Villa Fiorito, barrio posto nella
periferia sud di Buenos Aires, non è esattamente il migliore dei
luoghi dove vivere. Anzi, si potrebbe proprio dire che, se proprio
non ci son di mezzo cause di forza maggiore, è decisamente
consigliabile tenersi alla larga da quel quartiere: strade
dissestate, baracche a perdita d'occhio, la malavita e i trafficanti
d'armi a dettare legge. Se qualche temerario, all'alba degli anni
Settanta, avesse però trovato il coraggio di fare quattro passi in
quell'angolo di mondo dimenticato da Dio, avrebbe avuto buone
probabilità di imbattersi, in uno dei campetti polverosi che si
trovano in ogni periferia di ogni città di ogni nazione colonizzata
dal calcio, in una squadra di ragazzini che, in quegli anni, fece
molto parlare di sé nella capitale argentina. “Los Cebollitas”,
si facevano chiamare: “le cipolline”, nome che di certo non
potrebbe incutere timore in alcun avversario. Poco male, quella era
in realtà una selezione giovanile dipendente dall'Argentinos
Juniors, una squadra che non badava alle apparenze, quello era un
gruppo di ragazzini che preferiva che a parlare fosse il campo, e il
campo, nel 1973, raccontò di una squadra capace di vincere 136
partite una in fila all'altra, conquistando due campionati più un
torneo di calcio giovanile intitolato a Evita Peròn.
Una squadra, quella delle Cebollitas,
nata dall'idea di Francisco Cornejo, allenatore delle giovanili
dell'Argentinos Juniors che un bel giorno decise di mettere insieme
una formazione di ragazzini di Villa Fiorito: un modo come un altro
per toglierli dalla strada, quei ragazzini, per provare ad indicare
loro una strada migliore rispetto a quello che il barrio, quasi
inevitabilmente, avrebbe riservato loro. Iniziò così la ricerca
battendo le strade, i campetti, i cortili, riuscendo così a mettere
insieme un buon numero di ragazzi del '60: così nacquero le
“cipolline” che avrebbero stupito Buenos Aires. La due stelline
più splendenti di una squadra che, come abbiamo visto, macinava
vittorie su vittorie, erano Diego e Gregorio, due ragazzini piccoli,
magri, cui Madre Natura aveva regalato un talento fuori dal comune
per il calcio: forse una ricompensa per quel destino infame, quello
che aveva scelto per loro Villa Fiorito come luogo dove nascere e
crescere. In un primo momento, in realtà, Cornejo aveva individuato
solamente Gregorio: tutti, nel barrio, gli parlavano di quel
ragazzino fenomenale col pallone tra i piedi. Se davvero “don
Francisco” voleva mettere su una squadra di ragazzini del '60 nati
a Villa Fiorito, Gregorio avrebbe dovuto farne parte senza se e senza
ma. Era stato poi lui, lo stesso Gregorio, a chiedere a Cornejo il
permesso di aggregare un altro ragazzo del barrio: “Posso portare
anche Diego? E' un ragazzo che spacca” aveva domandato Gregorio, ed
ecco che in un attimo era nata la coppia più strabiliante della
storia del calcio giovanile argentino.
Dribbling, numeri, tocchi di classe. E
gol, tanti, tantissimi gol. Gregorio e Diego, Diego e Gregorio,
inseparabili anche fuori dal campo, trascinano le Cebollitas e
stupiscono gli osservatori delle “big” del calcio argentino, tra
i quali l'opinione è pressochè unanime: il loro futuro sarà sui
campi da calcio, e sarà ad altissimi livelli. Osservatori che però
avranno ragione solamente a metà. Sì perchè Diego è Diego Armando
Maradona, per molti il più grande, Gregorio è invece Gregorio
Carrizo, un nome che a tanti - quasi tutti – non dice
assolutamente nulla. Eppure, ancora oggi, nel barrio di Villa
Fiorito, c'è chi è pronto a giurare che Carrizo era ancor più
bravo di Maradona, più bravo di quel giocatore che per tanti è una
semi-divinità, più che un semplice calciatore. Gregorio è nato il
21 ottobre del 1960, 9 giorni prima di Diego, insieme crescono tra i
vicoli del barrio, insieme tirano i primi calci al pallone, insieme
alzano le prime coppe: fratelli, più che semplici amici. Destini che
sembrano paralleli in tutto e per tutto, quelli di Diego e Gregorio,
destini che però, nel 1978, si dividono per non reincontrarsi mai
più.
E dato che l'amore racchiude in sé,
allo stesso tempo, gioia infinita e sofferenza profonda, a tradire
Gregorio è proprio ciò che lui, da sempre, ama di più: il
dribbling. Quando il salto in prima squadra per lui sembra imminente,
Gregorio, nel cercare di saltare un avversario, crolla a terra: il
ginocchio ha ceduto, il “crac” sinistro irradiatosi
dall'articolazione non lascia presagire nulla di buono. E nulla di
buono sarà: Gregorio s'è rotto tutto, dal menisco ai legamenti.
Mentre Diego esordisce in prima squadra con l'Argentinos e spicca il
volo verso l'Olimpo dei più grandi della storia del calcio, Gregorio
vede infrangersi insieme al suo ginocchio tutti i sogni di gloria, i
sogni di un futuro migliore, quel futuro che Villa Fiorito non gli
può garantire. “El Goyo” - così veniva chiamato nel barrio –
capisce all'istante che quel futuro da campione che tutti avevano
predetto per lui non arriverà mai. Lo capisce, probabilmente cerca
di negarlo a sé stesso e agli altri, ma lo capisce: è finita. Lui
lo sa, nel profondo del suo essere, lo sa che nulla sarà più come
prima. Gregorio, infatti, si arrende all'istante. Il suo è un
infortunio grave, ma dal quale si può provare a recuperare. Ma lui,
“El Goyo”, si scopre fragile: serve una riabilitazione di sei
mesi, lui molla dopo appena venti giorni. Baciato da un talento fuori
dalla norma, sul campo non aveva mai avuto bisogno di lottare, tanto
facile gli riusciva ogni cosa, col pallone tra i piedi. Ora però
c'era da stringere i pugni e rispondere colpo su colpo alle botte
inferte dal destino. Eppure Diego, il suo amico Diego, che nel
frattempo sta bruciando le tappe verso un futuro da semi-divinità,
si offre di pagargli le cure.
Ma paradossalmente è proprio lui,
Diego Armando Maradona, il più grande nemico di Gregorio. Diego suo
fratello, Diego il suo compagno di squadra da una vita, Diego che gli
ha fornito centinaia, forse migliaia di assist. Diego che ora ha
l'Argentina ai suoi piedi (o al suo piede, il sinistro), mentre
Gregorio a malapena riesce a camminare dopo quel maledetto crac. E'
Diego, o meglio, il confronto continuo con Diego, ad affossare ancor
di più Gregorio. Avevano camminato insieme per una vita, avevano
vinto insieme sui campi polverosi delle periferie di Buenos Aires,
insieme avevano sognato un futuro migliore, lontano dal barrio,
insieme avrebbero dovuto conquistare l'Argentina, e poi il mondo,
tirando calci ad un pallone. Poi quel dribbling finito male, quel
ginocchio che non risponde, che cede, che va in frantumi. E le strade
che si dividono, con Diego che imbocca quella che porta al Paradiso,
con Gregorio che viene sputato all'inferno. Senza troppa grinta,
senza troppa determinazione, perchè quelle sono andate distrutte
insieme al suo ginocchio, “El Goyo” prova a tornare, ma è un
ritorno triste. Colui che per molti era più forte di Maradona non è
che la controfigura del sé stesso che fu, ma soprattutto di quel che
avrebbe dovuto essere. Un lungo peregrinare su campi periferici,
sempre più giù, di città in città, di categoria in categoria:
Dock Sud, All Boys, Independiente Rivadavia, Talleres di Medonza,
Barracas Central. Ma su ogni campo in cui Gregorio è di scena, alle
sue spalle c'è lo spettro di Diego, lo spettro di quel futuro che
avrebbe dovuto essere e che invece non è stato. Da lui, che in tanti
ancora riconoscono come colui che “era più forte di Maradona”,
tutti si aspettano sempre qualcosa in più. Lui per primo vorrebbe da
sé stesso qual qualcosa in più, abituato com'era stato, prima
dell'infortunio, a immaginarsi davanti agli occhi un futuro da
centravanti della Selecciòn. Non la vestirà mai, l'Albiceleste.
Gregorio smette con il calcio mentre quello che era stato suo
fratello, lui sì con la maglietta dell'Argentina sulla pelle, alza
la Coppa del Mondo. Diego è partito alla conquista del mondo,
Gregorio, per tanti il più bravo tra i due, rimane ancorato al suo
destino, condannato a rimanere per sempre intrappolato nel barrio di
Villa Fiorito.
E a Villa Fiorito, Gregorio, vive
ancora oggi, insieme alla moglie e ai sei figli. Dal giorno di
quell'infortunio, quello in cui due vite fino ad allora parallele
separarono le loro strade per non unirle mai più, sono passati quasi
40 anni. Diego è diventato il Pibe de Oro, Gregorio è rimasto tra
le sue strade, tra i suoi vicoli, quelli dove le Cebollitas,
all'inizio degli anni Settanta, imperversavano (e vincevano).
Quarant'anni in cui Gregorio ha dovuto arrangiarsi facendo un po' di
tutto, dall'attacchino al muratore, passando per il venditore
ambulante e, ovviamente, l'osservatore calcistico: perchè l'amore
per il pallone, quello no, non è andato in frantumi insieme al suo
ginocchio. Non sono stati quarant'anni facili, per “El Goyo”. Ci
sono state sere in cui il peso di quel fallimento, di quel “fracaso”,
era quasi insostenibile, ci sono state sere in cui il pensiero di ciò
che avrebbe potuto essere la sua vita senza quell'infortunio faceva
scoppiare la testa. Sere in cui essere cresciuto insieme al più
grande di tutti non era un onore, ma una condanna. E poi la miseria,
che è brutta per tutti, ma se arriva all'improvviso, dopo che tutti
hanno disegnato per te un futuro da star e tu ci hai creduto, è
ancor più terribile, specie se hai sei bocche da sfamare. E ancora
tutte quelle persone che ti riconoscono, e ti chiedono di Diego, e
non fanno altro che ricordarti quel che vorresti cancellare, quel
destino da campione che per te non è arrivato mai. Farla finita, in
quelle sere, sembra l'unica via d'uscita, l'unico antidoto contro il
dolore che ti avvelena l'esistenza.
Ma Gregorio, stavolta sì, trova la
forza per vincere la lotta. E oggi è ancora lì, tra i vicoli di
Villa Fiorito, a raccontare delle Cebollitas, di quella squadra che
non perdeva mai, di quegli anni meravigliosi in cui mezza Buenos
Aires parlava di lui. E di Diego. Parla anche di Diego, “El Goyo”.
Si sono rivisti raramente, loro due che un tempo erano stati
fratelli, in questi quarant'anni. Si dice che Diego non si sia
dimenticato di Gregorio, si dice che gli abbia anche offerto un aiuto
economico, un posto dove andare a vivere insieme alla famiglia. Si
dice però che Gregorio, orgoglioso com'era e com'è, abbia
rifiutato. Di certo lui non ha dimenticato Diego. E proprio come il
Pibe, Diego Armando, Gregorio ha chiamato uno dei suoi figli: è nato
nel 1999, negli istanti in cui l'ex numero 10 delle Cebollitas
lottava per la vita dopo un'overdose. Perchè sì, Maradona è stato
per “El Goyo” una condanna perenne, un fantasma che ha
accompagnato la sua esistenza, ma Diego, quel Diego compagno di anni
felici, è stato suo fratello. E i fratelli non si dimenticano.
Nemmeno se arrivano in cima al mondo, mentre tu sei rimasto tra le
strade e i vicoli del barrio.
La vita di Gregorio Carrizo è
raccontata in un emozionante docu-film, “El Otro Maradona”,
curato dai registi Ezequiel Luka e Gabriel Amiel, una pellicola che
in Sud America ha fatto incetta di premi. In questo lungometraggio
Maradona non compare mai. Come un fantasma, quello spettro che ha
accompagnato Gregorio ogni giorno, dal 1978 ad oggi. Quello spettro
che di tanto in tanto lo tormentava sussurrandogli all'orecchio
parole che suonavano più o meno così: “Eri tu il più bravo”.
E se oggi trovaste il coraggio di
addentrarvi nel cuore del barrio di Villa Fiorito, potreste trovarle
davvero persone disposte a raccontarvi della meravigliosa storia
delle Cebollitas. Di quando Diego non era il più forte di tutti. Era
solo il più forte dopo Carrizo.
[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata
FONTI
1- http://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2016/04/22/news/il_gemello_di_maradona_piu_bravo_e_sfortunato_-138230373/
2- http://www.elotromaradona.com.ar/es.html
3- Locos por el Futbol - Carlo Pizzigoni - Sperling & Kupfer
4-http://www.elequipo-deportea.com/futbol/159/goyo--el-hombre-que-vivio-a-la-sombra-de-maradona.html
FOTO
1 - www.tribunahispanausa.com
2,3 - www.repubblica.it
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