martedì 21 novembre 2017

Josè Andrade, dalla gloria all'oblìo


Il nome di Josè Andrade, a tanti appassionati di calcio di oggi, probabilmente dice poco o nulla. Eppure costui, nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo, stilata nel 2000 dall'Iffhs, figura al 29° posto, al 20° prendendo in considerazione solamente i giocatori sudamericani. Josè Andrade, insomma, fu un grandissimo sui campi di calcio, ma come tanti, troppi suoi colleghi, trovò l'oblìo una volta appesi al chiodo gli scarpini, una volta allontanatosi dalle luci della ribalta. Inghiottì sé stesso, morì lontano da tutto e da tutti. Anche per questo, oggi, non sono in molti a ricordare il suo nome. Il nome di un calciatore meraviglioso, che segnò in maniera indelebile la storia del calcio nella prima metà del secolo scorso.


Nato il 20 novembre 1901 a Salto, nella zona nord-occidentale dell'Uruguay, da madre argentina e padre afro-brasiliano, quella di Josè non è un'infanzia facile. Il padre – così narra la leggenda - è stato costretto a fuggire dal Brasile perchè accusato di magia nera, in Uruguay la famiglia si stabilisce a Montevideo, Barrio Palermo, quartiere in cui vivono quasi tutti gli afro-uruguaiani. Strade in cui regna la povertà, in cui per dimenticare la miseria si balla al ritmo del Candombe, una danza africana importata dai primi schiavi giunti in Uruguay. Vicoli in cui Josè cresce suonando il violino e il tamburo, tirando a campare facendo il calzolaio e il venditore di giornali. Finchè non scopre il pallone. E col pallone è amore a prima vista. E' alto 1 e 80, acrobatico, veloce, potente ed elegante al tempo stesso: è semplicemente fenomenale, con un pallone tra i piedi. Ed è di colore: per questo, questo straordinario ragazzo che gioca da mediano laterale diventa per tutti la “Maravilla Negra”. E' un giocatore moderno, capace di coniugare le due fasi di gioco in un'epoca in cui la distinzione tra ruoli è ancora netta.

E' il Bella Vista di Montevideo il suo primo club da calciatore professionista: in due stagioni, dal 1923 al 1925, 71 presenze e 7 reti. Ma è nel 1924 che il mondo del pallone scopre Andrade e l'Uruguay. In Sud America la Copa America, competizione continentale per nazionali di calcio, si gioca dal 1916, l'Uruguay ne ha messe in bacheca già 3, tra le quali le ultime due nel '22 e nel '23. Il 1924, dicevamo, è l'anno delle Olimpiadi di Parigi. Il calcio è protagonista della rassegna a cinque cerchi dal 1900 e finora è stato terreno di conquista per le nazioni europee. Nel 1924, però, le sudamericane sono intenzionate a mostrare al Vecchio Continente che anche al di là dell'Atlantico col pallone ci sanno decisamente fare. Siamo però in un'epoca pionieristica, una trasferta come quella parigina, per le federazioni sudamericane, rappresenta uno sforzo economico difficilmente sostenibile. Ma Atilio Narancio, presidente della federazione, ha promesso ai ragazzi della Celeste che li avrebbe portati in Francia per le Olimpiadi in caso di vittoria in Copa America. Vittoria che puntualmente è arrivata: Narancio ipoteca addirittura la sua casa, per garantire alla squadra i biglietti per la nave. I soldi bastano a malapena per raggiungere la Spagna: qui l'Uruguay disputa nove amichevoli per raccogliere il denaro necessario a raggiungere la capitale francese. Nove amichevoli, nove vittorie, e si raggiunge Parigi. In Europa è grande la curiosità nei confronti dei ragazzi arrivati dal Sud America. Alla vigilia del debutto, la Jugoslavia, prima avversaria, invia alcuni osservatori ad assistere all'allenamento della Celeste. Ernesto Figoli, allenatore uruguagio, se ne accorge. Basta un cenno, e i suoi ragazzi iniziano con una farsa che ha del geniale: i calciatori uruguagi inziano ad inciampare sul pallone, a fingersi dei completi incapaci, a mostrarsi insomma dei totali sprovveduti. Gli osservatori slavi se ne vanno, confortati da quanto visto: non sanno che quella, in realtà, è una squadra meravigliosa. Una squadra di cui Andrade è faro e stella: stupisce per le sue qualità, Josè, ma stupisce gli spettatori europei anche per il colore della pelle. In Europa – ma non solo: il Brasile ammetterà i neri in nazionale solo dal 1936 - il calcio è ancora prevalentemente un gioco per bianchi. 


“L'Europa non aveva mai visto un nero giocare al calcio” 
Eduardo Galeano, Splendori e Miserie del Gioco del Calcio

Dopo quell'allenamento trasformato in geniale messa in scena, comunque, la Celeste torna a fare sul serio. Vince 7-0 contro una sbigottita Jugoslavia, 3-0 contro gli Stati Uniti, 5-1 contro la Francia, 2-1 contro i Paesi Bassi e 3-0 contro la Svizzera in finale. E' oro, l'Europa, madre del calcio, scopre che al di là dell'Atlantico gli allievi hanno superato i maestri europei. L'Europa scopre un gioco moderno, spettacolare, fatto di velocità, fraseggi, movimenti senza palla. E' un nuovo modo di giocare a calcio. L'Europa scopre Andrade, che anche se non segna dà spettacolo: è un calciatore totale, sa fare tutto, ad un fisico da corazziere abbina tecnica raffinata ed eleganza da ballerino. Andrade, a sua volta, scopre Parigi, le sue tentazioni e le sue meraviglie. La “Maravilla Negra” si fa travolgere dalla vita notturna parigina, dalle sue donne, dall'alcool.

“Divenne un errante bohémien, re dei cabaret. Le scarpe di vernice presero il posto delle calzature sbrindellate che si era portato da Montevideo, e un cappello a cilindro sostituì il suo berrettino consunto. Le cronache dell’epoca salutano l’immagine di quel sovrano delle notti di Pigalle: il passo elastico da ballerino, l’espressione sfacciata, gli occhi socchiusi che osservavano sempre da lontano e uno sguardo assassino; fazzoletti di seta, giacca a righe, guanti bianchi e bastone con impugnatura d’argento” 
Eduardo Galeano, Splendori e Miserie del Gioco del Calcio

Andrade passa lontano dall'albergo dove alloggia la Celeste quasi ogni notte, frequenta locali nei quartieri più esclusivi di Parigi, conosce anche Josephine Baker, la celebre venere nera, ballerina e cantante di cabaret. Una mattina Josè non fa rientro in albergo, lo ritrovano in un lussuoso appartamento, circondato da bellissime donne, tutte al suo servizio. L'esperienza parigina cambia per sempre la vita di Andrade, che continuerà ad essere un grandissimo calciatore, facendo però sempre più spazio al suo lato da divo, da personaggio, da vero e proprio “dandy”. 


Quando torna in Uruguay, Andrade firma per il Nacional di Montevideo. Ci rimane fino al 1930, ma come detto sempre più spesso all'Andrade calciatore si affianca l'Andrade musicista, estroso artista: non è raro, in quegli anni, imbattersi in lui nei locali di Montevideo, vestito con i costumi della tradizione carnevalesca, intento a suonare i suoi tamburi. Le sue prestazioni, però, non sembrano risentirne. Con l'Uruguay rivince la Copa America nel '26, nel '27 perde in finale, ma viene eletto miglior giocatore del torneo, nel '28 torna in Europa per le Olimpiadi di Amsterdam: la “Maravilla Negra” e la Celeste vincono ancora, superando in finale gli odiati “cugini” argentini. Ma è qui, ad Amsterdam, che la vita e la carriera di Andrade subiscono una decisa svolta. Succede tutto nel pomeriggio del 7 giugno 1928 allo stadio Olimpico. In un'azione di gioco della semifinale vinta 3-2 contro l'Italia, Josè sbatte violentemente contro il palo: nulla di grave, gli dicono, ma a qualche mese dall'incidente Andrade inizia ad avere problemi di vista, che anno dopo anno degenereranno. E' l'inizio del declino della “Maravilla Negra”, uno dei primi "fluidificanti" della storia del calcio, capace di ripiegare in difesa come di inserirsi e colpire in avanti. Josè fa in tempo ad essere convocato per i primi Mondiali della storia del calcio: si gioca proprio in Uruguay, nel 1930, la Celeste si laurea Campione del Mondo battendo in finale ancora una volta l'Argentina. Andrade non è più quello di un tempo, i trent'anni sono alle porte e gli effetti di una vita sregolata colma di stravizi iniziano a farsi sentire: nonostante questo, gioca tutte le partite che portano al titolo, solo arretrando e restringendo di alcuni metri il proprio raggio d'azione. Non è più la “Maravilla Negra”, ma è una pedina fondamentale nella Celeste Campione del Mondo. Si trasferisce al Penarol, ci resta per due anni vincendo il titolo nel 1932, chiude al Wanderers nel 1933, ultima stagione prima di appendere le scarpe al chiodo.

Smette con il calcio, non con i vizi. I viaggi verso quella Parigi che l'aveva stregato nel 1924 continuano, continuano gli eccessi con l'alcool: arrivano i primi problemi di salute, l'occhio peggiora fino alla cecità, il denaro guadagnato negli anni da calciatore viene sperperato giorno dopo giorno. Josè ci vede con un solo occhio quando, il 16 luglio del 1950, siede sulle tribune del Maracanà di Rio de Janeiro: è il giorno del “Maracanazo”, il giorno della tragedia sportiva più grande della storia del Brasile, il giorno in cui l'Uruguay alza al cielo la sua seconda Coppa del Mondo. In campo con la casacca Celeste c'è un altro Andrade, Victor Pablo Rodriguez, nipote di Josè. 

E' forse l'ultima gioia della vita di Andrade, che vive i suoi ultimi anni in uno stato di tragica povertà. Ha speso tutto in alcool e donne, ha speso tutto nelle sue infinite notti parigine. Nel 1956 un giornalista tedesco, Fritz Hack, atterra a Montevideo per intervistarlo. Lo cerca per giorni, lo trova in un tugurio a Calle Perazza, nei bassifondi della città, in una specie di sotterraneo arredato. Josè, completamente eroso dall'alcool, non è nelle condizioni di rispondere alle domande del reporter: a rispondere è sua sorella, che si prende cura di lui. Per la “Maravilla Negra” la fine arriva un anno dopo, il 5 ottobre del 1957, ad appena 56 anni. Lo uccide la tubercolosi, lo uccidono i vizi di una vita vissuta pericolosamente oltre i limiti. Accanto al suo corpo senza vita, secondo le cronache dell'epoca, una scatola di cartone, all'interno tutte le medaglie vinte sui campi durante la sua carriera. 

Una carriera che lo ha visto dominare il mondo indossando una maglietta Celeste, prima di finire nell'oblìo, inghiottito dalle sue stesse debolezze.

[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata 

FONTI

Eduardo Galeano - “Spendori e miserie del gioco del calcio” (Sperling & Kupfer Editori) 

Giorgio Bureddu-Alessandra Giardini - “Maledetti sudamericani. Il calcio alla fine del mondo” (Ultra Sport) 

Graziana Urso - “La Maravilla Negra” su www.storiedisport.it 

acsunuruguaynegro.blogspot.it 

Gianni Cerasuolo, “La mezzala cieca” - http://www.succedeoggi.it/2014/05/andrade-la-mezzala-cieca/

Gigi Garanzini - “Il minuto di silenzio” (Mondadori)

FOTOGRAFIE

1 – en.wikipedia.org
2 – www.lacelesteblog.com
3 – ww.imortaisdofutebol.com

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