Quando il pomeriggio del 7 agosto del
1936 Adolf Hitler si accomodò sulle tribune di uno stadio Olimpico
di Berlino vestito a festa per la rassegna olimpica che avrebbe
dovuto mostrare al mondo la magnificenza del Reich, probabilmente
pensava ad una normale uscita di propaganda. Il Fuhrer non aveva mai
assistito, prima di quel giorno, ad una partita di calcio, ma dalle
stanze dei bottoni avevano suggerito che era giunto il momento di
raccogliere consensi anche tra gli adepti di quella fede che anche in
Germania aveva raggiunto impressionanti picchi di popolarità.
Questo, e nulla più, era il calcio per Hitler: un mezzo come un
altro per giungere al suo fine, ossia l'allargamento dei consensi nei
confronti del Reich. Una Germania nazista che negli ottavi di finale
aveva comodamente strapazzato il Lussemburgo, sommerso da nove reti,
e che prometteva di concedere il bis contro una Norvegia che appariva
come un manipolo di sconosciuti dilettanti, o poco più. Quale
occasione migliore, se non quella di un trionfo annunciato, per
salutare l'ingresso di Adolf Hitler nel mondo del pallone?
Non mancava nessuno, quel pomeriggio,
sulle tribune dell'impianto berlinese. C'erano Goring, Goebbels,
Hess, e tanti altri gerarchi del Reich: nessuno aveva voluto mancare,
tanto era data per scontata la vittoria. Di fronte quel manipolo di
dilettanti venuto dalla Scandinavia, che aveva eliminato la Turchia
negli ottavi, ma che ora si preparava a recitare la parte
dell'agnello sacrificale contro la grande potenza della squadra
ospitante. Non poteva prevedere, Adolf Hitler, che le cose sarebbero
andate in maniera decisamente diversa. Lui, che pochi giorni prima,
il 4 agosto, era stato per certi versi umiliato insieme alle sue
leggi razziali dalla vittoria di un nero, Jesse Owens, che sotto il
suo vigile sguardo aveva dominato la gara del salto in lungo. Quel
pomeriggio, quello del 7 agosto, il Fuhrer sarebbe stato umiliato
ancora una volta, questa volta per mano di quegli undici ragazzi
venuti dalla Norvegia.
Sì, perchè a vincere, sovvertendo
ogni pronostico, fu appunto la Norvegia. Una doppietta di Isaksen, a
segno una volta per tempo, e quella Germania nazista che avrebbe
dovuto dare dimostrazione della potenza del Reich, che avrebbe dovuto
stravincere, si era ritrovata al tappeto, domata sotto gli occhi di
Hitler. C'è un'immagine che ci rende un'idea concreta
dell'umiliazione inflitta al Fuhrer in quel pomeriggio di agosto del
'36. Un'istantanea che cattura lui, Hitler, intento a lasciare lo
stadio insieme a Hess, Goring e Goebbels poco dopo il raddoppio di
Isaksen, prima del triplice fischio dell'inglese Barton. Un'usanza
oggi propria dei tifosi delusi, quelli che abbandonano i propri posti
in tribuna prima del termine del match, magari per evitare il
traffico post partita: in quel pomeriggio del '36 non si trattava che
di un dittatore incapace di sottoporre il suo orgoglio all'immagine
di un gruppo di sconosciuti intento a mandare al tappeto i panzer cui
era stato assegnato il compito di difendere l'onore del Reich
inseguendo un pallone.
Hitler lascia lo stadio prima del fischio finale
Tra quei ragazzi scandinavi – che
sarebbero stati eliminati dall'Italia in semifinale, ma che avrebbero
poi conquistato una storica medaglia di bronzo, ad oggi unico alloro della storia del pallone norvegese – spiccò quel
giorno il talento cristallino di Odd Frantzen, un'ala destra nata a
Bergen, regione di Vestlandet, contea di Hordaland, nel 1913. Odd,
per vivere, aveva sempre lavorato come scaricatore di porto nella sua
città natale: quella di quel 7 agosto '36 era la sua prima partita
con la casacca della Norvegia. Giocava dopo il lavoro in una modesta
squadra di operai, alcuni dirigenti della nazionale lo avevano
scovato, chissà come, e avevano deciso di aggregarlo alla spedizione
olimpica. Ma nonostante Odd giocasse nell'Hardy, club della “working
class” di Bergen, la scelta di portarlo in Germania fu più che mai
azzeccata: quel giorno, di fronte alla Germania, di fronte ad Adolf
Hitler, Frantzen fu semplicemente immarcabile. Fu lui, ancor più del
match winner Isaksen, a far ammattire la difesa tedesca con finte,
dribbling e cambi di passo. I pupilli del Fuhrer, insomma, quel
giorno non lo presero mai e vennero letteralmente fatti a fettine.
Questo malgrado le dosi industriali di tabacco e alcool con cui Odd
accompagnava le sue serate nel villaggio olimpico, vizi che gli
avrebbero poi presentato un conto salato, qualche anno più tardi.
Amava godere di ogni piacere della vita, Odd, amava ridere e far
ridere, con il suo carattere guascone aveva conquistato un po' tutti i mebri della spedizione norvegese a Berlino,
malgrado fosse l'ultimo arrivato. Ed è forse proprio questa
sfrontatezza, questa voglia di divertirsi e di divertire, sempre e
comunque, che gli permise di scendere in campo davanti a quasi 60
mila tedeschi, nel giorno del suo debutto in nazionale, sotto gli
occhi di uno dei più spietati e sanguinari dittatori che la storia
ricordi, con la stessa leggerezza che lo caratterizzava quando
giocava con l'Hardy, nella sua Bergen, quando le giornate di lavoro
al porto finivano e veniva il tempo di staccare un po' la spina.
Una cartolina spedita da Frantzen alla moglie Betty da Berlino
Ma quei giorni gloriosi con la casacca
della sua nazionale sulla pelle, per Frantzen, non sarebbero durati a
lungo. Il tempo di partecipare al mondiale francese del 1938
(eliminazione contro l'Italia agli ottavi di finale dopo i tempi
supplementari), poi, dopo l'invasione della Norvegia da parte delle
truppe naziste il 9 aprile del 1940, la fine dei giorni da calciatore
di Frantzen. Odd aveva appena 27 anni, aveva giocato sempre e solo
nel modesto Hardy, ma per lui il calcio apparteneva già al passato:
chiuse con 20 presenze e 5 reti in nazionale. Continuò a lavorare al
porto, come del resto aveva sempre fatto, anche negli anni d'oro da
stella del pallone norvegese, arrotondando talvolta come muratore e
aiuto camionista. Quando nel 1941 sposò la sua amata Betty, Odd era
ancora una star, ma la celebrità, così come i ricordi annebbiati
troppo spesso dai fumi dell'alcool, poco a poco svanì. Fare il
calciatore, nella Norvegia degli anni '30, non era l'attività
redditizia che è oggi, e anche i salari per i portuali di Bergen,
nel dopoguerra, non erano dei migliori: la bottiglia, per Odd come
per molti altri, era la via di fuga più facile ed immediata. E
Frantzen, l'uomo che aveva umiliato Hitler e la Germania in un
pomeriggio di agosto del 1936, finì così nel dimenticatoio.
Ricomparve in una breve di cronaca
nera, nell'ottobre del 1977. Un uomo senza una gamba era stato
brutalmente assassinato da un giovane in cerca di alcool. Un omicidio
di inaudita violenza: quell'uomo, un anziano, era stato finito a
calci da quel ragazzo, che poi se la cavò con cinque anni di galera.
Quell'uomo che aveva trovato la fine dei suoi giorni in un quartiere
popolare di Bergen era lui, Odd Frantzen. Era rimasto senza una gamba
nella primavera del '61, quando durante una giornata al porto, salito
su un carrello elevatore per scaricare alcuni sacchi di zucchero,
precipitò su una piattaforma: fu necessaria l'amputazione, fu
l'inizio della fine. Le quantità di alcool ingerite diventarono
insostenibili per il suo corpo, anche l'amore con Betty si spense
poco a poco, fino alla separazione. Si fece vedere in pubblico in
occasione di un raduno con i vecchi compagni di nazionale, gli eroi
del '36, poi tornò nell'oblìo, con l'ormai ex moglie che, per
quanto possibile, provò a sostenerlo anche da lontano. Un oblìo
sempre più nero: per quasi 4 anni, secondo i registri nazionali
norvegesi, Odd risultò senza fissa dimora. Fino all'ottobre del '77,
fino a quella breve di cronaca nera che ne annunciava la morte.
Frantzen, dopo l'incidente, insieme ai compagni del '36
Oggi Frantzen riposa nel cimitero di
Solheim, vicino a Bergen, a fianco alla moglie Betty, dalla quale si
era separato, ma che ha ritrovato dopo la morte. Il suo nome
riportato sulla lapide risulta anonimo per gran parte delle persone
che si ritrovano a passare di lì. Eppure quell'uomo, in un
pomeriggio del '36, aveva umiliato Adolf Hitler, che aveva preferito
lasciare lo stadio mentre quella funambolica ala norvegese
ridicolizzava i ragazzi con la svastica sul petto.
[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata
FONTI
"Il minuto di silenzio - La storia del calcio attraverso i suoi eroi" - Gigi Garanzini - Mondadori - pagg. 141-142
www.nrk.no - https://www.nrk.no/hordaland/xl/odd-frantzen_-the-dockworker-who-humiliated-hitler-1.13122242 - https://www.nrk.no/tidslinje_-odd-frantzen-_1913---1977_-1.13078376?fullscreen
FOTOGRAFIE
www.nrk.no - https://www.nrk.no/hordaland/xl/odd-frantzen_-the-dockworker-who-humiliated-hitler-1.13122242
Nessun commento:
Posta un commento