adolescenza non molto lontana. E Football Manager. Lo cito da solo, perchè Football Manager non è un semplice videogioco.
L'occhio cade lì, e lì rimane: uno in fila all'altro, in rigoroso ordine, dal 2005 in poi, i miei amati, preziosi Football Manager. Tutti originali: perchè Football Manager non si scarica, nè si masterizza. Sarebbe un tradimento, e gli amici non si tradiscono.
Sono qui, a scrivere, in una giornata di un ottobre che sembra dicembre, mi capita di ripensare a Football Manager, e mi sembra di ripensare ad un vecchio amico. Un compagno di giochi, al mio fianco in tanti, tantissimi pomeriggi come questo, quando fuori dalla mia stanza pioveva, o nevicava, o si gelava: ma di quello che succedeva fuori a me importava poco, quando con me c'era Football Manager.
Era più di un videogioco. Con un videogioco ti distrai, ti rilassi, ti diverti, poi spegni la console e non ci pensi più. Ma il coinvolgimento che mi aveva fatto provare Fm era qualcosa di ben più grande, sarebbe ingeneroso derubricare Football Manager a semplice passatempo. Per me non lo è stato. Per me era il modo più affascinante per entrare in un mondo a parte, un mondo che era sì virtuale, ma che potevo condividere con tanti amici reali, che con me condividevano la "malattia" e con cui mi confrontavo sui vari forum. Era un mondo favoloso, quello di Football Manager. Non era come un videogioco qualunque, in cui basta un po' d'abilità nel pigiare i pulsanti al momento giusto e nella sequenza giusta, e il gioco è fatto. Football Manager richiedeva impegno, applicazione: ti chiedeva tempo. Quanto tempo ho trascorso immerso in quel mondo virtuale che mi dava emozioni e soddisfazioni del tutto reali. Tanto, forse troppo, ma non importa. Era un modo, uno dei tanti, ma tra i più appaganti, per coltivare la mia sconfinata passione per il pallone.
Mi ci dedicavo con il massimo impegno possibile, come se davvero fosse una cosa importante. Oggi sono un adulto e mi rendo ragionevolmente conto che non lo era in senso assoluto. Football Manager non rientra tra le cose importanti, nella vita di un ragazzo. O almeno non dovrebbe essere così. Eppure i ricordi di quegli anni che mi legano a Fm sono tanti, sono nitidi: le ore passate a studiare nei dettagli tattiche, allenamenti, strategie sui calci piazzati, le minuziose ricerche per scovare talenti a basso costo, tutti appuntati sul mio quadernino, la gioia, vera, assolutamente reale, per ogni vittoria virtuale, la delusione quando invece le cose andavano male. I nomi dei giocatori ai quali mi affezionavo: sì, succedeva anche questo, succedeva di affezionarsi ai giocatori grazie a Football Manager.
Era solo un videogioco, eppure mi portava completamente via dai pensieri e dai problemi quotidiani, quelli che mi stavano dando un primo assaggio di quelle che sarebbero state le difficoltà della vita da adulto. Proprio come poteva fare un amico in carne ed ossa.
"Il calcio
ha significato troppo per me e continua a significare troppe cose. Dopo
un po' ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la
vita è una merda perché l'Arsenal
fa schifo o viceversa. Sono andato a vedere troppe partite, ho speso
troppi soldi, mi sono incazzato per l'Arsenal quando avrei dovuto
incazzarmi per altre cose, ho preteso troppo dalla gente che amo.
Okay, va bene tutto! Ma, non lo so, forse è qualcosa che non puoi
capire se non ci sei dentro. Come fai a capire quando mancano tre minuti
alla fine e stai due a uno in una semifinale e ti guardi intorno e vedi
tutte quelle facce, migliaia di facce stravolte, tirate per la paura,
la speranza, la tensione, tutti completamente persi senza nient'altro
nella testa. E poi il fischio dell'arbitro e tutti che impazziscono e
in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che
per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un momento
cruciale in tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato
decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi
fregherebbe niente del calcio? E la cosa stupenda è che tutto questo si
ripete continuamente, c'è sempre un'altra stagione. Se perdi la finale
di coppa in maggio puoi sempre aspettare il terzo turno in gennaio, che
male c'è in questo? Anzi, è piuttosto confortante, se ci pensi"
Parole di Nick Hornby nel suo splendido libro "Febbre a 90°", titolo originale "Fever Pitch".
Parole che mi sento di fare mie per descrivere ciò che Football Manager ha rappresentato per me.
Probabilmente ho speso troppe ore davanti a quello schermo, ho trascurato cose e persone che erano ben più importanti di un videogioco della Sports Interactive, ci ho messo troppo impegno quando avrei dovuto concentrarmi su altro. Ma rimanere davanti al mio pc a guidare quegli omini digitali che seguivano le mie direttive mi faceva stare bene, mi portava in un mondo parallelo e felice, mi faceva sentire appagato. Oggi sono grande, almeno anagraficamente, ho un lavoro, degli amici, ho una vita tutto sommato "normale", ammesso che esistano canoni per definirla, la normalità, e se penso alla mia vita di dieci anni fa io penso anche a Football Manager, un pezzo della mia adolescenza, amico fedele di tanti pomeriggi. Che male c'è in questo?
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