tag:blogger.com,1999:blog-42024152180458462692024-03-13T02:49:37.775+01:00Libero PalloneAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.comBlogger90125tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-6975832065510309932018-05-29T20:32:00.001+02:002018-05-29T20:32:36.557+02:00Il calcio è in mano agli animali<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-J2pSuDVn1Js/Ww2cn3lY9sI/AAAAAAAABNI/nGhiflR0KEAr6xQCtnHWag8gjiO2DBplQCLcBGAs/s1600/rissa.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="555" data-original-width="960" height="185" src="https://3.bp.blogspot.com/-J2pSuDVn1Js/Ww2cn3lY9sI/AAAAAAAABNI/nGhiflR0KEAr6xQCtnHWag8gjiO2DBplQCLcBGAs/s320/rissa.jpg" width="320" /></a></div>
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Amo il calcio, lo amo da sempre e lo amo in ogni sua forma. Domenica, per lavoro, ho seguito una partita valida per i playoff di Prima Categoria. Un incontro che seguivo in maniera assolutamente neutrale, senza "parteggiare" per l'una o per l'altra squadra. Lo spettacolo, in campo, è stato decisamente piacevole: bella partita, combattuta, giocata bene da due squadre forti ed organizzate.</div>
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Il problema, anzi i problemi, stavano fuori dal campo. Fin dai primi minuti della partita (e intendo proprio i primi) alcuni "tifosi" della squadra ospite hanno preso a vomitare una serie di indicibili offese verso il direttore di gara. Ragazzi con la divisa sociale, signori anziani parsi educati ed eleganti fino ad un secondo prima del fischio d'inizio, signore di mezza età che sfoggiavano il vestito "da festa", quello della domenica, persino signore che la mezza età l'hanno superata da un po': insulti, offese che andavano ben al di là del classico e per certi versi goliardico "arbitro cornuto", vene che si gonfiavano lungo i loro colli, occhi spiritati. E no, non sto esagerando, è quel che ho visto domenica, sostanzialmente ad ogni singolo fischio dell'arbitro (o mancato fischio): ogni decisione era sbagliata, e anche quando era corretta, secondo questo branco di animali non era accompagnata dal cartellino del colore giusto. Quando un tifoso della squadra opposta ha osato educatamente insinuare il dubbio che forse queste persone stessero esagerando, è stato a propria volta aggredito verbalmente, alcuni degli animali gli si sono anche minacciosamente avvicinati intimandogli di "farsi i cazzi suoi", perchè "loro stavano parlando con l'arbitro, e mica con lui". Non sono scene che mi stupiscono, ma raramente mi era successo di vedere così tanto odio, così tanta violenza verbale, così tanta rabbia (peraltro totalmente immotivata, considerata l'ottima direzione dell'arbitro).</div>
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Tutto questo spiegone per arrivare al dunque. Amo il calcio, lo amo da sempre e lo amo in ogni sua forma. Ma domenica, per la prima volta in tutta la mia vita, per la prima volta dopo migliaia di partite seguite per lavoro o per passione, avrei voluto andarmene da quella tribuna. Di solito, quando guardo una partita mi sento al posto giusto nel mondo per 90 minuti più recupero: domenica non è stato così. Per la prima volta la voglia di vedere un pallone che rotola inseguito da 22 uomini è svanita. Mentre me ne stavo seduto lì, mentre quel gruppo di invasati rovesciava verso il campo tutto il suo odio, dentro di me saliva il desiderio di andarmene: avrei preferito davvero fare altro, avrei preferito dedicarmi a qualcuna di quelle cose che trascuro e ho sempre trascurato per fare posto al calcio.</div>
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Perchè insieme alla voglia di andarmene saliva anche la rassegnazione: il calcio ormai è in mano a questi animali. E questi animali mi fanno sentire sempre più lontano da quello che da vent'anni è il mio mondo preferito.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-43057635436571699692017-12-27T19:27:00.002+01:002017-12-27T19:27:18.908+01:001981, fuga da Dresda<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-9bCCYj5Z2KI/WkPltDKmF9I/AAAAAAAABF8/C1UcUfUKpbkVD_cOQFnAqhtw9aUxNBwSACLcBGAs/s1600/fuga%2Bda%2Bdresda.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="250" data-original-width="512" height="155" src="https://3.bp.blogspot.com/-9bCCYj5Z2KI/WkPltDKmF9I/AAAAAAAABF8/C1UcUfUKpbkVD_cOQFnAqhtw9aUxNBwSACLcBGAs/s320/fuga%2Bda%2Bdresda.png" width="320" /></a></div>
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Fuggire al controllo della Stasi, nella Germania dell'Est, non era di certo cosa facile. Non si muoveva foglia, ad est di Berlino, senza che il Ministero per la Sicurezza di Stato - Ministerium für Staatssicherheit in tedesco– comunemente conosciuto, per l'appunto, come Stasi, ne fosse a conoscenza. Un'organizzazione capillare costituita da una fitta rete di funzionari, collaboratori ed informatori: si dice che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso circa un tedesco orientale ogni 60 fosse al soldo della Stasi. Fuggire all'occhio vigile del Ministero per la Sicurezza della Ddr, insomma, era quasi impossibile.</div>
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Una rete che aveva allungato le sue maglie inserendo spie e informatori anche all'interno della totalità delle società calcistiche della parte orientale della Germania. Il partito socialista non teneva in grande considerazione il calcio – posizionato infatti appena al quattordicesimo posto nelle discipline sovvenzionate dallo Stato – ma era perfettamente consapevole della sua rilevanza popolare, motivo per il quale si riteneva necessario mantenervi un certo controllo. I calciatori, anche in Germania Est, erano considerati dei privilegiati, economicamente, rispetto al resto della popolazione “normale”. Nulla di paragonabile, però, a quanto accadeva nel resto d'Europa (o per lo meno nei principali campionati), dove la figura del calciatore si stava progressivamente trasformando in quella di divo multimilionario. Uno status, quest'ultimo, che faceva gola a molte delle stelle del calcio della Germania Est, allettate dall'idea di poter moltiplicare quel che era il loro compenso “solo” trasferendosi ad ovest della Cortina di Ferro. “Solo”, con quelle virgolette bene evidenti, sì, perchè oltrepassarlo, quel muro, non era impresa facile. Il caso più celebre, in questo senso, è quello di Lutz Eigendorf, centrocampista della Dynamo Berlino che riuscì a fuggire ad ovest nel 1979 per giocare prima nel Kaiserslautern e poi nell'Eintracht Braunschweig. Morì nel 1983, in un incidente stradale dalle circostanze misteriose: dietro alla sua morte, secondo l'inchiesta del giornalista Jochen Doring, potrebbe esserci proprio la mano della Stasi, che avrebbe insomma punito il centrocampista per la sua fuga. Di fatto, agli occhi del partito socialista e di Erich Mielke, capo del Ministero della Sicurezza, un vero e proprio tradimento. Tradimento doppio, considerato che Eigendorf era tesserato proprio per la Dynamo Berlino, la squadra sotto l'ègida della Stasi. Una fuga, quella di Eigendorf, dopo la quale la rete della Stasi diventò ancor più vigile: l'ordine era quello di evitare altri “tradimenti”.</div>
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Se ne resero conto il 23 gennaio del 1981 Gerd Weber, Matthias Muller e Peter Kotte.</div>
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Centrocampisti i primi due, rispettivamente nati nel '56 e nel '54, attaccante il terzo, anche lui del '54, militavano nella Dynamo Dresda, formazione che ormai da tre anni assisteva al dominio della Dynamo Berlino in Oberliga, la massima serie calcistica in Germania dell'Est. Un dominio, quello della squadra della Stasi, sul quale restano tante, tantissime ombre: tra arbitraggi accomodanti e il sistematico “saccheggio” dei migliori calciatori delle altre squadre con metodi più o meno leciti, ad ogni modo, i berlinesi dell'est conquistarono, dal '79 all'88, ben dieci titoli consecutivi.</div>
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Weber, Muller e Kotte ne avevano probabilmente abbastanza di partecipare ad un campionato dal vincitore già scritto, ad un torneo sempre più simile ad una farsa. Fu probabilmente anche per questo, oltre che per i sogni di ricchezza che li attendevano ad ovest del muro, che i tre iniziarono a progettare una fuga, seguendo l'esempio di Eigendorf, oltre che di tanti altri calciatori e sportivi della Germania Est. Riuscirono a stringere contatti con la dirigenza del Colonia, che promise un contratto da 200 mila marchi a testa a tutti e tre i calciatori: cifre impensabili per chi giocava a calcio ad est della Cortina di Ferro, cifre che, come si dice, non si potevano rifiutare.</div>
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Il piano, però, arrivò alle orecchie delle spie della Stasi. La quale presentò ai tre il conto il 23 gennaio del 1981, quando si trovavano con la nazionale, pronti a partire per una tournèe in Sud America, all'aeroporto Schoenenfeld a Berlino. I servizi segreti avevano intercettato i contatti con il Colonia, Weber, Muller e Kotte furono arrestati. “Tentativo di fuga dalla Repubblica e tradimento dello Stato” l'accusa mossa nei confronti dei tre fuggitivi, che non solo videro svanire il sogno di sbarcare in Bundesliga, ma che allo stesso tempo si ritrovarono costretti a chiudere anzitempo, alla soglia dei 25 anni, le loro giovani carriere. </div>
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Le pene, infatti, furono severissime. Weber, individuato dalla Stasi come la mente del piano, fu condannato a 7 anni e 6 mesi di carcere e squalificato a vita dai campi di tutta la Germania Est, anche quelli amatoriali. Muller e Kotte, dal canto loro, furono banditi dall'Oberliga, condanna che di fatto chiuse anche le loro carriere in nazionale, e furono costretti a lasciare rispettivamente il lavoro in Polizia e gli studi all'Università. Esclusi, chiaramente, dalla Dynamo Dresda, ai tre fu inoltre interdetto ogni tipo di contatto con gli ormai ex compagni di squadra. Weber tornò ad essere un uomo libero solamente il 12 agosto del 1989, giorno in cui fu scarcerato, dopodichè riuscì finalmente a mettere in atto il suo piano, con sette anni di ritardo, fuggendo nella parte occidentale della Germania. Muller e Kotte, come detto squalificati dalla massima serie, proseguirono le loro carriere nel Fortschritt Neustadt, formazione dilettantistica della Sassonia. Muller, nel '90, coronò effettivamente il sogno di giocare ad ovest, venendo tesserato, a 36 anni, dal Tennis Borussia Berlino, società che oggi langue in quinta serie: i suoi anni migliori, tuttavia, erano ormai passati.</div>
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Una storia che colpisce, quella di Weber, Muller e Kotte, una storia che sembra provenire da un altro mondo, un altro calcio. Ed effettivamente lo era, la Germania Est, un altro mondo. Un mondo in cui tre calciatori vennero sacrificati sull'altare della fedeltà ad uno stato che prima aveva promesso libertà e poi l'aveva negata, facendo nascere nei cuori di tanti, tantissimi giovani, propositi di fuga. E non erano tre calciatori qualunque, quelli. Gerd Weber, nel '76, aveva fatto parte della rosa della selezione olimpica che era tornata da Montreal con la medaglia d'oro, Muller era invece parte della Ddr che conquistò l'argento a Mosca, quattro anni dopo. I tre mettevano insieme 58 presenze e 8 reti in nazionale, rappresentando un patrimonio calcistico importante per la Germania Est: non abbastanza importante, però, da permettere loro di avere salva la carriera (e la libertà).</div>
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<b style="background-color: #666666; color: white; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata </b></div>
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<b>FONTI</b></div>
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<i>Storie di calcio - http://storiedicalcio.altervista.org/blog/ddr_storia.html</i></div>
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<i><br /></i></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<i>L'Uomo nel pallone - http://www.uomonelpallone.it/lutz-eigendorf-vita-e-morte-del-beckenbauer-dellest/</i></div>
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<i><br /></i></div>
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<i>STASI Football Club, Il calcio al di là del muro – Vincenzo Paliotto, Urbone Publishing</i></div>
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<i><br /></i></div>
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<b>FOTOGRAFIE</b></div>
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<i><br /></i></div>
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<i>1 - www.spot.de; www.docplayer.org, it.wikipedia.org</i></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-61888653727333736262017-11-28T16:31:00.000+01:002017-11-28T16:31:13.990+01:00Cesàreo Onzari e il Gol Olimpico<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-C9n1GpGyfDQ/Wh2BB_g4G_I/AAAAAAAABFc/UC4hlb8bD5wpVXlSaqDD24qCFpwVh1kXwCLcBGAs/s1600/onzari1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="733" data-original-width="960" height="244" src="https://1.bp.blogspot.com/-C9n1GpGyfDQ/Wh2BB_g4G_I/AAAAAAAABFc/UC4hlb8bD5wpVXlSaqDD24qCFpwVh1kXwCLcBGAs/s320/onzari1.jpg" width="320" /></a></div>
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Ci sono gesti tecnici che restano, e resteranno per sempre, indissolubilmente legati ai giocatori che li hanno resi celebri. E' così, per esempio, che quando un calciatore esegue il cosiddetto “elastico”, la mente di ogni appassionato va a Ronaldinho, tra i più formidabili esecutori del gesto. E così per tante altre finte, tanti altri movimenti che ogni giorno vanno in scena sui campi del pianeta. C'è però un gesto tecnico, una giocata, che ha visto il nome del suo “padre” scivolare via, quasi dimenticato tra le pagine di storia del calcio. E' il gol segnato direttamente da calcio d'angolo: si usa chiamarlo “gol olimpico”, soprattutto nei paesi dell'America Latina. Questo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non perchè fu segnato durante un'Olimpiade. </div>
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Per risalire alla genesi di questa definizione serve riavvolgere il nastro del tempo fino al 2 ottobre 1924. Lo scenario è quello dello stadio “Iriarte y Luzuriaga” di Buenos Aires, impianto oggi demolito, allora casa dello Sportivo Barracas, società che fu capace anche di vincere un titolo nazionale, prima di scomparire nel 1936. Su quel campo, quel giorno, si gioca un'amichevole tra l'Argentina e l'Uruguay, ammesso che tra Argentina e Uruguay, in un campo di calcio, possa esistere qualcosa di amichevole. Le due nazionali si sono già incontrate pochi giorni prima a Montevideo, è finita 1-1. Non è esattamente “da amichevole” il pubblico: sugli spalti, secondo il quotidiano “La Nacion”, si sistemano 52 mila persone, in uno stadio dalla capienza massima di 40 mila spettatori. Ci sono tifosi anche a bordo campo, dov'è stata piazzata per l'occasione una speciale barriera anti-invasione. Secondo le cronache dell'epoca, per la prima volta in Argentina si vedono i cosiddetti “bagarini”, che fuori dallo stadio rivendono i biglietti per la partita a prezzi esorbitanti. E' anche la prima partita trasmessa in diretta dalla radio argentina: la cronaca è affidata ad Atilio Cassime, giornalista del “Diario Critica”. Insomma, la gara è sentita, è partita vera.</div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-KqqVCRELaMs/Wh2BBpZ1l4I/AAAAAAAABFY/_iGyCkTkPPkwBa1Q4PHycVb8ukOc9uOygCEwYBhgL/s1600/onzari.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1128" data-original-width="870" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-KqqVCRELaMs/Wh2BBpZ1l4I/AAAAAAAABFY/_iGyCkTkPPkwBa1Q4PHycVb8ukOc9uOygCEwYBhgL/s320/onzari.jpg" width="246" /></a></div>
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Poi si gioca: al 15' del primo tempo l'Argentina batte un calcio d'angolo da sinistra, sul pallone va Cesareo Onzari, guizzante ala dell'Huracan. Nato nel 1903, Onzari spende con la “camiseta” dei “Quemeros” l'intera carriera, – ad eccezione di una parentesi di un anno al Boca Juniors – vive il passaggio dal dilettantismo al professionismo del calcio argentino, tra il 1921 e il 1933 colleziona 157 presenze e 61 reti, eppure tutti questi numeri, tutto ciò che sarà in grado di dimostrare in più di dieci anni di militanza, verrà oscurato da ciò che Cesareo sta per fare, in quel pomeriggio di ottobre del 1924, con la maglia albiceleste. Onzari, dicevamo, si incarica di battere il corner: dal suo destro nasce una parabola arcuata, che prende uno strano effetto e improvvisamente rientra verso la porta uruguagia difesa da Mazali. Nessuno tocca, la sfera termina la sua corsa in fondo alla rete. Ne nasce un parapiglia: l'Uruguay, passato lo stupore per quanto appena visto, protesta furente, sostiene che il gol non sia valido, che sia da annullare per una spinta nei confronti di Mazali. L'arbitro non li ascolta, allora gli uruguaiani sostengono che il gol non sia valido perchè il pallone è stato sospinto in porta dal vento. Nulla da fare, il gol è convalidato, l'Argentina è in vantaggio. Non lo sarebbe stato fino a cento giorni prima: tanto è passato dal giorno di giugno in cui l'International Board della Fifa ha sancito che è possibile realizzare un gol calciando direttamente dal calcio d'angolo. La modifica è stata decisa dopo un gol realizzato da tale Sam Chedgzoy, calciatore inglese dell'Everton che poco tempo prima ha evidenziato una “falla” nel regolamento. Le norme, infatti, stabilivano che il gol, dopo il calcio d'angolo, fosse valido solo dopo il tocco di un secondo giocatore, ma non specificavano quanti tocchi erano consentiti a chi batteva. Su suggerimento di un giornalista di Liverpool, Chedgzoy un giorno è partito palla al piede dalla bandierina, tra lo stupore di arbitro, compagni ed avversari, è arrivato in area e ha calciato in porta: dopo quest'episodio l'Ifab ha deciso di mettere mano al regolamento. Ai giocatori della Celeste, però, delle modifiche al regolamento importa zero: la partita da tesa diventa incandescente, la contesa si trasforma in una corrida. </div>
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-KfrNzCOrulQ/Wh2BCBdn5TI/AAAAAAAABFg/tRadA67V97kutMSDASgzoSh6k5jha3j3QCEwYBhgL/s1600/onzari2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="959" data-original-width="870" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-KfrNzCOrulQ/Wh2BCBdn5TI/AAAAAAAABFg/tRadA67V97kutMSDASgzoSh6k5jha3j3QCEwYBhgL/s320/onzari2.jpg" width="290" /></a></div>
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Sulle pagine de “El Grafico” si parla di “guerriglia”. Gli uruguagi si sentono defraudati, vittime di un'ingiustizia, e passano alle maniere forti. In poche parole, iniziano a volare calci, quasi mai alla palla, e colpi proibiti in ogni zona del campo. Ne fa le spese l'argentino Adolfo Celli, che si rompe tibia e perone e sarà costretto al ritiro dal calcio. Il pubblico di Buenos Aires ruggisce, dalle tribune dello stadio “Iriarte y Luzuriaga” partono sassi e bottiglie indirizzati ai calciatori uruguaiani. L'Argentina vince 2-1: dopo il gol di Onzari pareggia Pedro Cea, Domingo Tarascone firma il nuovo vantaggio albiceleste. Ma la cronaca sportiva è solo un contorno, è la violenza a dominare la scena. I giocatori della Celeste, non proprio dei codardi, ma bersagliati come detto dal lancio di oggetti dalle tribune, decidono di lasciare il campo cinque minuti prima della fine dell'incontro. La Polizia presente a bordo campo cerca di fermarli, Scarone rifila un cazzotto ad un agente, e al posto di trovare rifugio negli spogliatoi viene condotto in commissariato, dove passerà qualche ora non esattamente piacevole. La rivalità rioplatense tocca uno dei suoi picchi più alti, ma ad essere consegnato ai libri di storia, in questo pomeriggio di follia, è il gol di Cesareo Onzari: da quel giorno il gol segnato direttamente da corner si chiamerà “gol olimpico”. Olimpico, perchè segnato contro l'Uruguay che pochi mesi prima aveva vinto la medaglia d'oro ai Giochi di Parigi. Quello di Onzari non è in realtà il primo gol in assoluto segnato direttamente dalla bandierina: Billy Alston, citato anche dalla stessa Fifa, il 21 agosto ne ha segnato uno analogo in una partita di seconda divisione scozzese. Il nome che passa alla storia, però, è quello di Onzari: vuoi per la risonanza di una gara tra le più sentite al mondo come Argentina-Uruguay, vuoi per il desiderio degli argentini di sventolare un primato, seppur minore, in faccia agli odiati vicini, il gol dell'ala dell'Huracan passa alla storia come “gol olimpico”. </div>
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La leggenda racconta che Onzari passerà il resto della propria vita – morirà nel 1964 – a giurare a tutti che quel gol fu gesto voluto, frutto di una sua geniale intuizione e non del caso. Non tutti ne venivano convinti, “Mi è riuscito perchè doveva riuscirmi”, raccontava Cesareo Ciò che è certo è che a quel gol, e a tutti i “gol olimpici”, verrà per sempre legato il tuo nome. Lo hanno imitato negli anni Beckham, Recoba, Veròn, ma il “padre” del “gol olimpico” è e sarà per sempre Cesareo Onzari.</div>
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<span style="font-family: inherit;"><b>[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata </b></span></div>
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<b>FONTI</b></div>
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1 – “La Nacion Deportiva” - http://www.lanacion.com.ar/1181561-el-gol-olimpico-cumple-85-anos</div>
<div style="text-align: justify;">
2 - “El Grafico” - http://www.elgrafico.com.ar/2014/11/17/C-5821-uruguay-argentina-de-1924-el-origen-de-la-rivalidad-rioplatense.php</div>
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3 - “Il Minuto di Silenzio” - Gigi Garanzini, Mondadori, pagg. 181-182</div>
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4 – www.valderrama.it - http://www.valderrama.it/direttamente-calcio-dangolo/</div>
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5 - “El Grafico” - http://www.elgrafico.com.ar/2017/01/05/C-17336-cesareo-onzari-el-inventor-del-gol-olimpico.php</div>
<div style="text-align: justify;">
6 - “L'uomo nel pallone” - Simone Cola, http://www.uomonelpallone.it/pionieri-cesareo-onzari/</div>
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<br /></div>
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<b>FOTOGRAFIE</b></div>
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1, 2 , 3 - “El Grafico”</div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-19609401872831933272017-11-21T16:29:00.000+01:002017-11-28T15:48:09.761+01:00Josè Andrade, dalla gloria all'oblìo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-m-VHklZo3j0/WhRFvovHaKI/AAAAAAAABFE/iZ931VwTdlQoszqO3geAM1JLDhMZR58vACEwYBhgL/s1600/andrade1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"></span></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-m-VHklZo3j0/WhRFvovHaKI/AAAAAAAABFE/iZ931VwTdlQoszqO3geAM1JLDhMZR58vACEwYBhgL/s1600/andrade1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="339" data-original-width="221" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-m-VHklZo3j0/WhRFvovHaKI/AAAAAAAABFE/iZ931VwTdlQoszqO3geAM1JLDhMZR58vACEwYBhgL/s320/andrade1.jpg" width="207" /></a></div>
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: inherit;">Il nome di Josè Andrade, a tanti appassionati di calcio di oggi, probabilmente dice poco o nulla. Eppure costui, nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo, stilata nel 2000 dall'Iffhs, figura al 29° posto, al 20° prendendo in considerazione solamente i giocatori sudamericani. Josè Andrade, insomma, fu un grandissimo sui campi di calcio, ma come tanti, troppi suoi colleghi, trovò l'oblìo una volta appesi al chiodo gli scarpini, una volta allontanatosi dalle luci della ribalta. Inghiottì sé stesso, morì lontano da tutto e da tutti. Anche per questo, oggi, non sono in molti a ricordare il suo nome. Il nome di un calciatore meraviglioso, che segnò in maniera indelebile la storia del calcio nella prima metà del secolo scorso.</span></div>
<a name='more'></a><br />
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: inherit;">Nato il 20 novembre 1901 a Salto, nella zona nord-occidentale dell'Uruguay, da madre argentina e padre afro-brasiliano, quella di Josè non è un'infanzia facile. Il padre – così narra la leggenda - è stato costretto a fuggire dal Brasile perchè accusato di magia nera, in Uruguay la famiglia si stabilisce a Montevideo, Barrio Palermo, quartiere in cui vivono quasi tutti gli afro-uruguaiani. Strade in cui regna la povertà, in cui per dimenticare la miseria si balla al ritmo del Candombe, una danza africana importata dai primi schiavi giunti in Uruguay. Vicoli in cui Josè cresce suonando il violino e il tamburo, tirando a campare facendo il calzolaio e il venditore di giornali. Finchè non scopre il pallone. E col pallone è amore a prima vista. E' alto 1 e 80, acrobatico, veloce, potente ed elegante al tempo stesso: è semplicemente fenomenale, con un pallone tra i piedi. Ed è di colore: per questo, questo straordinario ragazzo che gioca da mediano laterale diventa per tutti la “Maravilla Negra”. E' un giocatore moderno, capace di coniugare le due fasi di gioco in un'epoca in cui la distinzione tra ruoli è ancora netta.</span></div>
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: inherit;">E' il Bella Vista di Montevideo il suo primo club da calciatore professionista: in due stagioni, dal 1923 al 1925, 71 presenze e 7 reti. Ma è nel 1924 che il mondo del pallone scopre Andrade e l'Uruguay. In Sud America la Copa America, competizione continentale per nazionali di calcio, si gioca dal 1916, l'Uruguay ne ha messe in bacheca già 3, tra le quali le ultime due nel '22 e nel '23. Il 1924, dicevamo, è l'anno delle Olimpiadi di Parigi. Il calcio è protagonista della rassegna a cinque cerchi dal 1900 e finora è stato terreno di conquista per le nazioni europee. Nel 1924, però, le sudamericane sono intenzionate a mostrare al Vecchio Continente che anche al di là dell'Atlantico col pallone ci sanno decisamente fare. Siamo però in un'epoca pionieristica, una trasferta come quella parigina, per le federazioni sudamericane, rappresenta uno sforzo economico difficilmente sostenibile. Ma Atilio Narancio, presidente della federazione, ha promesso ai ragazzi della Celeste che li avrebbe portati in Francia per le Olimpiadi in caso di vittoria in Copa America. Vittoria che puntualmente è arrivata: Narancio ipoteca addirittura la sua casa, per garantire alla squadra i biglietti per la nave. I soldi bastano a malapena per raggiungere la Spagna: qui l'Uruguay disputa nove amichevoli per raccogliere il denaro necessario a raggiungere la capitale francese. Nove amichevoli, nove vittorie, e si raggiunge Parigi. In Europa è grande la curiosità nei confronti dei ragazzi arrivati dal Sud America. Alla vigilia del debutto, la Jugoslavia, prima avversaria, invia alcuni osservatori ad assistere all'allenamento della Celeste. Ernesto Figoli, allenatore uruguagio, se ne accorge. Basta un cenno, e i suoi ragazzi iniziano con una farsa che ha del geniale: i calciatori uruguagi inziano ad inciampare sul pallone, a fingersi dei completi incapaci, a mostrarsi insomma dei totali sprovveduti. Gli osservatori slavi se ne vanno, confortati da quanto visto: non sanno che quella, in realtà, è una squadra meravigliosa. Una squadra di cui Andrade è faro e stella: stupisce per le sue qualità, Josè, ma stupisce gli spettatori europei anche per il colore della pelle. In Europa – ma non solo: il Brasile ammetterà i neri in nazionale solo dal 1936 - il calcio è ancora prevalentemente un gioco per bianchi. </span></div>
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-JrQbYjINNII/WhRFvsKEZFI/AAAAAAAABFE/rGz1iWFfB2QC_oq2_Wv9f5XrT7l96IpRgCEwYBhgL/s1600/andrade2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="368" data-original-width="566" height="208" src="https://1.bp.blogspot.com/-JrQbYjINNII/WhRFvsKEZFI/AAAAAAAABFE/rGz1iWFfB2QC_oq2_Wv9f5XrT7l96IpRgCEwYBhgL/s320/andrade2.jpg" width="320" /></a></div>
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<br /></div>
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<span style="font-family: inherit;"><i>“L'Europa non aveva mai visto un nero giocare al calcio” </i></span></div>
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<span style="font-family: inherit;">Eduardo Galeano, Splendori e Miserie del Gioco del Calcio</span></div>
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Dopo quell'allenamento trasformato in geniale messa in scena, comunque, la Celeste torna a fare sul serio. Vince 7-0 contro una sbigottita Jugoslavia, 3-0 contro gli Stati Uniti, 5-1 contro la Francia, 2-1 contro i Paesi Bassi e 3-0 contro la Svizzera in finale. E' oro, l'Europa, madre del calcio, scopre che al di là dell'Atlantico gli allievi hanno superato i maestri europei. L'Europa scopre un gioco moderno, spettacolare, fatto di velocità, fraseggi, movimenti senza palla. E' un nuovo modo di giocare a calcio. L'Europa scopre Andrade, che anche se non segna dà spettacolo: è un calciatore totale, sa fare tutto, ad un fisico da corazziere abbina tecnica raffinata ed eleganza da ballerino. Andrade, a sua volta, scopre Parigi, le sue tentazioni e le sue meraviglie. La “Maravilla Negra” si fa travolgere dalla vita notturna parigina, dalle sue donne, dall'alcool.</span></div>
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><i>“Divenne un errante bohémien, re dei cabaret. Le scarpe di vernice presero il posto delle calzature sbrindellate che si era portato da Montevideo, e un cappello a cilindro sostituì il suo berrettino consunto. Le cronache dell’epoca salutano l’immagine di quel sovrano delle notti di Pigalle: il passo elastico da ballerino, l’espressione sfacciata, gli occhi socchiusi che osservavano sempre da lontano e uno sguardo assassino; fazzoletti di seta, giacca a righe, guanti bianchi e bastone con impugnatura d’argento” </i></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;">Eduardo Galeano, Splendori e Miserie del Gioco del Calcio</span></div>
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: inherit;">Andrade passa lontano dall'albergo dove alloggia la Celeste quasi ogni notte, frequenta locali nei quartieri più esclusivi di Parigi, conosce anche Josephine Baker, la celebre venere nera, ballerina e cantante di cabaret. Una mattina Josè non fa rientro in albergo, lo ritrovano in un lussuoso appartamento, circondato da bellissime donne, tutte al suo servizio. L'esperienza parigina cambia per sempre la vita di Andrade, che continuerà ad essere un grandissimo calciatore, facendo però sempre più spazio al suo lato da divo, da personaggio, da vero e proprio “dandy”. </span></div>
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<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-iCCI6JFxnUs/WhRFvqBxFGI/AAAAAAAABFE/JVaToEXrpDsNc4PEJ9vL3lCF0g6-qbk3QCEwYBhgL/s1600/andrade3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="288" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-iCCI6JFxnUs/WhRFvqBxFGI/AAAAAAAABFE/JVaToEXrpDsNc4PEJ9vL3lCF0g6-qbk3QCEwYBhgL/s320/andrade3.jpg" width="184" /></a></div>
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<br /></div>
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<span style="font-family: inherit;">Quando torna in Uruguay, Andrade firma per il Nacional di Montevideo. Ci rimane fino al 1930, ma come detto sempre più spesso all'Andrade calciatore si affianca l'Andrade musicista, estroso artista: non è raro, in quegli anni, imbattersi in lui nei locali di Montevideo, vestito con i costumi della tradizione carnevalesca, intento a suonare i suoi tamburi. Le sue prestazioni, però, non sembrano risentirne. Con l'Uruguay rivince la Copa America nel '26, nel '27 perde in finale, ma viene eletto miglior giocatore del torneo, nel '28 torna in Europa per le Olimpiadi di Amsterdam: la “Maravilla Negra” e la Celeste vincono ancora, superando in finale gli odiati “cugini” argentini. Ma è qui, ad Amsterdam, che la vita e la carriera di Andrade subiscono una decisa svolta. Succede tutto nel pomeriggio del 7 giugno 1928 allo stadio Olimpico. In un'azione di gioco della semifinale vinta 3-2 contro l'Italia, Josè sbatte violentemente contro il palo: nulla di grave, gli dicono, ma a qualche mese dall'incidente Andrade inizia ad avere problemi di vista, che anno dopo anno degenereranno. E' l'inizio del declino della “Maravilla Negra”, uno dei primi "fluidificanti" della storia del calcio, capace di ripiegare in difesa come di inserirsi e colpire in avanti. Josè fa in tempo ad essere convocato per i primi Mondiali della storia del calcio: si gioca proprio in Uruguay, nel 1930, la Celeste si laurea Campione del Mondo battendo in finale ancora una volta l'Argentina. Andrade non è più quello di un tempo, i trent'anni sono alle porte e gli effetti di una vita sregolata colma di stravizi iniziano a farsi sentire: nonostante questo, gioca tutte le partite che portano al titolo, solo arretrando e restringendo di alcuni metri il proprio raggio d'azione. Non è più la “Maravilla Negra”, ma è una pedina fondamentale nella Celeste Campione del Mondo. Si trasferisce al Penarol, ci resta per due anni vincendo il titolo nel 1932, chiude al Wanderers nel 1933, ultima stagione prima di appendere le scarpe al chiodo.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Smette con il calcio, non con i vizi. I viaggi verso quella Parigi che l'aveva stregato nel 1924 continuano, continuano gli eccessi con l'alcool: arrivano i primi problemi di salute, l'occhio peggiora fino alla cecità, il denaro guadagnato negli anni da calciatore viene sperperato giorno dopo giorno. Josè ci vede con un solo occhio quando, il 16 luglio del 1950, siede sulle tribune del Maracanà di Rio de Janeiro: è il giorno del “Maracanazo”, il giorno della tragedia sportiva più grande della storia del Brasile, il giorno in cui l'Uruguay alza al cielo la sua seconda Coppa del Mondo. In campo con la casacca Celeste c'è un altro Andrade, Victor Pablo Rodriguez, nipote di Josè. </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E' forse l'ultima gioia della vita di Andrade, che vive i suoi ultimi anni in uno stato di tragica povertà. Ha speso tutto in alcool e donne, ha speso tutto nelle sue infinite notti parigine. Nel 1956 un giornalista tedesco, Fritz Hack, atterra a Montevideo per intervistarlo. Lo cerca per giorni, lo trova in un tugurio a Calle Perazza, nei bassifondi della città, in una specie di sotterraneo arredato. Josè, completamente eroso dall'alcool, non è nelle condizioni di rispondere alle domande del reporter: a rispondere è sua sorella, che si prende cura di lui. Per la “Maravilla Negra” la fine arriva un anno dopo, il 5 ottobre del 1957, ad appena 56 anni. Lo uccide la tubercolosi, lo uccidono i vizi di una vita vissuta pericolosamente oltre i limiti. Accanto al suo corpo senza vita, secondo le cronache dell'epoca, una scatola di cartone, all'interno tutte le medaglie vinte sui campi durante la sua carriera. </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Una carriera che lo ha visto dominare il mondo indossando una maglietta Celeste, prima di finire nell'oblìo, inghiottito dalle sue stesse debolezze.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata </b></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FONTI</b></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Eduardo Galeano - “Spendori e miserie del gioco del calcio” (Sperling & Kupfer Editori) </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Giorgio Bureddu-Alessandra Giardini - “Maledetti sudamericani. Il calcio alla fine del mondo” (Ultra Sport) </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Graziana Urso - “La Maravilla Negra” su www.storiedisport.it </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">acsunuruguaynegro.blogspot.it </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Gianni Cerasuolo, “La mezzala cieca” - http://www.succedeoggi.it/2014/05/andrade-la-mezzala-cieca/</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Gigi Garanzini - “Il minuto di silenzio” (Mondadori)</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FOTOGRAFIE</b></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">1 – en.wikipedia.org</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">2 – www.lacelesteblog.com</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">3 – ww.imortaisdofutebol.com</span></div>
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-5565728075704752772017-08-07T20:30:00.000+02:002017-08-07T20:30:11.301+02:00"El Chito non deve giocare"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-IHrrtkc8m5g/WYivvwgqV7I/AAAAAAAABBs/yPnfP9CvIFcjhOvjrsk9WlvvP2mcN3K8QCLcBGAs/s1600/delatorre1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="253" data-original-width="450" height="179" src="https://3.bp.blogspot.com/-IHrrtkc8m5g/WYivvwgqV7I/AAAAAAAABBs/yPnfP9CvIFcjhOvjrsk9WlvvP2mcN3K8QCLcBGAs/s320/delatorre1.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Nell'immaginario collettivo, i Mondiali
giocati in Messico nell'estate del 1970 sono quelli di
Italia-Germania 4-3, o meglio “Italiagermaniaquattroatrè”, detto
tutto d'un fiato. Sono i Mondiali del “partido del siglo”, la
partita del secolo, della staffetta Mazzola-Rivera che divide
l'Italia, ma non solo, ovviamente. C'è anche dell'altro, tanto
altro. Sono i Mondiali del Brasile, che alza la Coppa Rimet al cielo
per la terza volta e se la prende per sempre, sono gli ultimi
Mondiali di Edson Arantes do Nascimento, gli ultimi Mondiali di Pelè.
Ma sono anche i Mondiali di Gerd Muller, che con 10 reti si prende la
palma di capocannoniere del torneo, sono i primi Mondiali trasmessi a
colori dalle tv di mezzo mondo, sono i primi in cui i direttori di
gara sventolano i cartellini, idea con la quale l'inglese Aston ha
introdotto nel mondo del pallone un linguaggio non verbale
universale, comprensibile a tutti. Ma se per caso vi ritrovaste a
scambiare quattro chiacchiere con un peruviano, e se domandaste lui
un pensiero su quei Mondiali, quelli giocati in Messico nell'estate
del 1970, è probabile che la sua risposta sarebbe su per giù la
seguente: “Una gran verguenza”. “Una gran vergogna”,
sentenzierebbe questo ipotetico peruviano. Perchè questo è stato,
per gli eredi dell'impero Inca, il Mondiale del 1970.</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Quel Perù era davvero un gran bel
Perù. La stella più luminosa risponde al nome di Teofilo Cubillas.
Due dati per tracciare il ritratto di un centrocampista meraviglioso:
338 reti in gare ufficiali carriera, è inserito al 48° posto nella
classifica IFFHS dei migliori calciatori del ventesimo secolo. E
Pelè, quel Pelè, lo ha designato come suo erede. Ma Cubillas, il
miglior calciatore peruviano della storia, in quel Perù non predica
nel deserto. In campo con lui, con la casacca della Blanquirroja,
vanno altri ottimi giocatori. C'è per esempio Hugo Sotìl, un
fantasista che passerà anche in Europa, al Barcellona, uno che
secondo il cronista argentino Gerardo Barraza “può dribblare un
esercito nello spazio di una mattonella sul pavimento”. In difesa
c'è Hector Chumpitaz, “El Gran Capitan”, tra i più grandi
esponenti di sempre della tradizione difensiva sudamericana, uno che
sa respingere gli attacchi avversari, ma che allo stesso tempo non
disdegna le incursioni in avanti: tra club e nazionale, chiuderà la
ventennale carriera con 77 reti segnate.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-34VyERTLYWw/WYivv2N1JWI/AAAAAAAABB0/EOP4e5Q8iqwbyIzyW6dWGVABsMpVcqwWgCEwYBhgL/s1600/delatorre3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="400" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-34VyERTLYWw/WYivv2N1JWI/AAAAAAAABB0/EOP4e5Q8iqwbyIzyW6dWGVABsMpVcqwWgCEwYBhgL/s320/delatorre3.jpg" width="256" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: x-small;">Teofilo Cubillas</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Insomma, la qualità, in questa
nazionale, davvero non manca. Non manca la qualità, non mancano
fiducia e ottimismo: in Perù si respira davvero la convinzione che
la vittoria, ai Mondiali messicani, sia alla portata. Ci sono veri e
propri squadroni come Italia, Germania Ovest e Brasile, ma la
Blanquirroja non ha nulla da invidiare alle potenze tradizionali del
calcio mondiale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E la fase a gironi consolida le
ambizioni peruviane. Il 2 giugno del 1970 a Leòn, all'esordio, il
Perù supera 3-2 la Bulgaria, che era stata capace di portarsi sul
2-0, prima di subire la rimonta: segnano Alberto Gallardo, Chumpitaz
e Cubillas. Sempre a Leòn, il 6 giugno, va in scena il secondo atto
del Mondiale del Perù. E' un trionfo, il Marocco viene annientato.
Il risultato finale dice 3-0 Blanquirroja, Cubillas segna per due
volte, Challe firma il momentaneo 2-0. E il Perù si qualifica per la
fase successiva. L'ultima partita si gioca il 10 giugno, i peruviani
si giocano il primo posto nel raggruppamento con una delle favorite
del torneo, la Germania Ovest: Gerd Muller batte Perù 3-1. “Der
Bomber”, in quel pomeriggio di giugno del '70, è in giornata di
grazia: segna una tripletta, alla Blanquirroja non basta il sigillo
di Cubillas, che comunque conclude la prima fase del Mondiale con
l'invidiabile bottino di 4 reti in 3 gare. Il secondo posto nel
girone riserva al Perù una sfida da brivido: ai quarti c'è il
Brasile dei cinque numeri 10. Pelè, Rivelino, Jairzinho, Gerson,
Tostao: cinque assi che il Ct Zagallo manda in campo
contemporaneamente, mentre in Italia si ritiene troppo rischioso
schierare nello stesso momento Rivera e Mazzola.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-qIxIgzwTYig/WYivwGY-T8I/AAAAAAAABBw/Y-Kl08KsDMI6SQaVnsky1GNkvkRxYmQ7wCEwYBhgL/s1600/delatorre2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="487" data-original-width="340" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-qIxIgzwTYig/WYivwGY-T8I/AAAAAAAABBw/Y-Kl08KsDMI6SQaVnsky1GNkvkRxYmQ7wCEwYBhgL/s320/delatorre2.jpg" width="223" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ed è qui, alla vigilia del match
contro la Selecao, che si consuma la “gran verguenza”. Per
proseguirne il racconto, però, occorre fare un salto indietro nel
tempo di oltre un anno. La data è quella del 9 aprile 1969, lo
scenario è quello dell'Estadio Jornalista Mario Filho, il Maracanà
di Rio del Janeiro. Si gioca un'amichevole tra la nazionale verdeoro,
che è ancora allenata da Saldanha, il quale, non gradito dalla
giunta militare che governa il paese, verrà silurato a marzo del
'70, e il Perù. Alla guida della Blanquirroja c'è invece un
brasiliano, Didì. Quel Didì, al secolo Valdir Pereira, reso celebre
dalla filastrocca “Didì-Vavà-Pelè-Garrincha”, che con la
Selecao vinse da protagonista i Mondiali del '58 e del '62, secondo
la IFFHS il diciannovesimo miglior calciatore del ventesimo secolo.
Nella prima ora di gioco, comunque, in campo c'è solo il Perù: in 8
minuti la Blanquirroja va sul 2-0, segnano Gallardo e Baylon. Pelè
accorcia le distanze, ma è un episodio: la superiorità del Perù
contro la squadra che da lì a poco più di un anno vincerà il terzo
titolo Mondiale della propria storia è a tratti imbarazzante.
Imbarazzante e, dal punto di vista del Brasile, che sta subendo una
vera umiliazione tra le mura di casa propria, irritante. Così, c'è
chi perde la testa. Come Gerson, un campione assoluto, uno dei cinque
“dieci” di quel Brasile, soprannominato “Canhotinha de ouro”,
piede sinistro dorato. Centrocampista meraviglioso, carattere
fumantino: sul 2-1 per il Perù entra in maniera criminale su Orlando
De La Torre, difensore dello Sporting Cristal, detto “El Chito”.
Gli spezza una gamba, ne nasce una rissa di proporzioni spaventose,
la partita è sospesa per quasi quaranta minuti. E' necessario
l'intervento di Joao Havelange, presidente della federcalcio
brasiliana e futuro numero uno della Fifa, che scende dalle tribune per riportare l'ordine e
permettere la ripresa della gara. Il Brasile rimonta con Tostao ed
Edu, un anno e due mesi dopo, a mezzogiorno del 14 giugno 1970 a
Guadalajara, la Selecao e la Blanquirroja si ritrovano l'una di
fronte all'altra.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-y0GtGMgzQ30/WYivwEUjCtI/AAAAAAAABB4/AUZXYlG6nZEqQAfX7g-8XFxcJEi7WlWWQCEwYBhgL/s1600/delatorre4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="228" src="https://4.bp.blogspot.com/-y0GtGMgzQ30/WYivwEUjCtI/AAAAAAAABB4/AUZXYlG6nZEqQAfX7g-8XFxcJEi7WlWWQCEwYBhgL/s1600/delatorre4.jpg" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: x-small;">Didì, al secolo Valdir Pereira</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Orlando De La Torre nel frattempo ha
smaltito i postumi del brutale scontro con Gerson, ha ripreso il suo
posto in nazionale, è sceso in campo da titolare in tutte e tre le
gare del girone eliminatorio. E' una pedina fondamentale del
meccanismo difensivo peruviano: lo chiamano “Mister Anticipaciòn”,
tale è la sua abilità nell'anticipare gli attaccanti avversari. Ma
a Guadalajara, nell'undici di partenza della Blanquirroja, “El
Chito” non c'è. Per comprendere le motivazioni di questa
esclusione, serve spostarsi ancora in Brasile. E' il giorno prima
della partita, a casa della famiglia di Didì, tecnico del Perù,
arriva una telefonata: all'altro capo del filo una voce minacciosa,
che intima di far sapere a Didì che il giorno dopo, a Guadalajara,
De La Torre non deve giocare. E il tono non è quello di un
consiglio: "El Chito" non deve giocare. Nel 1970 il potere, in Brasile, è in mano ad una giunta
militare presieduta dal generale Emilio Garrastazu Medici, la quale
ha deciso, come altre dittature hanno fatto nella propria storia, di
cercare nello sport, nel calcio nel caso specifico, la sua
legittimazione. Con certi personaggi, insomma, non è consigliabile scherzare.
Dal Brasile, così, il messaggio viene dirottato in Messico. Didì
capisce al volo: se schiererà De La Torre, questi avrà
l'opportunità di consumare la sua vendetta nei confronti di Gerson.
E difficilmente “El Chito” se la farà scappare. Ma al Brasile
serve il miglior Gerson, per arrivare in fondo al torneo e
conquistare definitivamente la Coppa Rimet. Didì si piega alle
intimidazioni, De La Torre viene escluso.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">L'allenatore della Blanquirroja
comunica la sua decisione al “Chito” negli spogliatoi, a poche
ore dal fischio d'inizio della partita: lui non la prende bene,
secondo la leggenda quasi si arriva all'aggressione fisica, prima
dell'intervento dei compagni. Didì sostiene di aver visto “El
Chito” fuori forma nella partita persa contro la Germania Ovest, in
realtà le spiegazioni non servono: tutti, negli spogliatoi dello
stadio Jalisco di Guadalajara, hanno capito qual è la vera ragione
della scelta del tecnico carioca. Il quadro è chiaro, la mente di
tutti va al Maracanà, a quell'amichevole di quattordici mesi prima,
all'entrataccia di Gerson, ai propositi di vendetta di De La Torre.
Altre fonti, inoltre, parlano di attriti tra “El Chito” e Didì
già dopo la gara contro i tedeschi, quando l'allenatore aveva
apostrofato i suoi con parole pesanti: secondo il Ct, i ragazzi
avevano perso di proposito in modo da ottenere l'incrocio col
Brasile.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La tensione è alle stelle, la
decisione è presa: De La Torre non gioca, il Perù cade, il Brasile
va avanti, Didì, con ogni probabilità, mette in salvo la pelle.
Rivelino, Tostao (doppietta) e Jairzinho gonfiano la rete per quattro
volte, alla Blanquirroja non bastano Gallardo e il solito Cubillas, finisce 4-2.
La Selecao procede spedita verso la Coppa Rimet, che verrà vinta
battendo in finale l'Italia, il Perù torna a casa carico di rabbia e
di rimpianti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La controprova non l'avremo mai, mai
sapremo come sarebbe andata quella partita con De La Torre in campo,
ma i peruviani ne sono convinti: quella Coppa, all'Azteca, la
Blanquirroja avrebbe potuto alzarla per davvero. Poteva essere un
trionfo storico, fu solo “una gran verguenza”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Cinque anni dopo, tra il settembre e
l'ottobre del 1975, quella splendida generazione di calciatori
peruviani consumerà la sua vendetta eliminando il Brasile nelle
semifinali di Copa America e alzerà il trofeo, ad oggi l'ultima
affermazione della Blanquirroja nella massima competizione
continentale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FONTI</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">“Storie Mondiali – Un secolo di
calcio in 10 avventure” - Federico Buffa/Carlo Pizzigoni –
Sperling&Kupfer – pagg. 132-133-134-135</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Perù 21 -
<a href="http://peru21.pe/deportes/roberto-chale-conto-que-chito-torre-golpeo-didi-mexico-70-2186905">http://peru21.pe/deportes/roberto-chale-conto-que-chito-torre-golpeo-didi-mexico-70-2186905</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">El Portal Celeste -
http://elportalceleste.pe/orlando-chito-de-la-torre-un-caudillo-inolvidable/</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Storie di calcio -
<a href="http://storiedicalcio.altervista.org/blog/barcellona_1974_cruijff.html">http://storiedicalcio.altervista.org/blog/barcellona_1974_cruijff.html</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FOTOGRAFIE</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">1 – <a href="http://www.alchetron.com/">www.alchetron.com</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">2 – <a href="http://www.pinterest.com/">www.pinterest.com</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">3 – <a href="http://www.fmita.it/">www.fmita.it</a></span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">4 – www.pinterest.com</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-41762119875106589422017-07-24T20:44:00.002+02:002017-07-24T20:44:24.459+02:00Lucien Laurent, pioniere dei Mondiali<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-f50C9lKeYFk/WXY_AEdMc0I/AAAAAAAABBU/H6YOR6HZoHMdhmbEIN1MyHJJzBCh1E6CQCLcBGAs/s1600/lucienlaurent1.jpg.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1120" data-original-width="1600" height="224" src="https://4.bp.blogspot.com/-f50C9lKeYFk/WXY_AEdMc0I/AAAAAAAABBU/H6YOR6HZoHMdhmbEIN1MyHJJzBCh1E6CQCLcBGAs/s320/lucienlaurent1.jpg.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">L'avevano sognata per anni, per
decenni. L'avevano sognata, desiderata, sfiorata, ma mai, in una
rincorsa durata quasi settant'anni, erano riusciti a toccarla, a
sentirne sotto le dita i dolci lineamenti. Ma in quella sera di
luglio del '98 quel sogno era diventato realtà. Mentre il sole
scendeva a riposarsi dietro i tetti di Montmartre, dopo essersi
specchiato nella Senna, la Francia si addormentava guardando tutti
dall'alto verso il basso. Ma stavolta non si trattava di “grandeur”,
no, stavolta la Francia ce l'aveva fatta davvero: era il 12 luglio
del 1998, e allo stadio di Saint Denis i ragazzi di Jacquet avevano
sconfitto il Brasile nella finale dei Mondiali casalinghi. Campioni
del mondo. Finalmente. Là dove aveva fallito gente del calibro di
Kopa, Fontaine e Platini, erano riusciti Zidane e compagni.</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Tra le 80 mila anime radunate sulle
tribune di Saint Denis, quella sera, si intrecciavano storie, umori
ed emozioni di tutti i tipi. C'erano i brasiliani che si chiedevano
che cosa diavolo fosse successo, in quella maledetta notte, a
Ronaldo, il fantasma di sé stesso nei 90 minuti finali. Se lo
sarebbero chiesti per anni, di risposte non ne avrebbero avute mai.
C'erano i francesi che avevano vissuto gli anni di crisi del calcio
Bleus e che ora si godevano la rinascita, quelli che avevano esultato
per l'Europeo dell'84 e che si chiedevano se la generazione di
giocatori in campo quella sera, quella dei Deschamps, dei Blanc, dei
Barthez, avrebbe saputo ripetere le gesta di Platini, Giresse e
Tigana. E poi c'era un signore anziano, quasi novantunenne, che
quella vittoria, in quella sera di luglio del '98, la sentiva sua,
sua per davvero. Ma non nella maniera in cui ogni francese, mentre
Didier Deschamps alzava la Coppa verso il cielo di Parigi, si sentiva
parte di quell'impresa. No, quel signore nato novantuno anni prima a
Saint Maur des Fosses, sobborgo a sud est di Parigi, quella Coppa
tanto desiderata la sentiva sua per davvero. Sì perchè a compiere
il primo passo di quella rincorsa che si concludeva quella sera,
quella della Francia verso quel trofeo troppe volte sfuggito, era
stato proprio lui, quel signore di 91 anni. La doppietta di Zidane ed
il terzo sigillo di Petit avevano in qualche modo chiuso un cerchio
che lui stesso, 68 anni prima, aveva iniziato a tracciare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Lui, Lucien Laurent, il 13 luglio del
1930 a Montevideo, aveva messo a segno il primo gol della Francia in
un Mondiale di calcio. Di più: quello segnato da Laurent contro il
Messico era in assoluto il primo gol nella storia dei Mondiali.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-nn8yxhymNBg/WXY-2fwp58I/AAAAAAAABBQ/aDBYMVxBpMIZJN3LOv2EecOO4vWNfqezgCEwYBhgL/s1600/lucienlaurent3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="651" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-nn8yxhymNBg/WXY-2fwp58I/AAAAAAAABBQ/aDBYMVxBpMIZJN3LOv2EecOO4vWNfqezgCEwYBhgL/s320/lucienlaurent3.jpg" width="203" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Nato il 10 dicembre 1907 in Val de
Marne, Laurent, centrocampista brevilineo, – alto appena un metro e
62 – tra il 1921 e il 1930 aveva militato tra le fila dei
semiprofessionisti del Cercle Athletique de Paris, per poi passare al
Sochaux, espressione calcistica della Peugeot, per la quale lavorava.
Nel 1930 la spedizione mondiale: la Francia, insieme a Belgio,
Jugoslavia e Romania, era una delle quattro rappresentati chiamate a
difendere i colori del Vecchio Continente nell'edizione inaugurale
del torneo pensato e voluto proprio da un transalpino, Jules Rimet.
Ottenuto il permesso dalla Peugeot, Laurent solcò l'Atlantico
insieme ai compagni – tra di loro anche il fratello Jean - a bordo
del Conte Verde, piroscafo italiano salpato dal porto di Genova:
partita il 21 giugno, l'imbarcazione raggiunse l'Uruguay il 4 luglio
1930.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><i>“Trascorremmo 15 giorni sul Conte
Verde. Gli esercizi di base li facevamo di sotto, poi ci allenavamo
sulla coperta della nave. Il nostro allenatore non ci parlò mai di
tattica...”
</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Lucien Laurent</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">In un calcio che muoveva i suoi primi
passi verso lo status di sport più amato, seguito e praticato del
mondo, l'appuntamento con la storia, per Lucien e per la Francia, era
fissato per il 12 giugno 1930 a Montevideo, due giorni prima delle
celebrazioni per l'anniversario della presa della Bastiglia. Toccava
ai transalpini e al Messico, sul prato del piccolo stadio Pocitos, -
il “Centenario”, costruito appositamente per il torneo, sarebbe
stato ultimato solo alcuni giorni dopo - di fronte a poco più di 4
mila spettatori e sotto una lieve nevicata, inaugurare la storia dei
Mondiali di calcio. Storia che si mise definitivamente in moto al 19'
della partita: cross dell'ala destra Liberati, Laurent irrompe a
centro area, colpisce di destro al volo e mette dentro. E' la prima
rete di una lunga serie, è la prima riga di una storia favolosa,
quella dei Mondiali di calcio. La Francia vince la partita per 4-1,
ma all'indomani, su “L'Auto”, antesignano de “L'Equipe”,
l'apertura è dedicata all'abbandono del Tour de France da parte di
Alfredo Binda. Per le gesta di Laurent e dei suoi compagni poco
spazio, appena un trafiletto: il calcio, anno dopo anno, crescerà
fino a diventare un fenomeno di portata planetaria, ma nella Francia
del 1930 l'esplosione della sua fama è ancora lontana. Pensarci,
oggi, fa quasi sorridere, pensando al monopolio che il pallone ha
conquistato sulle pagine dei quotidiani sportivi, delle riviste, o
sui siti internet, pensando alla condizione di star planetaria che si
assume segnando in un Mondiale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-DM9CnIVBxjU/WXY-1oO5w6I/AAAAAAAABBM/OfRkodN70MMMI-jZut4k-9AAtryhtUM6QCEwYBhgL/s1600/lucienlaurent2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="234" data-original-width="172" src="https://1.bp.blogspot.com/-DM9CnIVBxjU/WXY-1oO5w6I/AAAAAAAABBM/OfRkodN70MMMI-jZut4k-9AAtryhtUM6QCEwYBhgL/s1600/lucienlaurent2.jpg" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><i>“Io ed i miei compagni eravamo
felici, ma non festeggiammo con troppa enfasi. Nessuno di noi, in
quel momento, realizzava il fatto di aver scritto una pagina di
storia. Non sapevamo nemmeno se quel tipo di competizione avrebbe mai
avuto una seconda edizione”</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Lucien Laurent</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Laurent scende in campo da titolare
anche nella seconda partita, contro l'Argentina, ma è costretto ad
alzare bandiera bianca dopo un brutale scontro con Luisito Monti,
futuro azzurro, uno che di certo, in campo, non andava per il
sottile. La Francia perde 1-0 – segna proprio Monti – poi cade
anche contro il Cile, altro 1-0, e saluta il primo Mondiale di calcio
della storia. Per prendersi un posto importante in questa storia,
però, è bastata la partita contro il Messico: il primo gol
“mondiale” della storia è francese, è di Lucien Laurent.
Laurent che verrà convocato anche per i Mondiali italiani del '34,
senza però scendere mai in campo. La sua esperienza in Bleus si
chiuderà con 10 presenze e 2 reti. La sua carriera con i club,
invece, continua fino alle soglie dei 40 anni: dopo aver vestito le
maglie, tra le altre, di Rennes e Strasburgo, Lucien chiude nel 1946,
dopo tre anni al Besancon. Nel mezzo, dal '40 al '43, anche tre
terribili anni di prigionia in Sassonia: arruolato nell'esercito
francese, Laurent viene catturato dalle truppe tedesche.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><i>“Al mio ritorno trovai la mia casa
saccheggiata. Avevano rubato tutto, anche la mia divisa da gioco del
1930. Per fortuna con me avevo i miei ricordi: quelli non potrà mai
rubarli nessuno”</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Lucien Laurent</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ma giocare a calcio in Francia, negli
anni Trenta, non regala fama, né tantomeno denaro: la vita dopo il
pallone, per Lucien, trascorre tranquilla in una birreria a Besancon,
che apre e gestisce fino al 1972, anno in cui va in pensione. Una
vita ordinaria, da persona qualunque: nessuno lo riconosce, nessuno
lo ferma per strada, anche se Lucien giocava a calcio nella nazionale
francese, anche se nel 1930 è stato il primo marcatore nella
decennale e leggendaria storia dei Mondiali di calcio. Ogni tanto, in
birreria, di fronte a qualche boccale, Lucien racconta la sua storia,
ma non vuole esagerare, non vuole mettersi troppo in mostra, non
vuole correre il rischio di essere preso per un vecchio mitomane.
Così, il più delle volte i suoi ricordi rimangono custoditi nella
sua memoria. Gelosamente, come ciò che di più prezioso Lucien
possiede al mondo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Poi, nel 1990, a pochi mesi dal
Mondiale italiano, a casa di Lucien si presenta un giornalista della
Gazzetta dello Sport. Lui quasi non ci crede, eppure è tutto vero: a
quasi 60 anni da quel pomeriggio nevoso di Montevideo, gli chiede di
raccontare la sua storia, quella partita, quel gol. Poi lo invita al
Gran Galà di Milano che precederà la rassegna iridata, dove
sfileranno tutte le stelle della storia dei Mondiali: la prima sarà
lui, Lucien Laurent, colui che con un destro al volo allo stadio
Pocitos aveva dato il là ad una storia meravigliosa. Per una sera
Lucien smette i panni dell'ordinario pensionato di Besancon e torna a
vestire quelli dell'ex calciatore, dell'ex stella del pallone
francese. Accanto a lui, uno dopo l'altro, sfilano fuoriclasse come
Pelè, Bobby Charlton, Paolo Rossi, Diego Armando Maradona. Lucien
scopre che il mondo del calcio non s'è dimenticato di lui,
nonostante la sua vita tranquilla, lontano dai riflettori, dietro al
bancone della sua birreria. Rispolverata da un italiano, la storia di
Lucien viene poi raccolta dai francesi in occasione dei Mondiali del
'98. Con la consueta “grandeur”: interviste, servizi televisivi,
inviti. Tutti vogliono ascoltare la storia di Laurent, e lui non si
tira mai indietro, riservando per ogni appuntamento nuovi aneddoti,
nuovi ricordi, nuovi dettagli ripescati da quell'estate da pioniere.
Addirittura, Lucien Laurent viene definito “Tresor National”,
riconoscimento in genere attribuito a beni di valore culturale,
artistico o storico. Lucien riceve in un colpo solo sessant'anni di
fama arretrati. Per lui, per il primo marcatore della storia dei
Mondiali di calcio, non può mancare l'invito per la finalissima di
Saint Denis.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E lui si presenta puntuale, la sera del
12 luglio 1998. Puntuale, come fu su quel cross di Liberati nel 1930,
per vedere finalmente quella Coppa alzata da mani francesi. Per
chiudere il cerchio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Di quella spedizione del 1930, la sera
di Saint Denis, Lucien è l'unico superstite, l'unico testimone di
un'epoca che sembra lontana molto più di quanto i 58 anni trascorsi
potrebbero fare intuire. Il calcio è diventato un fenomeno di portata
planetaria, i calciatori divi strapagati di fama internazionale, si
gioca in stadi ultra moderni e le trasferte si fanno in aereo. A
pensarci, il “Conte Verde” sembra appartenere alla preistoria.
Lucien, sulle tribune di Saint Denis, è l'unico anello che collega
due epoche infinitamente diverse, infinitamente lontane. Ci pensa,
Lucien, pensa a quell'esperienza incredibile, a quelle settimane da
pioniere. Chiude gli occhi e manda indietro il tempo, ripercorre i
suoi ricordi, straordinariamente lucidi per essere quelli di un
ultranovantenne: vede Liberati che controlla sulla destra, lo vede mentre si coordina per il cross, attende la sfera che plana verso l'area, sente il dolce rumore della rete che si gonfia, sente l'abbraccio dei compagni. Poi la sera scende su Parigi, c'è una finale da
giocare, c'è l'ultimo capitolo di una storia iniziata quasi
sessant'anni prima da scrivere, c'è un cerchio da chiudere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Zidane segna.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Poi segna ancora.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Petit la chiude</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La Francia è Campione del Mondo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Lucien Laurent è Campione del Mondo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Lucien muore l'11 aprile del 2005 a
Besancon.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: inherit;">SITOGRAFIA</span></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">The Guardian -
<a href="https://www.theguardian.com/news/2005/apr/14/guardianobituaries.football">https://www.theguardian.com/news/2005/apr/14/guardianobituaries.football</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">The Telegraph -
<a href="http://www.telegraph.co.uk/news/obituaries/1487747/Lucien-Laurent.html">http://www.telegraph.co.uk/news/obituaries/1487747/Lucien-Laurent.html</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">First Post -
<a href="http://www.firstpost.com/sports/remembering-the-forgotten-man-who-scored-the-first-world-cup-goal-1469985.html">http://www.firstpost.com/sports/remembering-the-forgotten-man-who-scored-the-first-world-cup-goal-1469985.html</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Fifa.com -
<a href="http://www.fifa.com/news/y=1998/m=6/news=historical-link-with-the-franche-comte-71490.html">http://www.fifa.com/news/y=1998/m=6/news=historical-link-with-the-franche-comte-71490.html</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Fifa.com -
<a href="http://fr.fifa.com/worldcup/news/y=2005/m=4/news=lucien-laurent-derniere-tout-premier-29604.html">http://fr.fifa.com/worldcup/news/y=2005/m=4/news=lucien-laurent-derniere-tout-premier-29604.html</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: inherit;">BIBLIOGRAFIA</span></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Il minuto di silenzio – Gigi
Garanzini – Mondadori – pagine 41-42</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: inherit;">FOTOGRAFIE</span></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">1 – <a href="http://www.alchetron.com/">www.alchetron.com</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">2 – en.wikipedia.org</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">3 – Getty Images</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-20264813175798280182017-07-14T18:40:00.005+02:002017-07-14T18:40:55.603+02:00Non ci proverò mai più<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-linouKdRaAA/WWjz2nZwOwI/AAAAAAAABA0/dkNo7osACpElaIE7py8c7-GMVsdICLODwCLcBGAs/s1600/fc0c6434047466021619d9da60152c01_56260_immagine_obig.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="594" data-original-width="990" height="192" src="https://4.bp.blogspot.com/-linouKdRaAA/WWjz2nZwOwI/AAAAAAAABA0/dkNo7osACpElaIE7py8c7-GMVsdICLODwCLcBGAs/s320/fc0c6434047466021619d9da60152c01_56260_immagine_obig.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Questa volta non mi avrà. No, lo
giuro, questa volta no.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Si è presa troppo, nella mia vita,
quella squadra. Ho permesso che si prendesse troppo, anno dopo anno,
campionato dopo campionato. Il più delle volte mi ha restituito
delusione, disillusione, sofferenza. Ma sono giovane e posso cambiare
le cose, posso rimescolare le mie priorità, posso mettere da parte
il cuore. Posso farlo, voglio farlo.</span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: inherit;">
</span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Eppure quest'anno ci avevo creduto più
che mai. Ci avevo messo il cuore anch'io, avevo investito tutta la
mia passione, tutti i miei sentimenti, nei confronti di quei ragazzi,
di quei colori, di quella maledetta maglia di cui, chissà come,
chissà perchè, mi innamorai da bambino. La stagione era iniziata
male, malissimo, sembravamo sul punto di affondare, di sprofondare
nel più profondo dei burroni. Sembrava che ormai quelli come me
dovessero rassegnarsi a trovarsi un'altra passione, un altro amore,
qualcosa per cui esultare, incazzarsi, ridere e piangere ogni
domenica. Poi siamo risorti, abbiamo puntato i piedi in terra e
abbiamo rialzato la testa. Tutti quelli come me hanno ritrovato
l'amore, e la fiamma ha ripreso a divampare come prima. No, molto più
di prima.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La fiamma ha ripreso ad ardere e quei
ragazzi l'avevano alimentata per noi domenica dopo domenica. Ad
agosto eravamo sul punto di sparire: niente più gol, niente più
esultanze, niente più incazzature. All'orizzonte solo un vuoto, il
vuoto di circa quaranta domeniche che avremmo dovuto colmare in
qualche altro modo. Poi la resurrezione, e quaranta domeniche dopo ci
siamo ritrovati lì, ad un passo dal Paradiso. Ma l'abbiamo fallito,
quell'ultimo passo. Abbiamo fallito, siamo caduti, stavolta sento che
non ci rialzeremo.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ci credevo ed ero puntuale, sul divano
di casa, all'appuntamento con la storia. Ma loro, i ragazzi che hanno
portato sulla pelle quella maglia che amo negli ultimi dieci mesi,
stavolta mi hanno tradito.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">L'andata è finita 4-2 per gli altri, e
un 4-2 per gli altri non si recupera. No, non ce la faremo.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Quindi no, stasera non mi avrà, quel
mostro. Quella passione, quando le cose vanno male, può trasformarsi
in un mostro che ti divora da dentro. E ora le cose vanno decisamente
male. E lui è lì, in agguato, pronto a mangiarmi, pezzo dopo pezzo.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">No, non stasera. Stasera c'è la
partita di ritorno, ma c'è anche tutto il resto del mondo che mi
aspetta là fuori. Io stasera scelgo tutto il resto. Scelgo una birra
con gli amici, scelgo di spegnere la tv, scelgo l'estate, scelgo la
vita senza quel mostro in agguato sopra la mia testa. Non è facile
liberarsi di lui, ma ci voglio provare, ci devo provare. Lo devo a me
stesso, ho del tempo da recuperare, ho delle rivincite da giocarmi e
inizierò da stasera. Quel mostro non può dominare la mia vita, e
non lo farà. Non gli permetterò di farlo. Stasera il mio destino lo
scelgo io.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Scelgo me, scelgo quel pugno di amici
che stasera è con me tra le viscere della città. Nient'altro conta,
voglio che nient'altro possa indirizzare le mie emozioni, il mio
umore, i miei pensieri. Respiro l'estate, respiro l'aria che ti
regala la vita quando ti liberi di ogni condizionamento, di ogni
peso. Vivo senza l'ansia di ciò che potrebbe accadere, senza il
timore che qualcosa, da un momento all'altro, possa rendere grigia
questa serata colorata. Sento che la mia passione era diventata un
veleno, sento però di aver trovato l'antidoto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Un groviglio di urla si fa strada dal
bar dietro l'angolo e giunge fino a me. Urla di gioia. Ma sono urla
contenute, strozzate. Vorrebbero sprigionarsi in tutta la loro forza,
quelle voci, ma non possono. Per ora non possono. Mi bastano poche
frazioni di secondo per capire. Abbiamo segnato. Dopo il 4-2 per loro
all'andata, ora siamo 1-0 per noi. Ma non ci voglio pensare, mi sono
imposto di non regalare un'altra serata della mia vita a qualcosa che
in fondo, lo so già, finirà per deludermi, per scottarmi, per
sedurmi e dopo abbandonarmi. Siamo 1-0 per noi, sì, ma non ce la
faremo. Non ce la possiamo fare, ho fatto bene a spegnere la tv, ho
fatto bene a scegliere questo mondo qui fuori. Non vorrei essere
altrove, adesso. Anche se siamo 1-0 per noi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E quindi me ne vado in giro per la
città, a godermi la mia età, a godermi tutto ciò di cui mi sarei
privato scegliendo l'ennesima serata di sofferenza seduto su un
divano di fronte alla tv. Respiro a pieni polmoni questa serata,
questa vita. Respiro a pieni polmoni e non ci penso, non penso a quei
ragazzi. Stanno vincendo 1-0, ma già so che la delusione è dietro
l'angolo. Non tornerò sui miei passi. Non stasera.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ma il destino non lascia mai nulla al
caso. Mi prende per mano, prende per mano tutti i miei amici, ci
indica la strada. Noi non lo sappiamo, ma è già tutto scritto. E'
scritto che entreremo in quel bar, è scritto che quel bar, quella
sera, decida di trasmettere proprio quella partita, quella da cui ero
fuggito, quella che mi ero imposto di non vedere, quella a cui mi ero
imposto di non regalare me stesso, ancora una volta. Eppure il fato
ci porta proprio lì, davanti a quello schermo. Ci sono quelle maglie
che mi fanno palpitare il cuore. Perchè al cuore non si comanda, ho
scelto di voltare le spalle a quei colori, stasera, ma sono quei
colori che hanno inseguito me, ed ora che sono davanti ai miei occhi
il battito accelera. Non vorrei, eppure è proprio così che va.
Siamo 1-0 per noi, il nostro fantasista sta per battere un calcio
d'angolo. Vorrei non guardare, vorrei distogliere lo sguardo ed
essere padrone di me stesso, ma non lo sono. I miei occhi restano
incollati a quello schermo, i miei occhi si muovono da soli e non ne
vogliono sapere di guardare qualcosa che non sia quell'immagine
proiettata sul muro di un locale. Calcio d'angolo. Palla che spiove.
Mischia. Gol. 2-0 per noi. Da quella mischia esce un demonio. Si
toglie la maglia. Gli occhi iniettati di sangue, le vene che pulsano
sulla pelle, il salto a superare i cartelloni pubblicitari: non c'è
più niente tra lui e la curva. Quella curva che ruggisce, che pulsa
a propria volta, che ora ci crede per davvero. Ha segnato lui, la
vecchia volpe, il bucaniere che porta sulla pelle le cicatrici di
mille battaglie, di mille duelli. Era arrivato destinato ad un ruolo
da comprimario, sembrava dover svernare con la nostra maglia addosso.
E invece è un leone, lo è stato per tutta la stagione, lo è anche
stasera. Corre verso la curva con quegli occhi spiritati, quegli
occhi che mi catturano e mi tengono lì, ostaggio di quello schermo,
in quel bar, prigioniero di quella partita che avevo giurato di non
guardare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Il mostro si risveglia, posa le sua
mani su di me, cerca di trascinarmi via con lui. Ma lo ricaccio
indietro. Siamo 2-0 per noi, ma stasera non mi importa. Mi impongo di
non mettere a rischio un'altra serata, non voglio liberare
quell'emozione correndo il rischio di vederla soffocare poco dopo. Me
ne vado, ce ne andiamo, non voglio vedere, non voglio soffrire.
Voglio vivere come una persona normale, come uno di quei ragazzi che
sanno dare alle cose la giusta importanza, quelli che sanno essere
padroni dei propri istinti. Quelli là, quelli che il mostro non è
mai riuscito a prendersi. Voglio essere uno di loro, stasera.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Me ne vado, mando giù un'altra birra,
prendo un respiro profondo e schiaccio quel pensiero giù, in fondo
alla mia anima, là dove, per quanto forte possa gridare, io non
possa sentirlo. E, sorprendendo anche me stesso, riesco a tenere fede
alla mia promessa. Non ci penso, non soffro, non tremo. Sto vincendo
io.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Poi un boato. Un altro. Viene dalle
case, dai bar, dai locali. Stavolta è gioia nel suo stato più puro.
Senza freni, senza catene. Il mio telefono vibra, c'è un messaggio,
poi un altro ancora, c'è una chiamata. Non rispondo, non voglio
sapere, non voglio farmi catturare. L'ho capito quello che è
successo. 3-0 per noi. Lo so, ma resto freddo: non so come ci sto
riuscendo, ma ci sto riuscendo. Anche se stiamo vincendo 3-0, anche
se quei ragazzi stanno facendo di tutto per riconquistare tutto quel
patrimonio di passione che avevo deciso di mettere da parte.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Resisto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Non mollo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E' una sensazione nuova, inspiegabile,
impensabile per uno come me. Fino ad una settimana prima sarei stato
incollato al mio divano, con gli occhi fissi sullo schermo, a
tremare, con la voce strozzata in gola, incapace di concentrarmi su
qualcosa che non fosse ciò che stava succedendo su quel parto. Ora
no, ora sono dentro la città e le mie emozioni le decido io, non
voglio lasciarle in balìa di un pallone che rotola a centinaia di
chilometri da me, preso a calcio da ventidue uomini in pantaloncini.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E' quasi mezzanotte di questa serata,
della mia serata, quando un fiume di persone si riversa in strada e
il mio telefono continua a vibrare. Un messaggio dopo l'altro, sembra
che tutto il mondo stia cercando me. La gente scende in strada e in
un attimo la città è invasa da un solo colore. Quel colore.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Siamo in Serie A. Siamo tornati al
nostro posto. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Dieci mesi fa eravamo morti e sepolti, ma siamo
risorti. </span><span style="font-family: inherit;">In un istante è tutto cancellato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Tutte le mie convinzioni, tutta quella
forza di volontà che per qualche ora avevo pensato di avere. Chiudo
gli occhi, prendo il respiro più lungo della mia vita e capisco che
mai e poi mai potrei rinunciare a queste sensazioni. Tutte le
delusioni, tutte le sofferenze, tutte le illusioni e le successive
disillusioni: tutto questo non cancella l'emozione che si prova e si
vive in istanti come questo. Guardo verso il cielo e mi scrollo di
dosso tutta la lucidità che avevo provato a fare mia. Questo fuoco
non si può spegnere, questo mostro non si può sconfiggere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Resto nel cuore della città per tutta
la notte. I gol li vedrò domani, domani scoprirò ciò che mi sono
negato. Ora resto qui, insieme a centinaia di miei fratelli, di miei
compagni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Non proverò mai più a privarmi di
tutto questo. Non proverò mai più a negarmi un'emozione. Preferisco gettare sul tavolo tutta la mia passione pur rischiando di non viverla, piuttosto che voltarle le spalle, tenere tutto dentro il mio petto e negarmela. E se
questa dovesse arrivare dopo mille sofferenze, allora sarà ancora
più bella.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Non ci proverò mai più, lo giuro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/IuAOY2Sdi_g/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/IuAOY2Sdi_g?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">11 giugno 2006 – Stadio “Delle
Alpi”, Torino</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: inherit;"><b><i>TORINO-MANTOVA
3-1 dts</i></b></span></span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<i><br /></i></div>
<div style="font-family: inherit; text-align: justify;">
<i><span style="color: black; font-family: inherit;"><b>TORINO
(4-4-2):</b></span><span style="color: black; font-family: inherit;"> </span><span style="color: black; font-family: inherit;">Taibi;
Nicola, Doudou, Brevi, Balestri; Lazetic (8'pts Melara), Gallo, Longo
(35'st Edusei), Rosina; Muzzi (20'st Fantini), Abbruscato. Panchina:
Fontana, Fantini, Edusei, Vryzas, Stellone, Ferrarese. Allenatore: De
Biasi.</span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><br /></i></div>
<span style="color: black; font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;">
<i><span style="color: black; font-family: inherit;"><b>MANTOVA
(4-4-2):</b></span><span style="color: black; font-family: inherit;"> </span><span style="color: black; font-family: inherit;">Brivio;
Sacchetti, Notari, Cioffi, Lanzara; Sommese (27'st Brambilla), Grauso
(44'st Graziani), Spinale, Caridi; Noselli (7'pts Poggi), Gasparetto.
In panchina: Bellodi, Mezzanotti, Di Cesare, Brambilla, Doga,
Graziani. Allenatore: Di Carlo.</span></i></div>
</span><div style="text-align: justify;">
<i><br /></i></div>
<span style="color: black; font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;">
<i><span style="color: black; font-family: inherit;"><b>ARBITRO:</b></span><span style="color: black; font-family: inherit;"> </span><span style="color: black; font-family: inherit;">Farina
di Novi Ligure </span></i></div>
</span><div style="text-align: justify;">
<i><br /></i></div>
<span style="color: black; font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;">
<i><span style="color: black; font-family: inherit;"><b>RETI:</b></span><span style="color: black; font-family: inherit;"> </span><span style="color: black; font-family: inherit;">36'pt
Rosina (rig.) 18'st Muzzi 5'pts Nicola 10' pts Poggi
(rig.) </span></i></div>
</span><div style="text-align: justify;">
<i><br /></i></div>
<span style="color: black; font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;">
<i><span style="color: black; font-family: inherit;"><b>NOTE:</b></span><span style="color: black; font-family: inherit;"> </span><span style="color: black; font-family: inherit;">58.560
spettatori, incasso di 866 mila euro circa. Serata mite, terreno in
ottime condizioni. Angoli 7-4, ammoniti Lanzara, Balestri, Nicola,
Brevi, Gasparetto, Rosina, Abbruscato, Muzzi, Grauso, Longo, Cioffi,
Ferrarese, Sacchetti, Graziani. Espulsi al 40' st Di Cesare dalla
panchina, al 7' pts Fantini. Recupero: 3'/3'/4'/1'. </span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="color: black; font-family: inherit;"><br /></span></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">FOTOGRAFIA</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">Corriere dello Sport - www.corrieredellosport.it</b></div>
</span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-80536727485169282282017-07-08T21:15:00.006+02:002017-07-08T21:15:49.984+02:00Albert Batteux, il profeta del calcio champagne<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-_AYDj4mrACQ/WWEu8c5jZSI/AAAAAAAAA_s/UnTfQMaDgUscSftxVIDreTW7vKA7-auVQCEwYBhgL/s1600/batteux1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="533" height="240" src="https://2.bp.blogspot.com/-_AYDj4mrACQ/WWEu8c5jZSI/AAAAAAAAA_s/UnTfQMaDgUscSftxVIDreTW7vKA7-auVQCEwYBhgL/s320/batteux1.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ospitaletto è un tranquillo comune
della provincia bresciana, poco più di 14 mila anime a circa 10
chilometri di pianura dal capoluogo. Nacque come “Hospitium”,
come luogo di ristoro per viandanti e viaggiatori intorno al VII-VIII
secolo dopo Cristo. Un centro di passaggio, insomma, un paesello che
nei secoli si sarebbe poi trasformato in un borgo agricolo, e poi
ancora in un polo dell'industria metalmeccanica. Reims, invece, è
una grande città francese, quasi 200 mila abitanti nel dipartimento
della Marna, regione di Grand Est, nella zona nord-orientale
dell'Esagono.Una città ricchissima di storia, un centro che Giulio
Cesare scelse come capitale della Gallia: è qui che dal 987 al 1825
vennero incoronati quasi tutti i Re di Francia. Si iniziò con il
conte di Parigi Ugo Capeto, capostipite della dinastia dei Capetingi,
per arrivare a Carlo X. Tra Ospitaletto e Reims corrono quasi 1000
chilometri di strada e i due centri, lo si può notare fin da questi
brevi cenni di storia, non hanno apparentemente nulla in comune: da
una parte un piccolo paesello, luogo di passaggio rimasto fin dalle
sue origini alla periferia della storia, dall'altra una grande città
che alla storia ha fatto spesso da palcoscenico, ospitandone passaggi
chiave. Eppure c'è un piccolo filo rosso che lega Ospitaletto a
Reims e viceversa. Un filo rosso che parla di calcio, di champagne,
di vittorie leggendarie e disfatte clamorose.</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E' il 1987 quando in Serie C2 si mette
in evidenza un giovane allenatore. La sua squadra, l'Ospitaletto,
colpisce sì per i risultati – che la porteranno al salto in C1 –
ma in particolar modo per il gioco. Un gioco tutto votato
all'attacco, divertente, veloce, dinamico, un gioco così
spumeggiante da meritarsi l'appellativo di “calcio champagne”,
espressione nata (anche) dal mestiere originario dell'allenatore di
quella squadra, che prima di diventare un tecnico professionista
lavorava come rappresentante alla Veuve Clicquot Ponsardin, azienda
produttrice, per l'appunto, di champagne. Nella stagione successiva
il presidente Gino Corioni decide di comprarsi il Bologna e di
portare con sé quell'allenatore che aveva stupito per la
brillantezza del gioco che aveva saputo dare all'Ospitaletto: Gigi
Maifredi, nell'estate del 1987, diventa così il nuovo tecnico
rossoblù. E i risultati rispettano in pieno le aspettative di
Corioni, dei tifosi e di un po' tutto il movimento calcio italiano,
che identifica ormai in Maifredi il profeta del calcio champagne: in
tre stagioni arrivano prima la promozione in Serie A, poi una
brillante salvezza, ed infine la qualificazione per la Coppa Uefa.
Maifredi è sulla cresta dell'onda, oltre che sui taccuini delle big:
se lo prende la Juventus, che lo sceglie come successore di Dino Zoff
nell'estate del 1990. Ma l'ascesa di Maifredi, sotto la Mole,
s'interrompe bruscamente: la Juventus guidata dall'ex tecnico del
Bologna finisce addirittura in settima posizione, mancando la
qualificazione europea dopo ben 28 anni consecutivi di presenza fissa
nelle Coppe. Niente calcio champagne, niente vittorie, l'incantesimo
del mago Maifredi ha esaurito i suoi effetti e non tornerà a
sprigionarne mai più: è l'inizio della parabola discendente di un
allenatore che sembrava promettere tantissimo, che però non ha
saputo mantenere. Ancora oggi, però, se in Italia si pronunciano le
due paroline “magiche”, “calcio champagne”, il pensiero di
molti corre, spesso con un pizzico di sarcasmo, a quella Juventus, a
quel Maifredi che seppe entusiasmare solo per pochissimi anni. Si
pensa a quella fallimentare stagione, anche se a dire la verità a
Torino, in quella stagione, di calcio champagne se ne vide
decisamente poco.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Non è ad Ospitaletto, nemmeno a
Bologna, né tantomeno nella Torino bianconera, che nacque
quell'espressione ormai entrata nel glossario del nostro pallone: non
fu Maifredi a dare vita per primo al calcio champagne, che vide
invece la luce ben prima degli anni '80.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E' qui che la nostra storia si sposta a
Reims, è qui che il nastro del tempo si riavvolge di circa
trent'anni. E' qui, nel luogo in cui lo champagne, quello vero, viene
esportato in tutto il mondo, che per davvero nasce il calcio
champagne, il cui padre ha un nome e un cognome: si chiama Albert
Batteux, è nato proprio a Reims nel 1919, figlio di un ferroviere,
cresciuto insieme a 13 fratelli, nella squadra della sua città
natale ha giocato come centrocampista per tutta la carriera, dal 1939
al 1952, vincendo una Coppa nazionale e un Campionato. Un buon
giocatore, un onesto mestierante con l'intelligenza tattica come
qualità migliore, che al momento di appendere gli scarpini al
proverbiale chiodo avrà messo insieme 169 presenze con lo Stade de
Reims e 8 “caps” con la nazionale: non male in un tempo in cui i
calendari non erano fitti come oggi e in una carriera spezzata in due
dal secondo conflitto mondiale. Ma fu nel 1950 che Batteux smise di
essere una semplice comparsa e passò a vestire i panni di vero e
proprio protagonista del panorama del calcio europeo. Proprio dopo la
conquista della Coppa nazionale i vertici dello Stade Reims gli
proposero di assumere la carica di giocatore-allenatore: legato alla
squadra, ai colori e alla città com'era, la risposta possibile era
una, e una soltanto. Si sdoppiò per due stagioni, poi, nel 1952, un
grave infortunio lo costrinse a chiudere col calcio giocato: era
tempo di dedicarsi anima e corpo al suo ruolo di allenatore, fu
l'inizio dell'epopea più scintillante nella storia dello Stade de
Reims.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-X70ker8Gmws/WWEu9b_hnvI/AAAAAAAAA_4/_4AjPagP5w8TV1wiHZmTMirerDOBkeeCwCEwYBhgL/s1600/batteux2.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="559" data-original-width="441" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-X70ker8Gmws/WWEu9b_hnvI/AAAAAAAAA_4/_4AjPagP5w8TV1wiHZmTMirerDOBkeeCwCEwYBhgL/s320/batteux2.png" width="252" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Batteux guidò la squadra della sua
città fino al 1963 facendo incetta di vittorie: 6 campionati
francesi, il primo nel '53, una Coppa di Francia, 3 Supercoppe di
Francia, una Coppa Latina alzata al cielo dopo aver sconfitto in
finale il Milan della mitica linea d'attacco Gre-No-Li. Mancò
l'alloro europeo, ma di mezzo c'era un Real Madrid troppo forte,
quello di Puskas e Di Stefano, che per due volte, nel '56 e nel '59,
respinse i francesi in finale. Due sconfitte che non scalfirono e non
scalfiscono tutt'ora la grandezza di una squadra, quella guidata da
Batteux, che seppe entusiasmare non solo per i risultati ottenuti –
risultati che mai più sarebbero stati ottenuti nella storia della
società – ma anche, e soprattutto, per il gioco che sapeva
esprimere sul campo. E qui si ritorna, a livelli decisamente più
prestigiosi, agli aggettivi utilizzati per l'Ospitaletto di Gigi
Maifredi: lo Stade de Reims di Batteux era una squadra divertente,
frizzante, spumeggiante, in cui la prima e unica priorità era
attaccare. Concetti lontani anni luce dal gioco prettamente fisico in
voga in Francia fino ad allora. Attaccare, sempre e comunque, con
quanti più uomini possibile, prediligendo il gioco corto e il
fraseggio in velocità nello stretto: nelle giornate di grazia quello
Stade de Reims era una gioia per gli occhi degli spettatori, una
tortura per le squadre avversarie. Merito anche di una preparazione
atletica specifica e massacrante cui venivano sottoposti i giocatori
durante il pre-campionato, in un'epoca in cui le conoscenze
scientifiche nel campo erano molto ridotte, in cui, insomma, spesso
si procedeva per sperimentazione: i metodi di Batteux prevedevano
dieci giorni di esercizi di forza, resistenza e velocità, di
intensità e difficoltà progressive, in sedute che secondo le
leggende duravano anche dall'alba al tramonto. Il “seminario”, lo
chiamava Batteux, per questo soprannominato da molti giocatori “Il
predicatore”. Perchè per esprimere al meglio le loro qualità
tecniche, sosteneva Batteux, i giocatori dovevano essere in
condizioni fisiche eccellenti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-EPUJOxhir54/WWEu9Fv5q0I/AAAAAAAAA_w/WgslGTVXKV8ttoQmpe1B4i9SK0BerMsVQCEwYBhgL/s1600/batteux3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="501" data-original-width="780" height="205" src="https://4.bp.blogspot.com/-EPUJOxhir54/WWEu9Fv5q0I/AAAAAAAAA_w/WgslGTVXKV8ttoQmpe1B4i9SK0BerMsVQCEwYBhgL/s320/batteux3.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La tecnica, infatti, in quella squadra
già c'era: c'erano giocatori splendidi come Raymond Kopa, tra i
migliori interpreti e icona vera e propria del calcio-champagne, Just
Fontaine e Roger Piantoni, a Batteux il compito di trovare la ricetta
giusta per far rendere al meglio tutti gli ingredienti. Compito
svolto alla perfezione: lo testimoniano i risultati, lo
testimoniavano le bocche spalancate sulle tribune degli stadi di
tutta la Francia. Quando giocava lo Stade de Reims, c'era da starne
certi, ci si divertiva sempre. E nessuno aveva dubbi: il segreto di
quella meravigliosa macchina da gol era lui, l'allenatore, quel
Batteux che nel 1955 fu chiamato dalla federazione a guidare la
nazionale francese. Il calcio-champagne non poteva più limitarsi a
rimanere confinato a Reims, ma doveva diventare lo spot del calcio
francese tutto di fronte al mondo. E anche alla guida dei Galletti
Batteux confermò di avere il tocco magico dei grandi: nel 1958 i
Bleus centrarono il terzo posto al mondiale svedese, miglior
risultato ottenuto fino ad allora dal calcio transalpino.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Il suo “regno” alla guida della
nazionale sarebbe durato fino al 1962, l'anno dopo, a causa – così
si disse all'epoca – di problemi di bilancio, giunse all'epilogo
anche la sua straordinaria epopea a Reims: aveva indossato quella
maglia per la prima volta nel 1939, se ne andava ventiquattro anni
dopo, dopo aver lasciato un solco indelebile nella storia del calcio
francese ed europeo. Aveva iniziato da centrocampista, se ne andava
da leggenda, da profeta, padre di un nuovo modo di concepire il gioco
del calcio.</span><span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-Y04cwSSfjBk/WWEu9Wzq0PI/AAAAAAAAA_0/w_tRIlL4n1En1Q0sCaBoNXF_6RDomHeBQCEwYBhgL/s1600/batteux4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="376" data-original-width="370" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-Y04cwSSfjBk/WWEu9Wzq0PI/AAAAAAAAA_0/w_tRIlL4n1En1Q0sCaBoNXF_6RDomHeBQCEwYBhgL/s320/batteux4.jpg" width="314" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Chiusa la sua storia d'amore con lo
Stade de Reims, Batteux decise di immergersi in una realtà nuova,
guidando per quattro stagioni il Grenoble, nelle serie inferiori. Si
allontanò dai riflettori, per poi ritornare prepotentemente sulle
scene nel 1967, anno in cui il Saint Etienne lo scelse come
successore di Jean Snella: in cinque stagioni, tre campionati vinti e
due affermazioni in Coppa di Francia. Ma, soprattutto, tanti gol,
tanto spettacolo, tanto calcio-champagne. Ma, come tutti i cicli
vincenti, anche quello dei verts arrivò al suo epilogo: nel 1972 i
rapporti tra Batteux e il presidente Rocher, ormai deteriorati sotto
diversi aspetti, giunsero al punto di rottura. Dopo aver fatto grande
lo Stade de Reims, aveva replicato le sue magie con il Saint Etiene:
ora Batteux se ne andava, ancora una volta, avvolto da un'aura da
semi-divinità del pallone. Ma quelle ottenute nella città della
Loira furono le ultime vittorie del profeta del calcio-champagne:
Batteux tornò in panchina nel 1976, guidò prima l'Avignone, poi il
Nizza, e poi ancora l'Olympique Marsiglia, dove chiuse la carriera
nel 1981. In nessuna di queste tre esperienze, però, Batteux arrivò
ad avvicinare le meraviglie di Reims e Saint Etienne.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Lavorò ancora come commentatore e come
giornalista, si spense a Grenoble, il 28 febbraio del 2003, stroncato
dal morbo di Alzheimer. Oggi una tribuna dello stadio Auguste
Delaune, tana dello Stade de Reims, è intitolata a lui, che France
Football inserì al terzo posto nella classifica dei migliori
allenatori francesi di sempre.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">In conclusione, torniamo a quel filo
conduttore che ci ha guidati in questo viaggio nella storia del
pallone tra Italia e Francia: il calcio-champagne, quel concetto che
come abbiamo detto è ormai entrato nel vocabolario comune di chi ama
il gioco più bello del mondo. Ebbene, se si parla di
calcio-champagne, è assolutamente e chiaramente impossibile non
citare la nazionale francese campione d'Europa nel 1984. Era la
Francia di Platini, di Giresse, di Tigana, la Francia che due anni
prima aveva ottenuto il terzo posto ai mondiali spagnoli, era il
trionfo di una squadra spettacolare, capace di andare a segno per 14
volte in 5 gare, in quella fase finale dell'Europeo casalingo. Si
parlò di “grandeur”, si parlò soprattutto di calcio-champagne,
in quei giorni. Ma andando un po' più a fondo, non era difficile
spiegare il gioco spettacolare di quella favolosa squadra. C'erano i
campioni, sì, c'era uno dei più grandi di sempre, “Le Roi”
Platini. Tutto vero. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-WGsZ0swtoSk/WWEu9gePhDI/AAAAAAAAA_8/RHWc1ZtKRlQ9Ccd37r9Ctr3lxMOP06n0gCEwYBhgL/s1600/batteux5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="369" data-original-width="656" height="180" src="https://4.bp.blogspot.com/-WGsZ0swtoSk/WWEu9gePhDI/AAAAAAAAA_8/RHWc1ZtKRlQ9Ccd37r9Ctr3lxMOP06n0gCEwYBhgL/s320/batteux5.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ma c'era, in panchina, un certo Michel Hidalgo,
uno che Batteux lo aveva conosciuto, respirato, studiato da vicino.
Hidalgo aveva giocato nel grande Stade de Reims nell'epoca d'oro, dal
'54 al '57. Quando, dopo il trionfo europeo, qualcuno gli chiese
quale fosse il segreto di quella Francia così perfetta e
spumeggiante, Hidalgo non ebbe alcun dubbio: fece il nome del suo
maestro, di Albert Batteux, che gli aveva insegnato, trent'anni
prima, ad amare il gioco corto, rapido, offensivo. Ad amare il
calcio-champagne, insomma.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Perchè lui, Batteux, anche se in
tanti, negli anni, avrebbero poi attribuito la paternità di questa
filosofia a Raymond Kopa, del calcio-champagne era il vero padre.
Kopa era il braccio, questo sì, ma la mente era quella di Batteux:
era lui il vero profeta.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>SITOGRAFIA</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Mediapolitika -
<a href="http://www.mediapolitika.com/sport2/amarcord/8243-amarcord-luigi-maifredi-suo-calcio-champagne/">http://www.mediapolitika.com/sport2/amarcord/8243-amarcord-luigi-maifredi-suo-calcio-champagne/</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Tout sur l'Asse -
<a href="http://toutsurlasse.free.fr/staff/anciens/batteux.htm">http://toutsurlasse.free.fr/staff/anciens/batteux.htm</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La Croix -
<a href="http://www.la-croix.com/Archives/2003-03-03/Albert-Batteux-un-technicien-surdoue-_NP_-2003-03-03-177333">http://www.la-croix.com/Archives/2003-03-03/Albert-Batteux-un-technicien-surdoue-_NP_-2003-03-03-177333</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">“Il minuto di silenzio – La storia
del calcio attraverso i suoi eroi” di Gigi Garanzini – Mondadori
– pp. 213-214</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FOTOGRAFIE</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">1 - www.poteaux-carres.com</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">2 - it.wikipedia.org</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">3 - www.poteaux-carres.com</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">4 - </span>www.poteaux-carres.com</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
5 - it.uefa.com</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-43161539230816873852017-06-20T14:10:00.003+02:002017-06-20T14:10:37.370+02:00Reinhard Lauck, leggenda dimenticata<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-C0u0EQ2tBuU/WUkQZTShXHI/AAAAAAAAA_M/cCXX89cFm6Irw0H5RO576NJyBYLlee-YgCLcBGAs/s1600/lauck1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="336" data-original-width="250" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-C0u0EQ2tBuU/WUkQZTShXHI/AAAAAAAAA_M/cCXX89cFm6Irw0H5RO576NJyBYLlee-YgCLcBGAs/s320/lauck1.jpg" width="238" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Sarebbe stata una partita
sostanzialmente ininfluente, di quelle utili per dare spazio a chi di
spazio, quando contava, non ne aveva trovato. Quella del 22 giugno
1974 ad Amburgo era l'ultima partita del girone eliminatorio 1 dei
mondiali tedeschi, si affrontavano due formazioni già qualificate.
In palio c'era solamente il primo posto nel girone, cui però non
ambiva nessuno: vincendo il girone, infatti, si sarebbe andati ad
incontrare Brasile e Olanda nella seconda fase a gruppi. Insomma,
quella del 22 giugno 1974 ad Amburgo sarebbe stata una partita di
scarso rilievo, non fosse stato per il fatto che di fronte c'erano
Germania Ovest e Germania Est. Un derby epocale: capitalismo contro
socialismo, l'influenza statunitense contro quella sovietica, la
Mercedes contro la Trabant.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Una partita che avrebbe dovuto essere
senza storia: da una parte, per la Germania Ovest, in campo
fuoriclasse affermati, star internazionali come Beckenbauer,
Breitner, Overath e Muller, dall'altra, a difendere i colori della
Ddr, dilettanti, atleti in alcuni casi prestati al calcio da
discipline considerate più nobili, come l'atletica leggera. Insomma,
per tanti, anche per gli stessi giocatori dell'Est, restava solo da
capire quale sarebbe stata l'entità della vittoria dei tedeschi
dell'Ovest: troppo superiori, il Kaiser e compagni, per pensare ad un
risultato diverso e nutrirne una qualche speranza. Nonostante questo,
dall'Est, oltre 8 mila tifosi varcarono il muro e si presentarono
sulle tribune del Volksparkstadion di Amburgo. Lo fecero grazie a
speciali visti turistici concessi dal governo appositamente per la
partita, della durata appena sufficiente a raggiungere Amburgo,
seguire l'incontro e rientrare. Un'eccezione rarissima alla politica
della Ddr, in genere fortemente protezionistica, concessa in nome del
Dio pallone.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">In campo, poi, tutto sembrò andare
secondo i pronostici: Germania Ovest in attacco, Germania Est tutta
chiusa davanti alla propria area, incapace di ripartire e spezzare la
pressione avversaria. I 60 mila del Volksparkstadion sentivano che il
gol era nell'aria, che sarebbe arrivato da un momento all'altro. E il
gol, in effetti, arrivò. A segnarlo, però, fu la Germania Est: fu
Sparwasser, attaccante del Magdeburgo, a scrivere la storia al minuto
77. Uno stadio festante si ammutolì all'improvviso, Beckenbauer
passò il resto della partita a tranquillizzare i compagni, a
rassicurarli dicendo che “non era successo niente”. E niente, di
fatto, successe fino al triplice fischio: il miracolo sportivo era
compiuto, Davide aveva abbattuto Golia, la Ddr ottenne
clamorosamente, e inaspettatamente, una medaglia da sfoggiare a
testimonianza della superiorità orientale. La Germania Est vsarebbe
stata poi eliminata al turno successivo, mentre la Germania Ovest
sarebbe andata a vincere il suo secondo titolo mondiale, ma quel
pomeriggio di giugno del '74 rimarrà impresso a fuoco nei libri di
storia tedeschi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-hbLmiTxrf-0/WUkQZ-le7VI/AAAAAAAAA_Y/Z3lj_7lu60Azdfd6__VTD9rfdNiAWyOYACEwYBhgL/s1600/sparwasser.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="443" data-original-width="593" height="239" src="https://2.bp.blogspot.com/-hbLmiTxrf-0/WUkQZ-le7VI/AAAAAAAAA_Y/Z3lj_7lu60Azdfd6__VTD9rfdNiAWyOYACEwYBhgL/s320/sparwasser.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: x-small;">Sparwasser sta per scrivere la storia</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Sparwasser, match winner al
Volksparkstadion, venne trasformato in un eroe, in uno strumento di
propaganda vivente. In pochi, presi dall'euforia di quel pomeriggio
da leggenda, si resero conto che l'uomo chiave di quella vittoria era
stato in realtà un altro. Se ne resero conto gli sconfitti, i
calciatori dell'Ovest, come avrebbe poi ammesso Netzer in
un'intervista, qualche anno più tardi: il vero giustiziere degli
occidentali non era stato Sparwasser, ma Reinhard Lauck,
centrocampista, un mastino che quel giorno inaridì, quasi
soffocandole, le fonti del gioco tedesco, fuoriclasse come lo stesso
Netzer e come Overath. Fu lui l'ago della bilancia, in quel
pomeriggio di giugno del '74 ad Amburgo. Nato a Cottbus, Lusazia, nel
'46, “Macki” - “riccio”, così lo chiamavano tutti per i suoi
capelli – crebbe passando da un settore giovanile all'altro, sempre
rimanendo nella sua città natale, poi, nel '65, a nemmeno vent'anni,
debuttò in prima squadra nell'Sc Cottbus. Un anno al Neubrandeburg,
poi il rientro a Cottbus, con la squadra che nel frattempo, dopo la
fusione con il Vorwarts, aveva cambiato denominazione in Energie
Cottbus. Nel '68 il passaggio all'Union Berlino e l'esordio nel
campionato di massima serie. Un episodio su tutti, per rendere l'idea
di quanto utile Macki fosse per le sue squadre, di quanta fiducia
riponessero in lui gli allenatori: Reinhard firmò per l'Union appena
due giorni prima della finale di Coppa contro il Carl Zeiss Jena.
Aveva sempre militato nelle serie inferiori, nessuno dei suoi nuovi
compagni lo conosceva, eppure Werner Scwenzfeier, tecnico dei
berlinesi, non ebbe alcun dubbio quando decise di mandarlo in campo
da titolare nella finalissima, appena 48 ore dopo il suo arrivo nella
capitale. Ed ebbe ragione: l'Union vinse 2-1 e alzò al cielo quello
che ad oggi resta l'unico trofeo nella storia della società.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-C3InJPqv6oY/WUkQZg5-osI/AAAAAAAAA_U/Je8Mnt-G4d8JBskN6X48fisiyBOVNW3dQCEwYBhgL/s1600/lauck2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="212" src="https://1.bp.blogspot.com/-C3InJPqv6oY/WUkQZg5-osI/AAAAAAAAA_U/Je8Mnt-G4d8JBskN6X48fisiyBOVNW3dQCEwYBhgL/s1600/lauck2.jpg" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Dopo cinque stagioni, però, l'Union
conobbe l'onta della retrocessione e Lauck decise di andarsene. Restò
a Berlino, vestendo la maglia della Dynamo, la squadra della Stasi:
per molti tifosi dell'Union fu un vero tradimento, ma i contorni di
questo trasferimento sono tutt'oggi poco chiari. Secondo alcuni,
infatti, Lauck fu sostanzialmente quasi obbligato, a malincuore, ad
accettare di firmare per la Dynamo, dietro “invito” degli
ufficiali della Ddr, per non perdere la possibilità di giocare in
nazionale. Uno dei simboli della Ddr nel mondo dello sport non poteva
essere relegato in seconda serie: così aveva deciso il Regime.
Alcuni tifosi dell'Union si appostarono addirittura sotto casa di
Reinhard per cercare di convincerlo a fare dietrofront, ma Lauck non
tornò – non potè tornare? - sui propri passi. Alla Dynamo Macki
sarebbe poi rimasto per 8 anni, vincendo per tre volte il campionato
e conquistando un posto stabile in nazionale. Quella nazionale cui
disse addio nel '77, con cui conquistò anche l'oro alle Olimpiadi di
Montreal del '76, con cui, prima di ogni altra cosa, scrisse la
storia ad Amburgo, al Volksparkstadion, nel pomeriggio del 22 giugno
del 1974.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-TflNZw6lRNo/WUkQZr6MtqI/AAAAAAAAA_Q/hUomJmyZbI0zdUzdc6EAeWIkKxPbfzByQCEwYBhgL/s1600/lauck3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="479" data-original-width="700" height="218" src="https://2.bp.blogspot.com/-TflNZw6lRNo/WUkQZr6MtqI/AAAAAAAAA_Q/hUomJmyZbI0zdUzdc6EAeWIkKxPbfzByQCEwYBhgL/s320/lauck3.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Allori che gli diedero gloria, non
ricchezza. Nel '74 il regime promise premi in abbondanza in caso di
passaggio del primo turno: denaro, case, automobili. Nulla di tutto
questo sarebbe mai arrivato, come rivelato anni dopo dagli stessi
protagonisti dell'epoca. Così Lauck, come altri eroi del '74 e del
'76, una volta appese le scarpe al chiodo nell'81 in seguito ad un
grave infortunio al ginocchio, fu costretto, dopo una breve e poco
fortunata parentesi come allenatore, a tornare al lavoro di fabbro,
che aveva svolto prima di diventare un calciatore.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E poi c'era l'alcool, che giorno dopo
giorno rosicchiava parti sempre più consistenti della vita di
Reinhard. Nel 1994, quando il muro era crollato da ormai cinque anni,
venne organizzato un ritrovo, una sorta di riedizione di quello
storico Germania Est-Germania Ovest del 1974, con tutti i
protagonisti dell'epoca di nuovo in campo, solo con venti primavere
in più. Lauck, quel giorno, si presentò completamente ubriaco, non
riuscì a mettere piede in campo, barcollava, per lui era un'impresa
anche solo rimanere in piedi. Tutti sapevano che Macki non se la
passava bene, ma probabilmente nessuno aveva capito, prima di quel
giorno, quanto fosse profondo il baratro in cui era finito. Dello
splendido centrocampista che nel '74 aveva cancellato dal campo un
campione come Overath non c'era più traccia. I suoi ex compagni e i
suoi ex avversari, quel giorno, furono profondamente colpiti nel
vedere ridotto così il povero Reinhard. Lo trattarono con
gentilezza, con grande sensibilità, qualcuno si offrì anche di
aiutarlo a riprendere in mano le redini della sua vita. Ma lui,
Reinhard, aveva già oltrepassato da tempo quel limite oltre il quale
mancano le energie e gli stimoli anche solo per farsi aiutare. Aveva
già mollato. Non l'aveva fatto mai in campo, lo fece fuori, in una
Germania ormai unita che l'aveva lasciato solo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Vent'anni prima era un eroe, ora era
diventato un invisibile, un dimenticato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ricomparve svenuto su una panchina di
Berlino, una mattina di ottobre del '97, in corpo dosi industriali di
alcool, sul viso diverse ferite sospette, mai completamente chiarite.
Due settimane di coma, poi la morte, il 22 ottobre, ad appena 51
anni. Nel suo piccolo appartamento nei pressi di Alexanderplatz
vennero ritrovate montagne di bottiglie vuote, ma nel caos generale
spuntò fuori anche la medaglia d'oro di Montreal '76: forse l'unico
ricordo di una vita precedente, una vita che a Reinhard aveva dato
giorni di gloria, prima prendersi tutto indietro con gli interessi.
Quella medaglia era forse l'unico ricordo di una vita che anche lui,
Macki, aveva dimenticato, inghiottito dal vortice che lo trascinò
fino alla morte.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>[A.D.] -
www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FONTI</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Il minuto di silenzio - La storia
del calcio attraverso i suoi eroi"</i> - Gigi Garanzini -
Mondadori - pagg. 211-212</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Bundesliga Fanatic</i> -
<a href="http://bundesligafanatic.com/a-forgotten-german-legend-reinhard-lauck/">http://bundesligafanatic.com/a-forgotten-german-legend-reinhard-lauck/</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Berliner Morgenpost</i> -
<a href="https://www.morgenpost.de/sport/fussball-wm/article128665944/Reinhard-Maecki-Lauck-Tragoedie-eines-vergessenen-Helden.html">https://www.morgenpost.de/sport/fussball-wm/article128665944/Reinhard-Maecki-Lauck-Tragoedie-eines-vergessenen-Helden.html</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><i>Storie di calcio – Il football
come lo abbiamo sognato e amato</i> -
<a href="http://storiedicalcio.altervista.org/blog/sparwasser_ddr.html">http://storiedicalcio.altervista.org/blog/sparwasser_ddr.html</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FOTOGRAFIE</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">1 – it.wikipedia.org</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">2 – <a href="http://www.corriere.it/">www.corriere.it</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">3 – <a href="http://www.laststicker.com/">www.laststicker.com</a></span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">4 – www.fumema.de</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-12821782765104261272017-05-23T14:22:00.003+02:002017-05-23T14:22:50.097+02:00Odd Frantzen, l'operaio che umiliò Hitler<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-hTjwD3Xqrms/WSQl9gIP1yI/AAAAAAAAA-I/70zZodEgiCY-O46SPehKJaN2yySY2TSXwCLcB/s1600/frantzen%2B1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="181" src="https://3.bp.blogspot.com/-hTjwD3Xqrms/WSQl9gIP1yI/AAAAAAAAA-I/70zZodEgiCY-O46SPehKJaN2yySY2TSXwCLcB/s320/frantzen%2B1.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Quando il pomeriggio del 7 agosto del
1936 Adolf Hitler si accomodò sulle tribune di uno stadio Olimpico
di Berlino vestito a festa per la rassegna olimpica che avrebbe
dovuto mostrare al mondo la magnificenza del Reich, probabilmente
pensava ad una normale uscita di propaganda. Il Fuhrer non aveva mai
assistito, prima di quel giorno, ad una partita di calcio, ma dalle
stanze dei bottoni avevano suggerito che era giunto il momento di
raccogliere consensi anche tra gli adepti di quella fede che anche in
Germania aveva raggiunto impressionanti picchi di popolarità.
Questo, e nulla più, era il calcio per Hitler: un mezzo come un
altro per giungere al suo fine, ossia l'allargamento dei consensi nei
confronti del Reich. Una Germania nazista che negli ottavi di finale
aveva comodamente strapazzato il Lussemburgo, sommerso da nove reti,
e che prometteva di concedere il bis contro una Norvegia che appariva
come un manipolo di sconosciuti dilettanti, o poco più. Quale
occasione migliore, se non quella di un trionfo annunciato, per
salutare l'ingresso di Adolf Hitler nel mondo del pallone?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: inherit;"><br />
</span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Non mancava nessuno, quel pomeriggio,
sulle tribune dell'impianto berlinese. C'erano Goring, Goebbels,
Hess, e tanti altri gerarchi del Reich: nessuno aveva voluto mancare,
tanto era data per scontata la vittoria. Di fronte quel manipolo di
dilettanti venuto dalla Scandinavia, che aveva eliminato la Turchia
negli ottavi, ma che ora si preparava a recitare la parte
dell'agnello sacrificale contro la grande potenza della squadra
ospitante. Non poteva prevedere, Adolf Hitler, che le cose sarebbero
andate in maniera decisamente diversa. Lui, che pochi giorni prima,
il 4 agosto, era stato per certi versi umiliato insieme alle sue
leggi razziali dalla vittoria di un nero, Jesse Owens, che sotto il
suo vigile sguardo aveva dominato la gara del salto in lungo. Quel
pomeriggio, quello del 7 agosto, il Fuhrer sarebbe stato umiliato
ancora una volta, questa volta per mano di quegli undici ragazzi
venuti dalla Norvegia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Sì, perchè a vincere, sovvertendo
ogni pronostico, fu appunto la Norvegia. Una doppietta di Isaksen, a
segno una volta per tempo, e quella Germania nazista che avrebbe
dovuto dare dimostrazione della potenza del Reich, che avrebbe dovuto
stravincere, si era ritrovata al tappeto, domata sotto gli occhi di
Hitler. C'è un'immagine che ci rende un'idea concreta
dell'umiliazione inflitta al Fuhrer in quel pomeriggio di agosto del
'36. Un'istantanea che cattura lui, Hitler, intento a lasciare lo
stadio insieme a Hess, Goring e Goebbels poco dopo il raddoppio di
Isaksen, prima del triplice fischio dell'inglese Barton. Un'usanza
oggi propria dei tifosi delusi, quelli che abbandonano i propri posti
in tribuna prima del termine del match, magari per evitare il
traffico post partita: in quel pomeriggio del '36 non si trattava che
di un dittatore incapace di sottoporre il suo orgoglio all'immagine
di un gruppo di sconosciuti intento a mandare al tappeto i panzer cui
era stato assegnato il compito di difendere l'onore del Reich
inseguendo un pallone.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-NT93zeBDFmw/WSQmYRJc4mI/AAAAAAAAA-M/C2hrjrlP_0MSsTQak0M--X4RcCbVpGvHwCLcB/s1600/frantzen%2B5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://2.bp.blogspot.com/-NT93zeBDFmw/WSQmYRJc4mI/AAAAAAAAA-M/C2hrjrlP_0MSsTQak0M--X4RcCbVpGvHwCLcB/s320/frantzen%2B5.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: x-small;">Hitler lascia lo stadio prima del fischio finale</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Tra quei ragazzi scandinavi – che
sarebbero stati eliminati dall'Italia in semifinale, ma che avrebbero
poi conquistato una storica medaglia di bronzo, ad oggi unico alloro della storia del pallone norvegese – spiccò quel
giorno il talento cristallino di Odd Frantzen, un'ala destra nata a
Bergen, regione di Vestlandet, contea di Hordaland, nel 1913. Odd,
per vivere, aveva sempre lavorato come scaricatore di porto nella sua
città natale: quella di quel 7 agosto '36 era la sua prima partita
con la casacca della Norvegia. Giocava dopo il lavoro in una modesta
squadra di operai, alcuni dirigenti della nazionale lo avevano
scovato, chissà come, e avevano deciso di aggregarlo alla spedizione
olimpica. Ma nonostante Odd giocasse nell'Hardy, club della “working
class” di Bergen, la scelta di portarlo in Germania fu più che mai
azzeccata: quel giorno, di fronte alla Germania, di fronte ad Adolf
Hitler, Frantzen fu semplicemente immarcabile. Fu lui, ancor più del
match winner Isaksen, a far ammattire la difesa tedesca con finte,
dribbling e cambi di passo. I pupilli del Fuhrer, insomma, quel
giorno non lo presero mai e vennero letteralmente fatti a fettine.
Questo malgrado le dosi industriali di tabacco e alcool con cui Odd
accompagnava le sue serate nel villaggio olimpico, vizi che gli
avrebbero poi presentato un conto salato, qualche anno più tardi.
Amava godere di ogni piacere della vita, Odd, amava ridere e far
ridere, con il suo carattere guascone aveva conquistato un po' tutti i mebri della spedizione norvegese a Berlino,
malgrado fosse l'ultimo arrivato. Ed è forse proprio questa
sfrontatezza, questa voglia di divertirsi e di divertire, sempre e
comunque, che gli permise di scendere in campo davanti a quasi 60
mila tedeschi, nel giorno del suo debutto in nazionale, sotto gli
occhi di uno dei più spietati e sanguinari dittatori che la storia
ricordi, con la stessa leggerezza che lo caratterizzava quando
giocava con l'Hardy, nella sua Bergen, quando le giornate di lavoro
al porto finivano e veniva il tempo di staccare un po' la spina.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-icybCcVOVJ8/WSQl8X3nZmI/AAAAAAAAA98/7VKLwynwO8EwlOdFXJ__XLjMECcqdv3xwCEw/s1600/frantzen%2B3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://2.bp.blogspot.com/-icybCcVOVJ8/WSQl8X3nZmI/AAAAAAAAA98/7VKLwynwO8EwlOdFXJ__XLjMECcqdv3xwCEw/s320/frantzen%2B3.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: x-small;">Una cartolina spedita da Frantzen alla moglie Betty da Berlino</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ma quei giorni gloriosi con la casacca
della sua nazionale sulla pelle, per Frantzen, non sarebbero durati a
lungo. Il tempo di partecipare al mondiale francese del 1938
(eliminazione contro l'Italia agli ottavi di finale dopo i tempi
supplementari), poi, dopo l'invasione della Norvegia da parte delle
truppe naziste il 9 aprile del 1940, la fine dei giorni da calciatore
di Frantzen. Odd aveva appena 27 anni, aveva giocato sempre e solo
nel modesto Hardy, ma per lui il calcio apparteneva già al passato:
chiuse con 20 presenze e 5 reti in nazionale. Continuò a lavorare al
porto, come del resto aveva sempre fatto, anche negli anni d'oro da
stella del pallone norvegese, arrotondando talvolta come muratore e
aiuto camionista. Quando nel 1941 sposò la sua amata Betty, Odd era
ancora una star, ma la celebrità, così come i ricordi annebbiati
troppo spesso dai fumi dell'alcool, poco a poco svanì. Fare il
calciatore, nella Norvegia degli anni '30, non era l'attività
redditizia che è oggi, e anche i salari per i portuali di Bergen,
nel dopoguerra, non erano dei migliori: la bottiglia, per Odd come
per molti altri, era la via di fuga più facile ed immediata. E
Frantzen, l'uomo che aveva umiliato Hitler e la Germania in un
pomeriggio di agosto del 1936, finì così nel dimenticatoio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ricomparve in una breve di cronaca
nera, nell'ottobre del 1977. Un uomo senza una gamba era stato
brutalmente assassinato da un giovane in cerca di alcool. Un omicidio
di inaudita violenza: quell'uomo, un anziano, era stato finito a
calci da quel ragazzo, che poi se la cavò con cinque anni di galera.
Quell'uomo che aveva trovato la fine dei suoi giorni in un quartiere
popolare di Bergen era lui, Odd Frantzen. Era rimasto senza una gamba
nella primavera del '61, quando durante una giornata al porto, salito
su un carrello elevatore per scaricare alcuni sacchi di zucchero,
precipitò su una piattaforma: fu necessaria l'amputazione, fu
l'inizio della fine. Le quantità di alcool ingerite diventarono
insostenibili per il suo corpo, anche l'amore con Betty si spense
poco a poco, fino alla separazione. Si fece vedere in pubblico in
occasione di un raduno con i vecchi compagni di nazionale, gli eroi
del '36, poi tornò nell'oblìo, con l'ormai ex moglie che, per
quanto possibile, provò a sostenerlo anche da lontano. Un oblìo
sempre più nero: per quasi 4 anni, secondo i registri nazionali
norvegesi, Odd risultò senza fissa dimora. Fino all'ottobre del '77,
fino a quella breve di cronaca nera che ne annunciava la morte.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-G4DmShYnVng/WSQl9QbWLGI/AAAAAAAAA-E/hd5qnWGygYUfNd3eLz1p9_SOzcThXG46QCEw/s1600/frantzen%2B4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://3.bp.blogspot.com/-G4DmShYnVng/WSQl9QbWLGI/AAAAAAAAA-E/hd5qnWGygYUfNd3eLz1p9_SOzcThXG46QCEw/s320/frantzen%2B4.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: x-small;">Frantzen, dopo l'incidente, insieme ai compagni del '36</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Oggi Frantzen riposa nel cimitero di
Solheim, vicino a Bergen, a fianco alla moglie Betty, dalla quale si
era separato, ma che ha ritrovato dopo la morte. Il suo nome
riportato sulla lapide risulta anonimo per gran parte delle persone
che si ritrovano a passare di lì. Eppure quell'uomo, in un
pomeriggio del '36, aveva umiliato Adolf Hitler, che aveva preferito
lasciare lo stadio mentre quella funambolica ala norvegese
ridicolizzava i ragazzi con la svastica sul petto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b>[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div>
<b><br /></b></div>
<div>
<b>FONTI</b></div>
<div>
<b><br /></b></div>
<div>
<i>"Il minuto di silenzio - La storia del calcio attraverso i suoi eroi"</i> - Gigi Garanzini - Mondadori - pagg. 141-142</div>
<div>
<br /></div>
<div>
<i>www.nrk.no</i> - https://www.nrk.no/hordaland/xl/odd-frantzen_-the-dockworker-who-humiliated-hitler-1.13122242 - https://www.nrk.no/tidslinje_-odd-frantzen-_1913---1977_-1.13078376?fullscreen</div>
<div>
<br /></div>
<div>
<b>FOTOGRAFIE</b></div>
<div>
<br /></div>
<div>
www.nrk.no - https://www.nrk.no/hordaland/xl/odd-frantzen_-the-dockworker-who-humiliated-hitler-1.13122242</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-38307369078117617952017-05-11T19:05:00.000+02:002017-06-20T09:21:00.700+02:00Ferenc Deàk, quando i gol non bastano<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-OrBiD8Opwas/WRSYP1lwkxI/AAAAAAAAA9I/iHj8_2Id-74gMKz3eq2SZ88J9ckvTenPwCLcB/s1600/deak1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-OrBiD8Opwas/WRSYP1lwkxI/AAAAAAAAA9I/iHj8_2Id-74gMKz3eq2SZ88J9ckvTenPwCLcB/s320/deak1.jpg" width="225" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Per molti esiste
una sola discriminante in base alla quale giudicare un attaccante. In
barba ai “falsi nueve”, ai centravanti di manovra, a quelli
“moderni”, quelli che tanto si sacrificano per la squadra, per
tanti l'unico criterio in base al quale un attaccante dev'essere
giudicato è quello dei gol segnati. Perchè è il gol l'obiettivo
del gioco, è il gol ad emozionare, a far gridare le folle: è il gol
l'unica cosa che conta davvero in un mondo, quello del calcio, che è
stato sviscerato ed analizzato in ogni suo più piccolo dettaglio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: inherit;">
</span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Utilizzando solo
e soltanto questo criterio, mettendo in fila gli attaccanti che hanno
gettato più palloni di cuoio in fondo al sacco nell'ultimo secolo,
vien fuori che il giocatore più prolifico in gare ufficiali, e
quindi il miglior attaccante della storia – sempre tenendo conto
esclusivamente di questa discriminante – risponde al nome di Josef
Bican, ariete austriaco naturalizzato cecoslovacco in attività tra
gli anni Trenta e gli anni Cinquanta: si stima, sebbene i dati
dell'epoca lascino sempre qualche riserva, che abbia segnato più di
805 reti in partite ufficiali. Dietro di lui Romario, Pelè, Puskas e
Gerd Muller: mostri sacri, leggende del pallone in carne ed ossa. Al
sesto posto, in questa classifica, si trova un giocatore che,
malgrado un numero di reti segnate da far strabuzzare gli occhi, non
gode della fama di chi lo precede in graduatoria. Se sentendo
pronunciare i nomi di Pelè, di Romario o di Puskas, quasi ogni
appassionato di calcio drizza le antenne, così non accade facendo il
nome di Ferenc Deàk. Eppure c'è lui, con più di 576 palloni
mandati a gonfiare la rete, al sesto posto della classifica marcatori
all time in gare ufficiali.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Il suo nome, ai
più, dice ben poco, eppure Deàk precede monumenti come Seeler, Hugo
Sanchez, Di Stefano e Nordahl. Perchè, a differenza di queste stelle
del firmamento del pallone mondiale, Deàk è finito nell'oblìo? La
risposta è molto semplice: Deàk nell'oblìo non ci è finito da
solo, bensì ci è stato spinto con forza. Perchè c'è stato un
tempo in cui segnare grappoli di gol non era condizione sufficiente
per guadagnarsi fama e successo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Quel tempo, in
Ungheria, corrisponde con il periodo a cavallo tra gli anni Quaranta
e Cinquanta. Ma per raccontare la storia di Ferenc Deàk, e di come
uno degli attaccanti più letali della storia del calcio finì nel
dimenticatoio, serve fare un passo indietro. Fino al 1922, quando a
Budapest Ferenc vede la luce. Delle sue origini, dei suoi primi anni
di vita, ben poche informazioni sono arrivate fino a noi. Si sa che
giocava a calcio, si sa che aveva talento, e che pur non avendo
fisico e tecnica eccezionali sopperiva con quello che oggi chiamiamo
“fiuto del gol”: quella capacità di trovarsi al posto giusto nel
momento giusto, quel sesto senso che permette solo a pochi eletti di
anticipare il corso degli eventi, beffando così difensori sempre un
attimo in ritardo. Questo, in estrema sintesi, era Ferenc Deàk. Fu
nello Szlentorinci, squadra di terza divisione, che Ferenc mosse i
primi passi e, naturalmente, segnò i primi gol. Gol che trascinarono
la squadra fino alla massima serie magiara, prima che la mannaia
della Seconda Guerra Mondiale arrivò ad interrompere il naturale
corso degli eventi, e quindi anche dei campionati di calcio. Ma
Ferenc non perse tempo, e nel primo campionato dopo la fine del
conflitto diede spettacolo: nel 1945-46 Deàk stabilisce un record
che resterà per tantissimi anni imbattuto, segnando la strabiliante
cifra di 66 reti in 34 gare. E si ripete, con numeri più contenuti
ma sempre impressionanti, nell'annata successiva: 30 apparizioni, 48
reti, il tutto giocando per una squadra, lo Szlentorinci, che non
eccelle e naviga a metà classifica. Una squadra che sta stretta a
Ferenc, che così, per la stagione successiva, dopo 114 gol in due
anni, si trasferisce al Ferencvaros.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-eQvm3NmEY6s/WRSYQMINaPI/AAAAAAAAA9M/R7QDqgjBMm078NnPp0aqbPcoRKDFc3TwgCEw/s1600/deak4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="199" src="https://2.bp.blogspot.com/-eQvm3NmEY6s/WRSYQMINaPI/AAAAAAAAA9M/R7QDqgjBMm078NnPp0aqbPcoRKDFc3TwgCEw/s320/deak4.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E anche qui
Bamba continua a strabiliare. “Bamba”, questo è il soprannome
che i tifosi ungheresi gli hanno dato. Letteralmente significa
“lento, tardo”, ma nel caso di Deàk non è di certo un'offesa.
Si tratta di un nomignolo inventato per rendere l'idea di quel che
Ferenc è sul campo: spesso ciondolante a centrocampo, quasi pigro,
totalmente estraneo alla manovra e a ciò che gli accade intorno. Ma
è solo un'apparenza, perchè quand'è il momento giusto, quando
arriva l'invito giusto da parte dei compagni, “Bamba” è svelto,
micidiale, spesso letale nello scattare e nel planare rapace su ogni
pallone. Sfracelli anche con il Ferencvaros, dicevamo: al primo anno
40 reti in 31 partite, dietro a un altro Ferenc, quel Puskas di cui,
da lì a qualche anno, si parlerà molto, che ne fa 50. Nel 1948-49
la stagione perfetta per “Bamba”, con il titolo ungherese e
quello di capocannoniere: le sue 59 reti trascinano i biancoverdi al
trionfo. Uno così, uno come Deàk, non può chiaramente rimanere
fuori dalla nazionale: con la rappresentativa magiara Ferenc gioca 20
partite a partire dal 1946, e anche qui il vizio è il solito, i gol
sono 29, per una media ancora una volta spaventosa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-jECs_-CQHUE/WRSYPsD48RI/AAAAAAAAA9E/yDqhWrSHJzwj73kthKauZb-GZD1Ww56bQCEw/s1600/deak3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://3.bp.blogspot.com/-jECs_-CQHUE/WRSYPsD48RI/AAAAAAAAA9E/yDqhWrSHJzwj73kthKauZb-GZD1Ww56bQCEw/s1600/deak3.jpg" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ma è qui, a
cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, che torniamo all'inizio di
questa storia, è questo il momento in cui a Deàk i gol, il talento,
le prodezze, non bastano più. Gli si chiede di più, gli si chiede,
come a tutti gli altri sportivi più celebri, di mostrare fedeltà al
regime comunista instauratosi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Al di
là della Cortina di Ferro, tutto dev'essere allineato alle direttive
sovietiche in arrivo da Mosca. Anche il calcio. Ed è seguendo questa
linea che Gustavz Sebes, ex vice-ministro dello Sport e, dal 1949,
commissario tecnico della nazionale magiara, vara una riforma che
mira ad associare le principali realtà calcistiche nazionali alle
maggiori istituzioni dello stato. Così il Kispesti diventa la
Honved, letteralmente “difesa della patria”, dal nome
dell'esercito dell'impero austro-ungarico: in estrema sintesi, la
Honved diventa la squadra dell'esercito. Il Vasas diventa la
rappresentativa del partito comunista, l'Ujpest Dosza quella del
Ministero degli Interni. Ogni singolo ambito della vita dello stato,
rilevante o ininfluente che sia, deve insomma allinearsi
all'ideologia del partito. E così devono fare le persone, compresi i
calciatori, anche se a questi ultimi, per la verità, è concessa
qualche libertà in più, dato il loro status di ambasciatori del
regime sui campi d'Europa e non solo: c'era così chi si dichiarava
pubblicamente fedele al regime, c'era chi si manteneva più
distaccato e neutrale. C'era però chi di quell'ideologia non ne
voleva davvero sapere, chi apertamente rifiutava qualunque cosa
avesse a che fare col partito comunista. Ed è proprio questo
rifiuto, quest'ostilità che “Bamba” non cela nei confronti del
regime, a segnare la fine dei suoi giorni da campione, e
contemporaneamente l'inizio della discesa verso l'oblìo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Deàk
gioca la sua ultima gara in nazionale contro la Svezia nel 1949, una
vittoria per 5-0 in cui Ferenc, tanto per non perdere l'abitudine,
segna un gol. Poi, con Sebes in panchina, per lui non c'è più
spazio. Perchè Bamba non si allinea al regime, e questo status di feroce anticomunista pesa più di
242 gol segnati in stagioni dal '45 al '49. Su di lui, poi, pesano
anche accuse di spionaggio: tesi mai provate, probabilmente montate
ad arte dal regime per screditare un suo fiero oppositore. Nel 1950,
poi, Ferenc firma definitivamente la sua condanna: in un bar fa a
pugni con due agenti dell'Avh, la polizia segreta ungherese,
appendice degli apparati di sicurezza sovietica. E' il passo falso
che il regime aspettava: Ferenc sparisce, non solo dalla lista dei convocati di quella che si appresta a diventare l'Aranycsapat, ma proprio dalla circolazione. Per qualche settimana nessuno lo vede più tra le strade di Budapest: si dice che sia rinchiuso nella "Casa del Terrore", il quartier generale dell'Avh, al numero 60 di Andràssy ùt. Il partito concede a Bamba una scelta: da
una parte il trasferimento all'Ujpest Dosza, squadra del Ministero
degli Interni, dall'altra la galera. Ferenc sceglie la prima via,
sceglie di piegarsi per evitare di finire - di tornare - in prigione. Continua a
giocare, ma lo fa senza più passione. Giocare non è più un
piacere, bensì un dovere, utile solo ad evitare la galera. E poi, se
242 reti in 4 stagioni non sono stati sufficienti per prendersi un
posto in nazionale, che senso ha dannarsi l'anima e spremersi per un
traguardo che, in ogni caso, gli resterà precluso? Ferenc rimane
all'Ujpest fino al 1954, le medie realizzative sono buone, non più
spaventose come quelle degli anni precedenti, ma sufficienti a
mantenere la squadra costantemente nelle prime posizioni. Poi quattro
stagioni nelle serie inferiori con le maglie di Vm Egyetèrtès, Bp
Spartacus, Bfc Siòfok e ancora Egyetértés. Poi il ritiro, nel
1957, un anno dopo la rivoluzione repressa con il sangue dai carri
armati dell'Armata Rossa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La
carriera di Bamba, però, era di fatto finita sette anni prima, dopo
quella scazzottata in quel bar di Budapest, dopo l'estromissione da
una nazionale che si preparava ad entrare nella leggenda. Già,
perchè quella di cui Deàk non ha potuto far parte non è una
nazionale qualunque, è l'Aranycsapat, la “squadra d'oro”
trascinata da una generazione di fenomeni germogliata negli anni
della Seconda Guerra Mondiale ed esplosa in tutto il suo splendore
dopo la fine del conflitto. Una formazione meravigliosa, incapace di
fregiarsi dei titolo mondiale, ma trionfante alle Olimpiadi di
Helsinki e nella Coppa Internazionale del 1953. Uno squadrone in
grado di segnare la storia del pallone scrivendone pagine
indimenticabili, come lo storico 6-3 inflitto ai “maestri inglesi”
a Wembley. Una selezione di stelle di prim'ordine come Puskas,
Kocsis, Hidekguti, Czibor, diventata grande anche senza Deàk, che
pure a pieno titolo avrebbe potuto farne parte. Eppure,
paradossalmente, proprio l'esclusione di Deàk fu madre di uno dei
capolavori tattici di Sebes: senza “Bamba” mancava il
centravanti, così il ct pensò di arretrare di alcuni metri il
raggio d'azione di Hidekguti. Fu una rivoluzione, era l'invenzione
del ruolo di centravanti di manovra, antesignano dell'odierno “falso
nueve”. Cambiò il calcio, quella squadra, ne segnò un'epoca.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-L3H5Eik2R88/WRSYPlmeR3I/AAAAAAAAA9A/Q1W0tAmdn0YdOEw74QaB9sBluVYrBra2QCEw/s1600/deak2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-L3H5Eik2R88/WRSYPlmeR3I/AAAAAAAAA9A/Q1W0tAmdn0YdOEw74QaB9sBluVYrBra2QCEw/s1600/deak2.jpg" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Deàk
non potè fare altro che guardare da lontano i suoi vecchi compagni;
lui, da esiliato, osservò abbassando la testa i suoi amici scalare
vette inesplorate del mondo del pallone. “Quando vedo le repliche
del 6-3 all'Inghilterra, mi giro dall'altra parte”, dichiarò
“Bamba” qualche anno più tardi. Aveva rispettato i suoi ideali,
ma aveva pagato a caro prezzo la sua scelta, con quel retrogusto
amaro del rimpianto che lo avrebbe accompagnato per la vita intera.
Morì nel 1998, due anni dopo quell'Ungheria che lo aveva rinnegato
gli conferì l'Hungarian Heritage Award, riconoscimento destinato a
personaggi particolarmente meritevoli nella cultura, nell'economia,
nelle scienze o nello sport.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Da
lassù, forse, a “Bamba” sarà scappato un sorriso amaro. Perchè
l'orgoglio per aver rispettato i suoi ideali resta, ma nessun
riconoscimento potrà mai cancellare il rimpianto di non aver scritto
la storia insieme ai suoi vecchi amici, quelli dell'Aranycsapat,
nonostante 242 gol in 4 stagioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FONTI</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">1-
https://www.stopandgoal.net/2014/04/02/rubriche/miti-a-meta-tra-calcio-e-partito-non-mettere-il-dito-ferenc-deak/</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">2-
https://trequartismi.wordpress.com/2016/09/18/deak-un-bomber-nelloblio/</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">3-
<a href="http://www.tempofradi.hu/deak-ferenc">http://www.tempofradi.hu/deak-ferenc</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">4 -
<a href="http://www.tempofradi.hu/a-bamba-deak-ferenc-elete">http://www.tempofradi.hu/a-bamba-deak-ferenc-elete</a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">5 -
<a href="http://www.hatharom.com/2011/06/20/deak_ferenc_a_csalodott_golrekorder_portre">http://www.hatharom.com/2011/06/20/deak_ferenc_a_csalodott_golrekorder_portre</a></span><br />
6 - "La squadra spezzata - La Grande Ungheria di Puskas e la Rivoluzione del 1956 - Luigi Bolognini - <span style="background-color: white; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 13px; text-align: left;">66th and 2nd, 2016</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b>FOTO</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">1-
www.trequartismi.wordpress.com</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">2-
it.wikipedia.org/wiki/Ferenc_De%C3%A1k_(calciatore)</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">3-
www.xtralegend.blogspot.it</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">4-
www.hatharom.com</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-29563423774715468592017-05-10T22:31:00.002+02:002017-05-10T22:31:45.037+02:00Maradona, il più forte dopo El Goyo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-zdSGw0B97dA/WRN4UPwHlmI/AAAAAAAAA8s/HVdxUMqOILMIRi3DwUAAAUm0DVXlwzzXwCLcB/s1600/carrizo2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="242" src="https://4.bp.blogspot.com/-zdSGw0B97dA/WRN4UPwHlmI/AAAAAAAAA8s/HVdxUMqOILMIRi3DwUAAAUm0DVXlwzzXwCLcB/s320/carrizo2.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Villa Fiorito, barrio posto nella
periferia sud di Buenos Aires, non è esattamente il migliore dei
luoghi dove vivere. Anzi, si potrebbe proprio dire che, se proprio
non ci son di mezzo cause di forza maggiore, è decisamente
consigliabile tenersi alla larga da quel quartiere: strade
dissestate, baracche a perdita d'occhio, la malavita e i trafficanti
d'armi a dettare legge. Se qualche temerario, all'alba degli anni
Settanta, avesse però trovato il coraggio di fare quattro passi in
quell'angolo di mondo dimenticato da Dio, avrebbe avuto buone
probabilità di imbattersi, in uno dei campetti polverosi che si
trovano in ogni periferia di ogni città di ogni nazione colonizzata
dal calcio, in una squadra di ragazzini che, in quegli anni, fece
molto parlare di sé nella capitale argentina. “Los Cebollitas”,
si facevano chiamare: “le cipolline”, nome che di certo non
potrebbe incutere timore in alcun avversario. Poco male, quella era
in realtà una selezione giovanile dipendente dall'Argentinos
Juniors, una squadra che non badava alle apparenze, quello era un
gruppo di ragazzini che preferiva che a parlare fosse il campo, e il
campo, nel 1973, raccontò di una squadra capace di vincere 136
partite una in fila all'altra, conquistando due campionati più un
torneo di calcio giovanile intitolato a Evita Peròn.</span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Una squadra, quella delle Cebollitas,
nata dall'idea di Francisco Cornejo, allenatore delle giovanili
dell'Argentinos Juniors che un bel giorno decise di mettere insieme
una formazione di ragazzini di Villa Fiorito: un modo come un altro
per toglierli dalla strada, quei ragazzini, per provare ad indicare
loro una strada migliore rispetto a quello che il barrio, quasi
inevitabilmente, avrebbe riservato loro. Iniziò così la ricerca
battendo le strade, i campetti, i cortili, riuscendo così a mettere
insieme un buon numero di ragazzi del '60: così nacquero le
“cipolline” che avrebbero stupito Buenos Aires. La due stelline
più splendenti di una squadra che, come abbiamo visto, macinava
vittorie su vittorie, erano Diego e Gregorio, due ragazzini piccoli,
magri, cui Madre Natura aveva regalato un talento fuori dal comune
per il calcio: forse una ricompensa per quel destino infame, quello
che aveva scelto per loro Villa Fiorito come luogo dove nascere e
crescere. In un primo momento, in realtà, Cornejo aveva individuato
solamente Gregorio: tutti, nel barrio, gli parlavano di quel
ragazzino fenomenale col pallone tra i piedi. Se davvero “don
Francisco” voleva mettere su una squadra di ragazzini del '60 nati
a Villa Fiorito, Gregorio avrebbe dovuto farne parte senza se e senza
ma. Era stato poi lui, lo stesso Gregorio, a chiedere a Cornejo il
permesso di aggregare un altro ragazzo del barrio: “Posso portare
anche Diego? E' un ragazzo che spacca” aveva domandato Gregorio, ed
ecco che in un attimo era nata la coppia più strabiliante della
storia del calcio giovanile argentino.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Dribbling, numeri, tocchi di classe. E
gol, tanti, tantissimi gol. Gregorio e Diego, Diego e Gregorio,
inseparabili anche fuori dal campo, trascinano le Cebollitas e
stupiscono gli osservatori delle “big” del calcio argentino, tra
i quali l'opinione è pressochè unanime: il loro futuro sarà sui
campi da calcio, e sarà ad altissimi livelli. Osservatori che però
avranno ragione solamente a metà. Sì perchè Diego è Diego Armando
Maradona, per molti il più grande, Gregorio è invece Gregorio
Carrizo, un nome che a tanti - quasi tutti – non dice
assolutamente nulla. Eppure, ancora oggi, nel barrio di Villa
Fiorito, c'è chi è pronto a giurare che Carrizo era ancor più
bravo di Maradona, più bravo di quel giocatore che per tanti è una
semi-divinità, più che un semplice calciatore. Gregorio è nato il
21 ottobre del 1960, 9 giorni prima di Diego, insieme crescono tra i
vicoli del barrio, insieme tirano i primi calci al pallone, insieme
alzano le prime coppe: fratelli, più che semplici amici. Destini che
sembrano paralleli in tutto e per tutto, quelli di Diego e Gregorio,
destini che però, nel 1978, si dividono per non reincontrarsi mai
più.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-memFh7nC10A/WRN4USsKE0I/AAAAAAAAA8w/AlBriuRWIwkGg9J6k5BRFDxPOwLRX_oxACEw/s1600/carrizo1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://4.bp.blogspot.com/-memFh7nC10A/WRN4USsKE0I/AAAAAAAAA8w/AlBriuRWIwkGg9J6k5BRFDxPOwLRX_oxACEw/s320/carrizo1.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E dato che l'amore racchiude in sé,
allo stesso tempo, gioia infinita e sofferenza profonda, a tradire
Gregorio è proprio ciò che lui, da sempre, ama di più: il
dribbling. Quando il salto in prima squadra per lui sembra imminente,
Gregorio, nel cercare di saltare un avversario, crolla a terra: il
ginocchio ha ceduto, il “crac” sinistro irradiatosi
dall'articolazione non lascia presagire nulla di buono. E nulla di
buono sarà: Gregorio s'è rotto tutto, dal menisco ai legamenti.
Mentre Diego esordisce in prima squadra con l'Argentinos e spicca il
volo verso l'Olimpo dei più grandi della storia del calcio, Gregorio
vede infrangersi insieme al suo ginocchio tutti i sogni di gloria, i
sogni di un futuro migliore, quel futuro che Villa Fiorito non gli
può garantire. “El Goyo” - così veniva chiamato nel barrio –
capisce all'istante che quel futuro da campione che tutti avevano
predetto per lui non arriverà mai. Lo capisce, probabilmente cerca
di negarlo a sé stesso e agli altri, ma lo capisce: è finita. Lui
lo sa, nel profondo del suo essere, lo sa che nulla sarà più come
prima. Gregorio, infatti, si arrende all'istante. Il suo è un
infortunio grave, ma dal quale si può provare a recuperare. Ma lui,
“El Goyo”, si scopre fragile: serve una riabilitazione di sei
mesi, lui molla dopo appena venti giorni. Baciato da un talento fuori
dalla norma, sul campo non aveva mai avuto bisogno di lottare, tanto
facile gli riusciva ogni cosa, col pallone tra i piedi. Ora però
c'era da stringere i pugni e rispondere colpo su colpo alle botte
inferte dal destino. Eppure Diego, il suo amico Diego, che nel
frattempo sta bruciando le tappe verso un futuro da semi-divinità,
si offre di pagargli le cure.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ma paradossalmente è proprio lui,
Diego Armando Maradona, il più grande nemico di Gregorio. Diego suo
fratello, Diego il suo compagno di squadra da una vita, Diego che gli
ha fornito centinaia, forse migliaia di assist. Diego che ora ha
l'Argentina ai suoi piedi (o al suo piede, il sinistro), mentre
Gregorio a malapena riesce a camminare dopo quel maledetto crac. E'
Diego, o meglio, il confronto continuo con Diego, ad affossare ancor
di più Gregorio. Avevano camminato insieme per una vita, avevano
vinto insieme sui campi polverosi delle periferie di Buenos Aires,
insieme avevano sognato un futuro migliore, lontano dal barrio,
insieme avrebbero dovuto conquistare l'Argentina, e poi il mondo,
tirando calci ad un pallone. Poi quel dribbling finito male, quel
ginocchio che non risponde, che cede, che va in frantumi. E le strade
che si dividono, con Diego che imbocca quella che porta al Paradiso,
con Gregorio che viene sputato all'inferno. Senza troppa grinta,
senza troppa determinazione, perchè quelle sono andate distrutte
insieme al suo ginocchio, “El Goyo” prova a tornare, ma è un
ritorno triste. Colui che per molti era più forte di Maradona non è
che la controfigura del sé stesso che fu, ma soprattutto di quel che
avrebbe dovuto essere. Un lungo peregrinare su campi periferici,
sempre più giù, di città in città, di categoria in categoria:
Dock Sud, All Boys, Independiente Rivadavia, Talleres di Medonza,
Barracas Central. Ma su ogni campo in cui Gregorio è di scena, alle
sue spalle c'è lo spettro di Diego, lo spettro di quel futuro che
avrebbe dovuto essere e che invece non è stato. Da lui, che in tanti
ancora riconoscono come colui che “era più forte di Maradona”,
tutti si aspettano sempre qualcosa in più. Lui per primo vorrebbe da
sé stesso qual qualcosa in più, abituato com'era stato, prima
dell'infortunio, a immaginarsi davanti agli occhi un futuro da
centravanti della Selecciòn. Non la vestirà mai, l'Albiceleste.
Gregorio smette con il calcio mentre quello che era stato suo
fratello, lui sì con la maglietta dell'Argentina sulla pelle, alza
la Coppa del Mondo. Diego è partito alla conquista del mondo,
Gregorio, per tanti il più bravo tra i due, rimane ancorato al suo
destino, condannato a rimanere per sempre intrappolato nel barrio di
Villa Fiorito.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-9UAlImm6UYQ/WRN4UMpNMkI/AAAAAAAAA8o/oqY4cefXnW8iAdIuSazdehgr28B0CW08gCEw/s1600/carrizo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="192" src="https://4.bp.blogspot.com/-9UAlImm6UYQ/WRN4UMpNMkI/AAAAAAAAA8o/oqY4cefXnW8iAdIuSazdehgr28B0CW08gCEw/s320/carrizo.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E a Villa Fiorito, Gregorio, vive
ancora oggi, insieme alla moglie e ai sei figli. Dal giorno di
quell'infortunio, quello in cui due vite fino ad allora parallele
separarono le loro strade per non unirle mai più, sono passati quasi
40 anni. Diego è diventato il Pibe de Oro, Gregorio è rimasto tra
le sue strade, tra i suoi vicoli, quelli dove le Cebollitas,
all'inizio degli anni Settanta, imperversavano (e vincevano).
Quarant'anni in cui Gregorio ha dovuto arrangiarsi facendo un po' di
tutto, dall'attacchino al muratore, passando per il venditore
ambulante e, ovviamente, l'osservatore calcistico: perchè l'amore
per il pallone, quello no, non è andato in frantumi insieme al suo
ginocchio. Non sono stati quarant'anni facili, per “El Goyo”. Ci
sono state sere in cui il peso di quel fallimento, di quel “fracaso”,
era quasi insostenibile, ci sono state sere in cui il pensiero di ciò
che avrebbe potuto essere la sua vita senza quell'infortunio faceva
scoppiare la testa. Sere in cui essere cresciuto insieme al più
grande di tutti non era un onore, ma una condanna. E poi la miseria,
che è brutta per tutti, ma se arriva all'improvviso, dopo che tutti
hanno disegnato per te un futuro da star e tu ci hai creduto, è
ancor più terribile, specie se hai sei bocche da sfamare. E ancora
tutte quelle persone che ti riconoscono, e ti chiedono di Diego, e
non fanno altro che ricordarti quel che vorresti cancellare, quel
destino da campione che per te non è arrivato mai. Farla finita, in
quelle sere, sembra l'unica via d'uscita, l'unico antidoto contro il
dolore che ti avvelena l'esistenza.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ma Gregorio, stavolta sì, trova la
forza per vincere la lotta. E oggi è ancora lì, tra i vicoli di
Villa Fiorito, a raccontare delle Cebollitas, di quella squadra che
non perdeva mai, di quegli anni meravigliosi in cui mezza Buenos
Aires parlava di lui. E di Diego. Parla anche di Diego, “El Goyo”.
Si sono rivisti raramente, loro due che un tempo erano stati
fratelli, in questi quarant'anni. Si dice che Diego non si sia
dimenticato di Gregorio, si dice che gli abbia anche offerto un aiuto
economico, un posto dove andare a vivere insieme alla famiglia. Si
dice però che Gregorio, orgoglioso com'era e com'è, abbia
rifiutato. Di certo lui non ha dimenticato Diego. E proprio come il
Pibe, Diego Armando, Gregorio ha chiamato uno dei suoi figli: è nato
nel 1999, negli istanti in cui l'ex numero 10 delle Cebollitas
lottava per la vita dopo un'overdose. Perchè sì, Maradona è stato
per “El Goyo” una condanna perenne, un fantasma che ha
accompagnato la sua esistenza, ma Diego, quel Diego compagno di anni
felici, è stato suo fratello. E i fratelli non si dimenticano.
Nemmeno se arrivano in cima al mondo, mentre tu sei rimasto tra le
strade e i vicoli del barrio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La vita di Gregorio Carrizo è
raccontata in un emozionante docu-film, “El Otro Maradona”,
curato dai registi Ezequiel Luka e Gabriel Amiel, una pellicola che
in Sud America ha fatto incetta di premi. In questo lungometraggio
Maradona non compare mai. Come un fantasma, quello spettro che ha
accompagnato Gregorio ogni giorno, dal 1978 ad oggi. Quello spettro
che di tanto in tanto lo tormentava sussurrandogli all'orecchio
parole che suonavano più o meno così: “Eri tu il più bravo”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">E se oggi trovaste il coraggio di
addentrarvi nel cuore del barrio di Villa Fiorito, potreste trovarle
davvero persone disposte a raccontarvi della meravigliosa storia
delle Cebollitas. Di quando Diego non era il più forte di tutti. Era
solo il più forte dopo Carrizo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";"><br /></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">FONTI</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">1- </b><span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><b>http://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2016/04/22/news/il_gemello_di_maradona_piu_bravo_e_sfortunato_-138230373/</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><b>2- http://www.elotromaradona.com.ar/es.html</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><b>3- Locos por el Futbol - Carlo Pizzigoni - Sperling & Kupfer</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><b>4-http://www.elequipo-deportea.com/futbol/159/goyo--el-hombre-que-vivio-a-la-sombra-de-maradona.html</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";"><br /></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">FOTO</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">1 - www.tribunahispanausa.com</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">2,3 - www.repubblica.it</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-13312323527753524752017-04-21T16:05:00.001+02:002017-04-21T16:06:15.602+02:00Dante Bertoneri, Paradiso-Inferno solo andata<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-6DRTv9Zjn2c/WPoPMwKMvtI/AAAAAAAAA8M/QWO630_pqfIONYRAj6kpabLwY4sWKxK9QCLcB/s1600/dante1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-6DRTv9Zjn2c/WPoPMwKMvtI/AAAAAAAAA8M/QWO630_pqfIONYRAj6kpabLwY4sWKxK9QCLcB/s1600/dante1.jpg" /></a></div>
<br />
Paradiso e Inferno. Due realtà diametralmente opposte, infinitamente lontane, che all'apparenza hanno ben poco in comune. Per qualcuno, però, il confine tra Paradiso ed Inferno è sottilissimo, labile, quasi impercettibile. Per qualcuno il passo dal Paradiso all'Inferno è incredibilmente breve. E' stato così per Dante Bertoneri: per lui Paradiso e Inferno non sono altro che le due facce di una medesima medaglia. La sua è la storia di chi voleva volare nel Paradiso del pallone italiano, di chi però, da un momento all'altro, si è ritrovato invischiato in una realtà maledettamente infernale.</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><div style="text-align: justify;">
<br />
Nato a Massa il 10 agosto del 1963, Dante è lo stereotipo del bambino italiano: perennemente di corsa dietro ad un pallone. E' a casa sua, a Massa, nella Litoranea, che Dante muove i primi passi del suo cammino da calciatore. Tra i banchi di scuola Dante non eccelle, ma non è quello il destino che lui ha scelto: vuole fare il calciatore, è questo il grande sogno, che è poi quello di migliaia e migliaia di suoi coetanei. Si fermerà alla terza media, e questo elemento, un po' più avanti nella storia, nella sua storia, assumerà un peso specifico decisamente rilevante.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dai suoi coetanei, però, Dante riesce a distinguersi: è veloce, ha fiato da vendere, gioca sulla fascia ma sa disimpegnarsi alla grande anche in mezzo al campo, è un vero e proprio treno. Se ne accorgono gli osservatori del Torino: quando ha 14 anni, Dante Bertoneri si veste di granata, di quel colore che gli cambierà la vita. Sono gli anni in cui il vivaio granata è una fonte rigogliosa ed inesauribile di talenti: dal laboratorio del Filadelfia escono campioncini a ripetizione. Sono gli anni di Pulici e Graziani, i Gemelli del Gol, gli anni di un Toro ritornato grande a quasi trent'anni dalla sciagura che a Superga spezzò il volo di una delle più grandi squadre che la storia del calcio ricordi. Dante questo Toro lo vede, lo vive, lo respira molto da vicino, dai bordi del campo del Comunale, dove fa il raccattapalle, e dove ogni domenica gli rimbalzano negli occhi le gesta dei granata. Vive in convitto, Dante, ma come abbiamo detto, tra i banchi di scuola, per lui son dolori. Poco importa, in quegli anni in cui il destino corre veloce e in cui la realtà che Bertoneri vive ogni giorno ha tutte le fattezze e i lineamenti del sogno. Dante sbarca negli Allievi, poi una rapida esperienza nella formazione Beretti, prima di approdare, per volere del mitico Sergio Vatta, direttamente in Primavera. Ma è bravo per davvero, quel ragazzino venuto dalla Toscana, che spesso, nelle partitelle del giovedì contro i "grandi", mette in seria difficoltà marpioni affermati come Pecci, Claudio Sala e Zaccarelli: per la stagione 1980-1981, a 17 anni, Dante è così aggregato alla prima squadra di Ercole Rabitti. Il 18 gennaio del 1981, per quel ragazzino che fino a meno di quattro anni prima correva sui campi spelacchiati della provincia toscana, si schiudono le porte dorate della Serie A: Rabitti lo manda in campo nel finale della gara interna contro l'Ascoli, vinta 3-0. Gli lascia spazio Vincenzo D'Amico, Dante gioca tre minuti senza toccare il pallone, ma fa in tempo a lasciarsi impressionare dal ruggito della curva Maratona, che verso di lui, ragazzo del "Fila", nutre un affetto particolare. Un affetto quanto mai reciproco: è la scintilla che fa scattare l'amore, è il colpo di fulmine mediante il quale il granata entra nel cuore e delle vene di Bertoneri per non uscirne mai più. Per Dante, in stagione, altre 5 apparizioni, ottime prestazioni e la conferma per la stagione successiva agli ordini del nuovo tecnico Giacomini. Le presenze sono 23, due le reti: la stagione 1981-1982 sembra poter essere quella della definitiva consacrazione. I numeri, del resto, parlano chiaro: con 23 presenze su un totale di 30 gare, Bertoneri può considerarsi un titolare della rosa granata. Sembra la rampa di lancio, l'incipit di una carriera prodiga di soddisfazioni, viceversa è l'inizio del declino: Bertoneri ha soltanto vent'anni, eppure è già all'apice.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-82-zAXjqDOM/WPoPNfGWRtI/AAAAAAAAA8Q/rGHcu_h6Cv05DP1WUCj6et763vEtZpEnwCEw/s1600/dante2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-82-zAXjqDOM/WPoPNfGWRtI/AAAAAAAAA8Q/rGHcu_h6Cv05DP1WUCj6et763vEtZpEnwCEw/s320/dante2.jpg" width="303" /></a></div>
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Dante imbocca la fase discendente della sua parabola nella stagione 1982-1983: parte militare, si allena poco insieme alla squadra, il nuovo tecnico Bersellini gli concede poco spazio. In casa granata è rivoluzione vera: si chiude l'era Pianelli, il presidente dello scudetto cede a Sergio Rossi. in società fa capolino l'ingombrante figura di Luciano Moggi. Negli scampoli che ha a disposizione - 12 in tutto - Bertoneri riesce però a ben figurare. Diverse volte, subentrando dalla panchina, riesce letteralmente a cambiare il volto della squadra: i voti dei quotidiani sportivi, non a caso, sono sempre positivi. Prestazioni che però non scalfiscono le scelte e le convinzioni di Bersellini, che prosegue imperterrito per la propria strada, preferendo Hernandez e Torrisi. Assolti i propri doveri nei confronti della Patria, Dante confida che la stagione 1983-1984 possa essere quella del suo rilancio. Questo scenario, però, resta nelle idee e nelle speranze di Bertoneri: Moggi, infatti, ha altri progetti. Lo convoca in sede e gli comunica che sarà prestato al Cesena dell'amico Lugaresi. In Serie B. Ma come in Serie B? Sono tante le società che punterebbero su Bertoneri anche in massima serie, perchè costringerlo al salto all'indietro? Dante si oppone e si accasa all'Avellino, in Serie A. Gioca una buona stagione, 22 presenze e 2 reti, gli irpini centrano la salvezza, ma poco alla volta Bertoneri sconta la pena che Moggi ha deciso di infliggergli per quel "no" dell'estate '83. Chi ha obbedito ai voleri di quello che è già una sorta di "dominus" del calciomercato si ritrova tutte le porte aperte, chi, come Bertoneri, ha invece opposto resistenza, trova strade sbarrate, terra bruciata. All'alba del millennio successivo l'Italia intera aprirà gli occhi sull'impressionante potere accentrato nelle mani di Luciano Moggi, un uomo che letteralmente tira i fili del pianeta pallone in Italia, un uomo che ha la facoltà di indirizzare, calcisticamente parlando, i destini di centinaia di calciatori e allenatori: Bertoneri, in anticipo rispetto al resto del paese, se ne accorge nel 1984. Di fatto, quello che appena tre anni prima era uno dei talenti più promettenti del fertile vivaio granata, rimane a spasso, senza squadra, abbandonato da quella società che lo aveva portato via di casa a 14 anni per farne un calciatore. Non bastasse tutto questo, vengono messe in giro voci infamanti: "Dante si allena male, è uno sfaticato", sostengono in tanti, "Ha problemi con la cocaina", vanno giù ancora più pesanti i più maligni. E' tutto falso, ma i pugnali che si conficcano nella schiena di Dante, le bordate che distruggono pezzo dopo pezzo la sua carriera e la sua serenità, sono tremendamente concreti. L'ormai ex granata trova casa al Parma, in Serie B, ma anche qui la nuvola di negatività e maldicenze che lo segue finisce per piegarlo: poche presenze, la retrocessione, il suo allenatore, Carmignani, che di fronte ai giornalisti lo accusa di non saltare di testa per paura di scompigliarsi i capelli. Dante manca della personalità per reagire, per gridare in faccia a tutti la realtà di un ginocchio malconcio che, quello sì, gli impedisce di avere un'elevazione accettabile. Nel 1985-1986 Dante è in Serie B, a Perugia, ma è l'ombra di sè stesso: nemmeno Giacomini, suo ex allenatore al Toro e ora tecnico dei Grifoni, riesce a tirarlo a lucido, a rilanciare quel talento imploso nel momento in cui tutti attendevano l'esplosione. Bertoneri torna a casa, alla Massese, in Serie C2, ma le sue giornate trascorrono con una nuova indesiderata compagna che prova a mangiarsi la sua anima, pezzo dopo pezzo. E' la depressione: Dante è passato dalla Serie A all'inferno della C2, ha vestito le maglie di tutte le selezioni giovanili azzurre fino all'Under 21, dove lo aveva lanciato Azeglio Vicini, per poi schiantarsi sul più bello, ha vissuto il Paradiso per poi vederselo sfuggire dalle mani, ha consegnato sè stesso ad un mondo che prima lo ha illuso e poi lo ha sputato all'Inferno. Tutto per un "no", pronunciato nel momento sbagliato, di fronte alla persona sbagliata, tutto per colpa di un animo troppo vulnerabile che non ha saputo incassare i colpi inferti dal destino.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-Jlwd1r8Nfk4/WPoPM8wGhYI/AAAAAAAAA8I/xsU3kPXo4MUYyMoeepqiTzFC41VRw2cawCEw/s1600/dante3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-Jlwd1r8Nfk4/WPoPM8wGhYI/AAAAAAAAA8I/xsU3kPXo4MUYyMoeepqiTzFC41VRw2cawCEw/s320/dante3.jpg" width="253" /></a></div>
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Nel 1989, a 26 anni, dopo un'ultima esperienza all'Isola d'Elba, in Eccellenza, e dopo un grave infortunio al ginocchio, Dante dice addio al calcio e si ritira. Torna a casa, a Massa, ma quel mostro che lo divora da dentro lo svuota da ogni energia. In giro si dice che il mondo del calcio lo abbia relegato nel dimenticatoio, sputandolo come un rifiuto, anche per colpa del rifiuto a sottoporsi ad alcune pratiche dopanti e di un altro secco "no" alla proposta di "aggiustare" il risultato di una partita. Lui, Dante, di questo non ha mai parlato molto. Ha parlato invece della depressione, di quei giorni infiniti di inizio anni Novanta, di un mondo - e questa è realtà, non semplice diceria - che lo ha completamente abbandonato. Va vicino a fare una brutta fine, Dante, pensa di farla finita, lo salva la fede, che lo raccoglie dal fondo e riesce a iniettargli quel poco di forza sufficiente a resistere, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mentre i ricordi di un passato da futuro campione sbiadiscono insieme alle fotografie, mentre arrivare alla fine del mese diventa impresa sempre più difficile. Se nella vita hai sempre giocato a calcio, se il tuo titolo di studio è la terza media, ripartire a nemmeno trent'anni può non essere la più facile delle cose. Si arrangia come può, quel ragazzo che avrebbe dovuto essere, e non è stato, l'erede di Gigi Meroni: qualche lavoretto qua e là, ci prova anche con un negozio d'abbigliamento, ma la situazione resta economicamente ed umanamente drammatica. Economicamente, perchè sbarcare il lunario grazie ai rimborsi come allenatore di squadre dilettantistiche giovanili non è facile, nè tantomeno bastano i premi per le vittorie nelle gare di corsa. Dante, infatti, nonostante la crisi, nonostante la depressione, nonostante la parola "fine" messa sulla sua vita da calciatore, ha mantenuto il fiato e le gambe dei tempi migliori: inizia nel 2001 con le maratone, poi passa ai 10 mila metri, con ottimi risultati. Umanamente, perchè Dante lancia ripetuti appelli rivolti al mondo del calcio, a quegli amici che ritiene tali, ma che gli voltano invece le spalle: appelli che cadono puntualmente nel vuoto. Il passato recente di Dante è quello di un uomo che con orgoglio e dignità sta provando a riciclarsi: frequenta il corso e ottiene il diploma da badante. Per un ex calciatore professionista è un caso più unico che raro, ma pure questo, per Dante, si rivela un mondo ostile: pare che in questo mestiere le donne straniere siano molto più richieste rispetto ad un ultra-cinquantenne con un passato da atleta professionista.<br />
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Così, nel 2017, Bertoneri si ritrova costretto, quasi ventotto anni dopo il suo ritiro, a chiedere ancora aiuto a quel mondo, quello del calcio, che gli ha prima regalato ricordi felici, e che gli ha poi inferto i colpi più dolorosi della sua esistenza. Ha lanciato appelli a più riprese dalle pagine di Tuttosport, recentemente anche da quelle della Gazzetta dello Sport: l'unica realtà a rispondere "presente" con aiuti concreti è stata l'associazione degli ex calciatori del Torino, mentre tutto il resto di quel mondo spietato ha scelto di tacere, di ignorare il grido di quel figlio ripudiato che non chiede altro che un piccolo ruolo da osservatore, o da allenatore delle giovanili, anche a modestissimi compensi, un ruolo che gli permetta di pagare quei pochi anni di contributi mancanti per avere diritto alla pensione.<br />
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<i>"Mi vergogno un po', ma sono davvero in difficoltà. Di recente ho venduto un paio di maglie per pochi spiccioli. Accetterei l'aiuto di qualsiasi club, ma sarebbe bello che arrivasse proprio dal Torino di Cairo. In fondo, sono un ragazzo del Filadelfia"</i><br />
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Così, a gennaio, Dante ha lanciato dalle pagine della Gazzetta dello Sport l'ennesimo appello, l'ennesimo disperato grido nei confronti di un mondo dorato che a lui ha riservato il suo volto più oscuro. Un mondo che negli ultimi vent'anni gli ha tolto molto più di quanto non gli abbia dato in precedenza, in quegli anni felici, in cui per tutti Dante, con il 7 sulla schiena, era il prescelto dal destino per riprendere il filo sfuggito di mano a Gigi Meroni.<br />
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b><br />
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b>
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";">FONTI</b><br />
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil";"><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
http://www.adnkronos.com/sport/2015/05/26/ciro-caruso-dante-bertoneri-quando-talento-non-basta-diventare-totti-cannavaro_BMBJePrJF1tGRTGDo9PsKK.html?refresh_ce</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
http://www.liberoquotidiano.it/news/11701582/Dante-Bertoneri--l-ex-baby.html</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
http://iltirreno.gelocal.it/massa/cronaca/2013/03/11/news/faro-il-badante-per-la-pensione-dante-bertoneri-dal-calcio-all-assistenza-1.6680340</div>
<div style="text-align: justify;">
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<div style="text-align: justify;">
http://www.torinogranata.it/primo-piano/bertoneri-io-ripudiato-da-un-calcio-malato-21630</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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http://www.gazzettadiparma.it/news/sport/86345/Storie-di-calcio---Dante.html<br />
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"Per il Torino valevo Meroni, un no a Moggi mi ha ucciso" - Gazzetta dello Sport del 25/1/2017 - Francesco Ceniti<br />
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<b>FOTO</b><br />
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1 - www.notiziariocalcio.it<br />
2 - www.liberoquotidiano.it<br />
3 - www.stadiotardini.it</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-28581009413322735682017-03-28T14:44:00.001+02:002017-03-28T14:45:37.053+02:00Gli azzurri, la crisi e quella partita oscurata<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-ZfilqMMACJs/WNpYgYqm-9I/AAAAAAAAA7A/fKhqRcVbo2s326zScLwKp4PxXo_NU8ujgCLcB/s1600/bettega.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="231" src="https://1.bp.blogspot.com/-ZfilqMMACJs/WNpYgYqm-9I/AAAAAAAAA7A/fKhqRcVbo2s326zScLwKp4PxXo_NU8ujgCLcB/s320/bettega.jpg" width="320" /></a></div>
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Oggi, anno del Signore 2017, ogni appassionato di calcio può letteralmente nutrirsi di pallone, sette giorni su sette, ventiquattr'ore al giorno. In pasto ad ogni calciofilo i media gettano ogni singola sfaccettatura di questo patinato mondo: ogni singola partita genera ore di trasmissioni, dal pre-gara alle infinite analisi e moviole. L'ultima frontiera. le telecamere negli spogliatoi. Ci fu però un tempo in cui anche in Italia, una nazione che letteralmente vive di calcio, la ragion di Stato arrivò a spegnere le telecamere intorno al campo. E non si trattava di una partita qualunque, bensì di una partita della nazionale. Successe quarantuno anni fa, sembra passata un'era geologica. </div>
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<a name='more'></a><div style="text-align: justify;">
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Lo scenario è quello dell'Italia del 1976, una nazione in ginocchio, in cui la crisi economica causata dallo shock petrolifero del 1973 sta erodendo i consumi e il prodotto interno lordo. Mentre Andreotti governa, le Brigate Rosse continuano a mietere vittime su vittime. Sono gli "anni di piombo", uno dei periodi più bui nella storia recente del paese. Tempi duri anche per la nazionale di calcio, reduce da un mondiale fallimentare, quello del'74, dalla mancata qualificazione agli Europei del '76, e chiamata a riscattarsi nella rassegna iridata in programma due anni più tardi, nell'Argentina in cui da pochi mesi si è instaurata la dittatura militare. A quei Mondiali, però, serve qualificarsi, il che non è scontato: quello del '78 sarà l'ultimo Mondiale a 16 squadre, i posti sono pochi, diverse big rischiano di rimanere escluse. Tra queste ci sarà inevitabilmente una tra Italia e Inghilterra, inserite nel gruppo 2 di qualificazione insieme a Finlandia e Lussemburgo, "cenerentole" designate del raggruppamento. Il pass per l'Argentina messo in palio dal gruppo è solamente uno, a contenderselo saranno gli azzurri e gli inglesi, che ancora si autoproclamano "maestri", ma che già nel '74 hanno mancato l'accesso ai Mondiali. Saranno i due scontri diretti, dunque, a decidere le sorti del girone. L'andata è in programma in Italia, allo stadio Olimpico. La data scelta è quella del 17 novembre 1976, e anche se è un mercoledì si giocherà alle 14.30: impensabile, all'epoca, giocare in notturna nel mese di novembre.<br />
<br />
Le alte sfere del Governo e molti imprenditori, però, sollevano una preoccupazione: una partita della nazionale in un pomeriggio di metà settimana non farà che incentivare l'astensionismo dal lavoro degli italiani, inguaribili innamorati di quel pallone che ormai da decenni ne monopolizza le domeniche. Ne deriverebbe un grave danno economico, sostengono i più pessimisti, in un paese già falcidiato da una crisi devastante. La questione arriva in Parlamento e l'indole moralistica della nostra classe politica ha il sopravvento. Quattro giorni prima dell'incontro la Commissione parlamentare di vigilanza, preoccupata per i possibili turbamenti ai ritmi di lavoro, fa partire il "diktat" diretto alla Rai, che detiene un monopolio, quello sulla trasmissione delle gare della nazionale, che verrà spezzato solo nel 1990: niente diretta Tv, Italia-Inghilterra verrà trasmessa solamente in differita alle ore 18.15, su quella che allora si chiama Rete Uno. In diretta soltanto la radiocronaca di Enrico Ameri, con interventi di Sandro Ciotti ed Ezio Luzzi. La telecronaca, invece, sarà affidata alla voce, altrettanto mitica, di Nando Martellini. Gli italiani che abitano nel nord del paese sperano di poter assistere alla diretta sulle reti estere visibili anche nel settentrione, come Capodistria e come la Tv Svizzera, ma dalla Rai arriva il divieto di trasmissione anche per tutte le emittenti estere.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-bt4nyv4aeWs/WNpXzp02pUI/AAAAAAAAA64/wNCwYBWESY4N69hOl-5T4iP39Qxvo4FRACLcB/s1600/Bernardini_Bearzot_01.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://2.bp.blogspot.com/-bt4nyv4aeWs/WNpXzp02pUI/AAAAAAAAA64/wNCwYBWESY4N69hOl-5T4iP39Qxvo4FRACLcB/s1600/Bernardini_Bearzot_01.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Bernardini e Bearzot</span></div>
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nonostante le polemiche sul provvedimento, discusso e discutibile, - anche alle 18.15, infatti, molti italiani lavorano - nessuno, fatta eccezione per chi riuscirà a trovare posto sulle tribune dell'Olimpico, potrà quindi assistere in diretta a Italia-Inghilterra: ne va delle sorti del paese, o almeno questo è quello che il governo vorrebbe far credere. Non mancano i soliti "furbetti": nei giorni che precedono la partita scatta la corsa, tra gli amministratori pubblici e tra i soliti raccomandati, a farsi ospitare nelle sedi locali della Rai, dove la partita verrà trasmessa in bassa frequenza. Come si dice: fatta la legge, trovato l'inganno. L'anomala collocazione della partita al mercoledì pomeriggio, però, non scoraggia i tifosi azzurri: quando l'Italia di "Fuffo" Bernardini e del "Vecio" Bearzot scende in campo, alle 14.30 del 17 novembre 1976, sugli spalti dell'Olimpico siedono circa 80 mila persone. Tra di loro 298 parlamentari e 11 uomini di governo che, evidentemente, non hanno ritenuto necessario rispettare l'invito da loro stessi inviato agli italiani, quello di non assentarsi dal posto di lavoro per seguire la partita della nazionale. Una partita - che peraltro, seppur diffusa in differita, fu la prima trasmessa a colori dalla tv italiana - che vede l'Italia vincere 2-0: decisivi l'autogol di Kevin Keegan su punizione calciata da Antognoni e il centro di Bettega. Una vittoria che si sarebbe poi rivelata decisiva per la qualificazione ai Mondiali d'Argentina: a Wembley, nella gara di ritorno, l'Inghilterra avrebbe poi restituito il 2-0, ma la qualificazione sarebbe andata agli azzurri per la miglior differenza reti. E' l'Italia dei "piedi buoni" voluta da Bernardini, il quale sceglie di puntare su un gruppo di giocatori di qualità, nonostante la loro scarsa esperienza a livello internazionale. E' l'Italia di futuri campioni come Scirea, come Antognoni, come Tardelli, l'Italia che tanto bene avrebbe fatto in Argentina nel '78, e che Bearzot avrebbe poi portato sul tetto del mondo nel 1982.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-hzNvK9xVfc8/WNpYKdymG2I/AAAAAAAAA68/hPjnPPZMJ_w8i6fhtkPWDCEnKMK0AHVywCLcB/s1600/itaingh.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://2.bp.blogspot.com/-hzNvK9xVfc8/WNpYKdymG2I/AAAAAAAAA68/hPjnPPZMJ_w8i6fhtkPWDCEnKMK0AHVywCLcB/s320/itaingh.jpg" width="320" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
Anche il 17 novembre del 1976, in quella partita "censurata", stava nascendo l'Italia "Mundial": ma le televisioni dei tifosi azzurri, quel pomeriggio, rimasero spente. L'Italia del pallone si stava rialzando, ma agli italiani non fu concesso di assistere all'avvio di questa rinascita che sarebbe poi culminata sei anni più tardi in Spagna.<br />
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b><br />
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b>
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">FONTI</b><br />
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b>
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b>http://www.gonews.it/2016/11/17/italia-inghilterra-governo-vieto-ai-tifosi-italiani/</b></span></span><br />
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b>http://blog.guerinsportivo.it/calcio/2016/11/16/la-produttivita-di-italia-inghilterra?cookieAccept</b></span></span><br />
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b>http://pinofrisoli.blogspot.it/2008/04/italia-inghilterra-e-la-diretta-negata.html</b></span></span><br />
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b>http://www.calciomercato.com/news/pippo-russo-quell-italia-inghilterra-in-differita-per-scongiurar-985731</b></span></span><br />
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b><br /></b></span></span>
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b>FOTO</b></span></span><br />
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b><br /></b></span></span>
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b>1 - www.ansa.it</b></span></span><br />
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">2 - www.storiedicalcio.altervista.org</b><br />
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b>3 - www.youtube.com</b></span></span><br />
<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><b><br /></b></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-90934269189617365752017-03-28T13:49:00.000+02:002017-03-28T13:49:05.548+02:00Arbitri e violenza: un calcio malato<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-5ys98-A6Qhk/WNpNXeoWxTI/AAAAAAAAA6o/AxWespLu3EAzJ3DV7dQF0V98DYYymkA2gCLcB/s1600/violenzarbitri1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="199" src="https://4.bp.blogspot.com/-5ys98-A6Qhk/WNpNXeoWxTI/AAAAAAAAA6o/AxWespLu3EAzJ3DV7dQF0V98DYYymkA2gCLcB/s320/violenzarbitri1.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La violenza contro gli arbitri: una piaga vera e propria che, ogni anno
di più, avvelena il mondo del calcio dilettantistico e giovanile,
una problematica che è di casa sui campi di ogni regione italiana:
nessuno può chiamarsi fuori, nessuno può ritenersi lontano da
questo cancro. I dati dell'Osservatorio dell'AIA parlano di un
aumento vertiginoso degli episodi di violenza sui campi italiani (dai
375 del 2013-2014 ai 681 del 2015-2016): il problema c'è ed è
quanto mai tangibile, lo testimoniano, oltre ai numeri diffusi
dall'AIA, i comunicati ufficiali emanati ogni sette giorni dalla Lega
Nazionale Dilettanti, in cui, alla voce “Giudice Sportivo”, ci si
imbatte quasi settimanalmente in episodi di violenza – nel migliore
dei casi “solo” verbale – contro i direttori di gara. Dopo aver
appurato che la problematica c'è ed è concreta, proviamo ad
approfondire, ad addentrarci tra le pieghe del problema. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: inherit;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="color: black; font-family: inherit;"><br /></span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="color: black;">Abbiamo
provato ad affrontare il tema con qualcuno che il mondo degli arbitri
lo conosce molto da vicino: è Luca Marelli, ex direttore di gara
della sezione di Como. Un arbitro “vero”, un arbitro che vanta
quindici presenze in Serie A collezionate tra il 2005 e il 2009. Con
lui abbiamo provato ad analizzare cause, conseguenze e possibili
soluzioni per quello che non esitiamo a definire un vero e proprio
cancro del nostro calcio: “Il problema (enorme) della violenza è
sempre stato al centro del dibattito interno dell’AIA ma,
purtroppo, non sono state trovate misure tali da arginare il
fenomeno. - spiega Marelli - Si tratta, ovviamente, del retaggio di
una cultura sportiva ancora molto arretrata che identifica la causa
delle proprie sconfitte nella figura dell’arbitro”. Il “grande
calcio”, quello chi usiamo chiamare “calcio che conta”, in
questo senso non aiuta: “Inutile evidenziare che le polemiche del
massimo campionato influenzino e non poco i comportamenti nei campi
periferici, che possiamo identificare dalla Serie D in giù. Il
motivo è presto detto: dalla Serie D in poi il servizio d’ordine è
sempre presente e, davanti alla forza pubblica, anche i più
facinorosi si “limitano” all’insulto senza passare alle vie di
fatto. Diverso il discorso per quanto riguarda le categorie
dilettantistiche e giovanili: è chiaro che la presenza delle forze
dell’ordine, in tutte le migliaia di gare programmate ogni fine
settimana, sia impossibile. Ciò porta alcuni delinquenti (perché
tali sono al di là di definizioni più o meno strumentali) a pensare
di essere impunibili, di poter sfogare le proprie frustrazioni usando
la violenza contro ragazzi spesso giovanissimi che altra colpa non
hanno se non quella di consentire la disputa dei vari campionati”.
E' così che per molte persone i campi di provincia diventano “zone
franche”, in cui tutto è consentito: al contrario, le centinaia di
telecamere che circondano i campi del panorama professionistico,
spesso, fungono da deterrente, inducendo i più violenti a desistere
dai loro intenti. Telecamere che spariscono, però, sui campi dei
dilettanti e dei giovani: ed è qui, su questi campi, che il fenomeno
della violenza contro gli arbitri si scatena. </span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="color: black;"><br /></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-gZrmSU7n30I/WNpNW28OI1I/AAAAAAAAA6k/A1ySL3GU37kE8XhoF1kB-wtFawBYeZ9LQCEw/s1600/marelli-luca.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="289" src="https://1.bp.blogspot.com/-gZrmSU7n30I/WNpNW28OI1I/AAAAAAAAA6k/A1ySL3GU37kE8XhoF1kB-wtFawBYeZ9LQCEw/s320/marelli-luca.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="color: black; font-size: x-small;">Luca Marelli</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="color: black;"><br /></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="color: black;">“Le ragioni le
individuo in tre grandi aree. – prosegue Marelli - Mancanza
assoluta di cultura sportiva, il cui corollario è l’incapacità di </span>accettare
un risultato non in linea con le aspettative: eccesso di polemiche,
sia in video che sulla carta stampata. L’oggetto di tali polemiche,
in 99 casi su 100, è rappresentata dalla prestazione del l ’arbitro,
spesso massacrato anche in presenza di episodi al limite ma ben
giudicati. La strumentalizzazione finalizzata all’audience/vendita
di copie porta il grande pubblico ad individuare nell’arbitro il
solo colpevole per un esito sgradito; infine le condanne sportive non
sono adeguate”. Ed è (anche) per questi motivi, secondo l'ex
fischietto comasco, che gli episodi di violenza si moltiplicano sui
campi italiani. Episodi cui, secondo Marelli, troppo spesso non viene
dato il giusto rilievo: “Quando ho iniziato ad arbitrare ('94)
internet non esisteva. Nell’era della comunicazione di massa,
questi episodi stanno acquisendo una visibilità che prima non
avevano. Una visibilità che però, purtroppo, rimane confinata al
web, a quei pochi che, nel silenzio dell’informazione, riportano
settimanalmente gli episodi di violenza,molto spesso sconosciuti e
ricostruiti<span style="color: white;"><b> </b></span>grazie ai comunicati
dei vari Giudici Sportivi territoriali. - spiega Marelli - A livello
di informazione di massa non è cambiato nulla: l’argomento non
veniva trattato allora e non viene trattato nemmeno oggi. Perché
questo atteggiamento? La risposta è scontata quanto scomoda: non
interessano. E’molto più trainante discutere per settimane per un
rigore assegnato ingiustamente o non fischiato che riportare le
violenze che, ogni domenica, si registrano in tutta Italia. Ripeto:
in tutta Italia. Non si tratta di un fenomeno regionalizzato o
localizzato. Questo schifoso malcostume si concretizza ovunque, dalla
Lombardia alla Sicilia, con una frequenza tale da diventare quasi
un’abitudine, la normalità”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Cosa si può fare, quindi, per
combattere ed arginare concretamente un fenomeno, quello della
violenza contro gli arbitri, che accomuna tristemente tutte le
regioni dell'Italia del pallone? “Dobbiamo dividere le competenze.
- prosegue l'ex arbitro comasco - Da una parte la federazione deve
intervenire profondamente sul codice di giustizia sportiva,
aumentando sostanzialmente le pene sportive. E’ assurdo, per
esempio, che un calciatore resosi colpevole di aggressione con calci
e pugni possa cavarsela con un anno o due di squalifica. Vogliamo
concedere una seconda possibilità ad un calciatore che ha commesso
un reato (perché di questo si tratta)? Va bene, sono d’accordo,
d’altronde viviamo in un paese civile che si basa su un codice
penale che ha come obiettivo il recupero del reo e non la condanna
pura e semplice. Ma ciò non dev’essere un alibi: un calciatore (od
un allenatore, od un dirigente) che si renda colpevole di atti
violenti ha il diritto di poter rientrare ma dopo un periodo che deve
essere almeno di 5 anni, eventualmente con segnalazione obbligatoria
alle autorità competenti per un DASPO di uguale durata. Al secondo
episodio, ovviamente, radiazione immediata, senza alcuna possibilità
di rientrare in un mondo che, evidentemente, deve escludere persone
abitualmente dedite ad episodi violenti”. Un ruolo importante,
nella lotta a questa piaga che il pallone italiano si porta dietro,
lo dovrebbe avere secondo Marelli la stessa Associazione Italiana
Arbitri: “Dall’altra parte l’AIA deve smetterla di limitarsi
alle minacce, - commenta l'ex arbitro – agli slogan ed alle prese
di posizione formali: l’AIA deve agire. Prima o poi il presidente
dovrà avere il coraggio di fermare per una settimana o due tutti i
campionati, serie A compresa, per dare un segnale forte a difesa di
centinaia di ragazzi che ogni anno vengono aggrediti e picchiati. Il
tutto nel totale silenzio. Pensate ad una settimana o due senza
alcuna competizione calcistica inItalia dovuta ad uno sciopero degli
arbitri: potete immaginare un modo migliore per sensibilizzare il
mondo del calcio? Oppure dobbiamo aspettare il morto?”.
Un'associazione, l'AIA, che secondo Marelli non ha fatto e non fa
abbastanza per tutelare i suoi ragazzi sparsi per lo Stivale, in un
panorama, quello dell'informazione italiana, che molto spesso
contribuisce ad alimentare l'ostilità di giocatori, dirigenti e
tifosi nei confronti dei fischietti: “E posso dirlo con cognizione
di causa, avendo partecipato personalmente a molte trasmissioni su
varie televisioni locali e nazionali. Non ho mai perso occasione di
parlare del problema violenza ma è paradossale che un ex arbitro,
cordialmente detestato da alcuni dirigenti dell’AIA, debba essere
la voce di centinaia di arbitri picchiati da delinquenti. Lo dico
chiaramente: farei volentieri silenzio in merito se l’AIA agisse in
modo differente, sarei felicissimo se l’associazione si muovesse
ufficialmente”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-Mp7Q5JUFgIY/WNpNWxZjwTI/AAAAAAAAA6g/HDbR8o0JhrQ_VkyIYLZ7xf2IupWb-SbogCEw/s1600/violenzarbitri2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="179" src="https://1.bp.blogspot.com/-Mp7Q5JUFgIY/WNpNWxZjwTI/AAAAAAAAA6g/HDbR8o0JhrQ_VkyIYLZ7xf2IupWb-SbogCEw/s320/violenzarbitri2.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Una delle conseguenze principali del dilagare questo
fenomeno è la sempre maggiore difficoltà, per le sezioni locali
dell'AIA, di reclutare nuovi arbitri: inevitabile, in un quadro in
cui ogni arbitro, ogni fine settimana, corre il rischio concreto di
essere aggredito, offeso e minacciato dagli scalmanati di turno. Che
cosa direbbe un ex arbitro di Serie A come Marelli, uno che ha
raggiunto i massimi livelli cui una “giacchetta nera” può
aspirare, ad un giovane intenzionato ad impugnare il fischietto per
intraprendere la carriera da direttore di gara? “Non ho alcuna
intenzione di minimizzare il problema (che è stato, è e rimane
enorme) ma l’attività arbitrale non si limita alla fortuna di
evitare un’aggressione. Per quanto non abbia mai nascosto la
personale antipatia per Collina, voglio ricordare una sua frase, che
faccio mia: non sono mai stato aggredito, non ho mai nemmeno
rischiato di essere aggredito. Ciò non significa che fossi più
bravo degli altri, semplicemente sono stato più fortunato. Questo
concetto per far passare un messaggio importante: essere arbitro è
un mezzo, non un fine. Essere arbitro è un mezzo per
crescere,maturare, implementare le proprie qualità umane. Se, poi,
un ragazzo potesse scendere in campo con la certezza di non rischiare
pugni e calci da parte di qualche delinquente, state certi che gli
associati sarebbero molti di più. Perché è inutile negarlo: tanti
ragazzi vorrebbero provare l’esperienza ma vengono “bloccati”
dai genitori. Genitori che, fondamentalmente, capisco: non è certo
facile vivere con la preoccupazione che una gara si trasformi in un
momento di violenza. Perché dico ciò? Perché ho avuto (ed ho) due
genitori straordinari che mi hanno sempre spronato a vivere le
esperienza di vita ma che, nello stesso tempo, hanno passato intere
giornate nell’attesa della telefonata post partita, col terrore che
potesse accadere qualcosa. Arbitrare è una scuola di vita. Ma è
venuto il momento che i ragazzi vengano tutelati. E non per finta”. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Chiusura, quella di Marelli, che fotografa alla perfezione quella che
è la realtà attuale del nostro calcio: una realtà in cui un
ragazzo che decide di impugnare il fischietto deve mettere in conto,
ogni domenica, il rischio di essere aggredito, una realtà in cui un
campo di calcio, ogni domenica, è potenzialmente il teatro di un
pestaggio. E chissà quanti genitori, come quelli dell'ex fischietto
comasco, attendono ogni domenica quella telefonata post-partita da
parte dei propri figli, giovani arbitri, con l'ansia che possa essere
successo qualcosa. Basta questo per capire che il nostro calcio ha un
problema.</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">FOTO</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">1-www.ilgiornaledigitale.it</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">2-www.lucamarelli.it</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">3-www.it.eurosport.com</b></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-11109349156116494512017-03-21T13:05:00.000+01:002017-03-21T13:05:32.548+01:00Il volo spezzato di Stefano Impallomeni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-bjZp_8Prkgc/WNEIxHHGWOI/AAAAAAAAA6A/0bO50XdLxVYH08nJ974YMT365A4bNvBBgCLcB/s1600/impallomeni.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="245" src="https://2.bp.blogspot.com/-bjZp_8Prkgc/WNEIxHHGWOI/AAAAAAAAA6A/0bO50XdLxVYH08nJ974YMT365A4bNvBBgCLcB/s320/impallomeni.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Oggi Stefano Impallomeni, nato a Roma il 24 ottobre del 1967, di mestiere fa il giornalista sportivo. Lavora per Sky, è una di quelle voci che ogni settimana, ogni giorno, ci raccontano le decine e decine di storie che solamente il calcio sa regalare. C'è però stato un tempo, più di trent'anni fa, in cui Stefano non raccontava storie, c'è stato un tempo in cui lui era il protagonista, di quelli che le storie le scrivono: raccontarle, poi, sarà compito di altri.</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
E' il 22 febbraio del 1984, la Roma è impegnata al Mirabello di Reggio Emilia contro la Reggiana, la sfida è valida per gli ottavi di finale di Coppa Italia. A dieci minuti dal termine dell'incontro, con i giallorossi in vantaggio per 1-0, Liedholm richiama in panchina Vincenzi: lo sostituirà un ragazzo che ha appena 16 anni e mezzo, un prodotto del vivaio di cui si dice un gran bene. E' un'ala rapida, di quelle che saltano l'uomo con piacevole regolarità, ha talento il ragazzo: d'altronde, in quella Roma è impossibile mettersi in mostra, se non si è in possesso di doti speciali. Quella è la Roma campione d'Italia in carica, la Roma che vanta campioni come Cerezo, Falcao, Ancelotti e Conti. E proprio a quest'ultimo, al "più brasiliano dei calciatori italiani", viene spesso paragonato quel ragazzo del vivaio giallorosso, quel ragazzino che il Barone sta mandando in campo a Reggio Emilia. Quel ragazzo che risponde al nome di Stefano Impallomeni, quel ragazzo di Trastevere che trent'anni dopo lavorerà come giornalista sportivo, ma che in quella sera di febbraio del 1984 è un astro nascente del calcio italiano. Perchè Stefano farà strada, un po' tutti, nell'ambiente, ne sono convinti: ne è certo Liedholm, che gli regala quella passerella, utile a fargli prendere confidenza con un mondo che, nessuno ha dubbi, sarà il suo per i successivi 15 anni, ne è probabilmente convinto anche lui stesso, Stefano, sfrontato nei suoi 16 anni e mezzo e assolutamente consapevole di possedere un grandissimo talento. Ma questa storia, quella di Impallomeni, è la dimostrazione che per affermarsi, in un mondo intricato e complicato come quello del calcio, il talento non basta: servono altri fattori, per sopravvivere, Stefano lo scoprirà negli anni a venire.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-KmFBk-Leocg/WNEIxXowWWI/AAAAAAAAA6E/0RA5ESMr8Tw6rsB9WvX8PE1yuULwbNvcwCEw/s1600/impallomeni2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-KmFBk-Leocg/WNEIxXowWWI/AAAAAAAAA6E/0RA5ESMr8Tw6rsB9WvX8PE1yuULwbNvcwCEw/s1600/impallomeni2.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Roma vincerà quella Coppa Italia: in panchina, nel 1985-1986, Liedholm lascia posto ad un altro svedese, Sven Goran Eriksson. Anche il nuovo tecnico crede nel talento di Impallomeni, ma preferisce lasciarlo maturare con calma, senza esporlo al rischio di "bruciarsi", come si dice, sopraffatto dalle pressioni e dalle aspettative di un mondo spietato. "Il ragazzo si farà", come quel Nino cantato da De Gregori in "La leva calcistica della classe '68", ma è meglio concedergli il tempo necessario per crescere. Impallomeni, così, tra l'85 e l'87 colleziona 5 presenze in Serie A, più un'altra manciata di apparizioni in Coppa Italia, competizione che rivince nell'86 trovando anche spazio nella finale di ritorno all'Olimpico contro la Sampdoria. Nell'estate del 1987, nonostante Impallomeni abbia alle spalle quasi quattro stagioni nel giro della prima squadra giallorossa, la Roma decide di mettere alla prova il suo campioncino lontano da casa e lo manda in prestito al Parma, realtà emergente del calcio italiano: è in gialloblù, nel campionato di Serie B, che Stefano dovrà confermare quanto promesso negli anni precedenti. L'allenatore, poi, sembra poter essere il classico uomo giusto al posto giusto, nel momento giusto: è Zdenek Zeman, chi meglio del boemo per permettere ad un diamante grezzo come Impallomeni di risplendere in tutta la sua lucentezza? Gli inizi, in effetti, fanno ben sperare. Il 23 agosto '87 Stefano debutta al Tardini in Parma-Monza 4-2 di Coppa Italia, tre giorni dopo ecco l'1-0 al Barletta, ancora in Coppa Italia: la rete decisiva è proprio del giovane talento di Trastevere. Un'altra rete nel 2-1 inflitto al Como, poi Stefano va in campo da titolare, sempre in Coppa Italia, anche contro Milan e Bari: contro i pugliesi un altro gol su rigore. Cinque presenze in Coppa, tre reti: Impallomeni inizia come meglio non poteva la sua prima avventura lontano da Roma. E nella Capitale già ci si sfregano le mani: sembrano davvero averci visto lungo, tutti coloro che negli anni precedenti avevano pronosticato per Impallomeni un futuro da campione. Ad ottobre Stefano fa parte della spedizione azzurra al Mondiale Under 20, segna anche un gol nel 2-2 contro il Canada. In campionato, però, le cose non vanno altrettanto bene: solo tre le presenze, e a novembre l'avventura parmense, iniziata sotto i migliori auspici, è già conclusa. Durante la finestra di mercato autunnale Stefano viene girato al Cesena. E' Serie A, sembra un salto in avanti per Impallomeni. Non lo sarà: il debutto in bianconero, per Stefano, non arriverà mai, per lui undici apparizioni, sì, ma in panchina. Si parla di un carattere difficile, spigoloso, già emerso durante la trafila nelle giovanili della Roma: la parentesi cesenate è da dimenticare, nell'estate dell'88 Stefano fa ritorno a Parma. L'allenatore è Giampiero Vitali, Impallomeni, nelle sue idee, è uno dei giocatori sui quali costruire le fondamenta della squadra. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-GvPO2ePY1kw/WNEIxaejCHI/AAAAAAAAA6I/JPfPr36illIR0DHA0GjEY0kUW8PS4DTLgCEw/s1600/impallomeni1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-GvPO2ePY1kw/WNEIxaejCHI/AAAAAAAAA6I/JPfPr36illIR0DHA0GjEY0kUW8PS4DTLgCEw/s320/impallomeni1.jpg" width="230" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dicevamo, prima, però, che per sopravvivere, nello spietato mondo del calcio, il talento non basta. Sono assolutamente indispensabili altri fattori, uno di questi è la fortuna. Stefano Impallomeni impara questa lezione la sera del 3 agosto 1988, allo stadio Tardini, dove con il suo Parma scende in campo per un'amichevole pre-campionato contro il Milan. Entrato in campo dopo l'intervallo, Impallomeni, nel finale di gara, rimane vittima di un violentissimo scontro con Billy Costacurta. Uno scontro dalle conseguenze drammatiche: rottura di tibia e perone, un incubo per un ragazzo di 21 anni che sta sgomitando per trovare posto nel famelico mondo del pallone. Nel 2007, quasi vent'anni più tardi, Costacurta sentirà il bisogno di scusarsi con Impallomeni per quell'intervento: "Gli devo delle scuse, gli ho rotto una gamba, era un vero talento" dirà la bandiera rossonera dalle colonne del Corriere della Sera. Parole sincere, parole di chi sente di aver spezzato il volo di un talento straordinario, di un ragazzo che avrebbe potuto essere ma non è stato un campione. Già, perchè Stefano, a sei mesi da quella maledetta sera del Tardini, dopo una lunga e faticosa riabilitazione, tornerà in campo, ma non sarà che il lontano parente della sgusciante ala ammirata nelle stagioni precedenti. Torna in campo a febbraio '89, colleziona scampoli di gara, senza impressionare. Solo all'ultima giornata Stefano torna titolare e segna una doppietta al Piacenza: qualcuno vede in quella doppietta la luce della speranza, la luce di un talento che sta tornando a splendere. Nella stagione '89-'90 Impallomeni torna alla base, colleziona cinque presenze con la Roma di Radice: ma la corsa è insicura, il passo è lento, il dribbling è appesantito da una mobilità che dopo l'infortunio non è più tornata quella dei tempi migliori, e mai tornerà. Dal '90 al '92 Stefano gioca a Pescara, in Serie B, ma è poco più di una comparsa: una trentina di presenze in due anni, senza mai trovare la gioia del gol. Scende ancora, Impallomeni: nel 1992-1993: Casertana, Serie C1, la miseria di quattro presenze senza reti. Nel '93-'94 ancora a Pescara, Serie B, poi il capolinea.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Stefano annuncia il ritiro nel '94, ad appena 27 anni. Troppo pesanti le conseguenze lasciate sul suo fisico da quella sera di agosto dell'88, da quell'intervento di Costacurta che gli ha chiuso in faccia le porte di un futuro che poteva essere ben diverso. Da quella sera un potenziale campione si è trasformato in giocatore normale, da quella sera Stefano ha capito che il talento, da solo, non basta.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E non potendo scrivere la storia, Stefano s'è messo a raccontarla.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">FONTI</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">1-</b><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><span style="font-size: 13px;"><b>http://www.stadiotardini.it/2014/08/amarcord-di-alessandro-dondi-quando-costacurta-azzoppo-impallomeni.html</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">2-</b><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><span style="font-size: 13px;"><b>https://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Impallomeni</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">3-</b><span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><span style="font-size: 13px;"><b>http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/2007/05_Maggio/19/costa.shtml</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><span style="font-size: 13px;"><b><br /></b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><span style="font-size: 13px;"><b>FOTO</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1b1b; font-family: "allerta stencil";"><span style="font-size: 13px;"><b>1, 2, 3 -www.stadiotardini.it</b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-9913271642452033182017-03-20T16:26:00.000+01:002017-03-20T16:26:31.867+01:00Sebastian Deisler, la sofferenza nel destino<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-f68MxaWsJoI/WM_yAq-dU0I/AAAAAAAAA5c/4Ii3uAJMTM4IYeJjnnb7pGuOtNKsnEvowCEw/s1600/deisler.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="177" src="https://3.bp.blogspot.com/-f68MxaWsJoI/WM_yAq-dU0I/AAAAAAAAA5c/4Ii3uAJMTM4IYeJjnnb7pGuOtNKsnEvowCEw/s320/deisler.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
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Oggi, il movimento calcistico tedesco è tra i più scintillanti del pianeta. Una nazionale stracolma di talenti, non a caso campione del mondo in carica, un campionato, la Bundesliga, in crescita costante non solo sotto il profilo tecnico, stadi all'avanguardia, la media spettatori più alta del continente europeo. Un movimento che, insomma, scoppia letteralmente di salute. Basta portare indietro le lancette degli orologi di poco più di 15 anni, però, per scoprire una realtà profondamente diversa. Negli anni a cavallo tra i due millenni, il movimento del pallone teutonico attraversa una fase di profonda crisi: emblematica l'eliminazione nella fase a gironi dell'Europeo del 2000 per la Mannschaft di Erich Ribbeck. Le speranze di rilancio, per la Germania del pallone, risiedono nei piedi e nel talento di un ragazzo appena ventenne affacciatosi sulla scena con la casacca del Borussia Moenchengladbach e poi passato nella capitale, all'Herta di Berlino. Sulle sue giovani spalle poggia il peso del rilancio di un movimento glorioso, quello tedesco, che si ritrova però improvvisamente orfano di veri campioni. Spalle giovani, che si riveleranno troppo fragili per sostenere una tale responsabilità.</div>
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<a name='more'></a>Quel ragazzo così giovane e fragile risponde al nome di Sebastian Deisler: è nato il 5 gennaio 1980 a Lorrach, Germania sud-occidentale, a pochi passi dai confini con Svizzera e Francia. Longilineo, non particolarmente prestante, ma agile, Deisler inizia a correre dietro un pallone all'età di 6 anni, nel TV Turmlingen. E' qui che mette in mostra doti tecniche assolutamente fuori dal comune, una qualità nel calciare il pallone riservata a pochi eletti, ai predestinati: e sarà proprio questo, quest'etichetta di baciato dal Signore, di salvatore designato della patria pallonara teutonica, a condizionare in modo pesantissimo non solo la sua carriera, ma la sua vita in generale. Discorsi, questi, che all'inizio degli anni Novanta sono però lontani: allora Sebastian è solo ed esclusivamente un giovane di belle speranze, uno di quelli che nel calcio, come si dice, può "diventare qualcuno". Per lui parlano i numeri: a 9 anni il piccolo Deisler segna 215 reti in una sola stagione. Se ne accorge il Borussia Moenchegladbach, che lo preleva dal club dov'è calcisticamente cresciuto nel 1995. Passano tre anni, e nel 1998, per Deisler, appena diciottenne, è già tempo di esordire in Bundesliga: troppo evidente il suo talento, troppo debordante, per essere confinato sui campi dove si affrontano le selezioni giovanili. Friedel Rausch, così, lo manda in campo con la prima squadra e a tutti è chiaro fin da subito che "Basti" non è un calciatore qualunque: classe cristallina, visione di gioco, tecnica sopraffina. Un talento di quelli che passano ogni vent'anni, così evidente agli occhi di tutti che anche i tedeschi, solitamente freddi, pragmatici, cinicamente pratici, si lasciano andare a lodi sperticate e paragoni decisamente impegnativi: Matthaus, Littbarski, Magath, addirittura il più grande di tutti, Franz Beckenbauer. Proprio il Kaiser spende per lui parole importanti: "Fisicamente e tecnicamente il migliore in Germania". Lo segue a ruota un altro big del passato, Rudi Voller: "Farà le fortune della Germania per il prossimo decennio", l'investitura dell'ex attaccante della Roma. E' qui, nei primi mesi della stagione 1998-1999, in cui non riuscirà, nonostante 17 presenze e una rete, ad evitare la retrocessione del suo Borussia, che Sebastian inizia a sentirsi addosso quell'etichetta di predestinato, quel peso che qualche anno più tardi finirà per piegarlo e infine per schiacciarlo.<br />
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-mrCMZKeAVuw/WM_ydTcNVtI/AAAAAAAAA5o/JvXsYk_ykY02m9noMvlWyEK2NTxDeb7EgCLcB/s1600/deisler1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="216" src="https://4.bp.blogspot.com/-mrCMZKeAVuw/WM_ydTcNVtI/AAAAAAAAA5o/JvXsYk_ykY02m9noMvlWyEK2NTxDeb7EgCLcB/s320/deisler1.jpg" width="320" /></a></div>
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Ma questi sono discorsi che appartengono al futuro. Al termine della stagione 1998-1999 Basti è un ragazzo spensierato, grato al fato che gli ha regalato un talento non comune, felice di poter vivere facendo ciò che ama, giocare a calcio. Un ragazzo quasi ingenuo nella sua passione: nell'estate del '99 rifiuta l'irrifiutabile, un'offerta del Bayern Monaco. Va al più modesto Herta Berlino, Basti. La motivazione? Semplicissima: "Al Bayern non giocherei". E' questo l'unico desiderio del Sebastian Deisler diciannovenne: giocare, divertirsi, correre dietro quel pallone che ha conosciuto quand'era bambino e che non ha lasciato più. E lui, lontano dal pallone, non ci vuole stare: ha solo 19 anni, ma si è già messo alle spalle un serio problema al ginocchio, che lo ha bloccato nel finale di stagione al Borussia. Un infortunio che gli ha permesso di capire che stare a guardare non gli piace, che vuole giocare, che vuole essere protagonista e non comparsa. Nella sua prima stagione nella capitale Deisler colleziona 20 presenze e 2 reti, l'Herta ottiene un buon sesto posto e la qualificazione alla Coppa Uefa. In estate il giovane centrocampista fa parte della spedizione tedesca a Euro 2000. Una spedizione fallimentare, conclusa già ai gironi, dopo un umiliante 3-0 incassato contro il Portogallo. Deisler è una delle poche luci, uno dei pochi a salvarsi dal naufragio: le aspettative intorno a lui crescono sempre di più, è attorno a lui che la Germania deve costruire la Maanschaft del futuro, quella della rinascita, quella che dovrà obbligatoriamente essere protagonista ai Mondiali di casa in programma nel 2006. Tra il 2000 e il 2002, nel biennio che conduce al mondiale nippo-coreano, Sebastian inizia a fare i conti con i problemi fisici che ne condizioneranno senza pause la carriera: mette insieme 36 presenze e 7 reti in Bundesliga, e quando sta bene mostra di essere per davvero un giocatore di livello eccelso. Nonostante i continui infortuni, tutti ne sono certi: quella di Deisler sarà una carriera scintillante. Ne sono convinti anche al Bayern, tappa praticamente obbligata per ogni fuoriclasse tedesco che si rispetti. I bavaresi concludono il suo acquisto ancor prima del termine della stagione 2001-2002: dopo il mondiale Deisler saluterà Berlino per raggiungere Monaco. Quei mondiali, però, Deisler li potrà solamente guardare in tv. Già, perchè a maggio, durante un'amichevole con la nazionale, il ginocchio fa nuovamente crack: lacerazione della membrana sinoviale, nuova operazione, la seconda, uno stop di diversi mesi. Un duro colpo per la Germania, ma soprattutto per lui, Basti, un ragazzo che vuole solo giocare a calcio, e che a 22 anni appena compiuti si ritrova a dover affrontare il secondo serio infortunio della sua carriera, un infortunio che gli chiude le porte del sogno mondiale e che rischia di compromettere la sua avventura al Bayern ancora prima che questa sia iniziata. Le sue certezze, quelle del ragazzo a cui la Germania del pallone chiede di farsi trascinatore della rinascita del movimento, iniziano a vacillare pericolosamente. Lui, Sebastian, vorrebbe prendere per mano la Germania trascinarla fuori da anni calcisticamente bui, ma ora inizia a temere di non potercela fare, inizia a pensare che la sua nazione gli stia davvero chiedendo troppo.</div>
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-mkvIim1WYVU/WM_yBZuEcnI/AAAAAAAAA5g/kuk_x2wD9YMLuxQl4ZglsifLGCiOrmehQCEw/s1600/deisler2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-mkvIim1WYVU/WM_yBZuEcnI/AAAAAAAAA5g/kuk_x2wD9YMLuxQl4ZglsifLGCiOrmehQCEw/s320/deisler2.jpg" width="320" /></a></div>
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Il recupero è lungo e complicato, l'esordio di Sebastian con la maglia del Bayern arriva addirittura un anno dopo l'infortunio: è il 10 maggio 2003, di fronte ai bavaresi proprio l'Herta Berlino che ha visto esplodere il talento di Basti. Finisce 6-3, Deisler bagna l'esordio con due assist, ma la sua prima stagione in Baviera si concluderà con sole 8 presenze, di cui 3 da titolare. Si arriva alla stagione 2003-2004: nonostante i soliti acciacchi, Sebastian riesce a trovare un po' di continuità, scendendo in campo spesso e volentieri come titolare. Sembra l'uscita da un tunnel lungo più di un anno, sembra arrivato il momento: il talento più fulgido di un'intera generazione di calciatori tedeschi, a 23 anni, è finalmente pronto a sbocciare. Questo è ciò che traspare all'esterno. Dentro, nei meandri dell'animo di Sebastian, vivono però i fantasmi nati negli anni precedenti, che mai se ne sono andati e che continuano a minare la serenità di un ragazzo cui una fragilità fisica impressionante sta impedendo di rispettare il suo ruolo di predestinato. L'8 novembre il Bayern strapazza il Borussia Dortmund vincendo 4-1, Deisler mette a referto due assist, ma il giorno dopo il telefono del manager bavarese Uli Hoeness squilla: dall'altra parte del filo c'è Sebastian. "Ho bisogno d'aiuto, sto male". Un grido di dolore, ma stavolta i muscoli e le ginocchia non c'entrano. Stavolta i problemi di Basti sono nel profondo della sua anima. La diagnosi parla di depressione, Deisler viene ricoverato in una clinica di Monaco di Baviera, i medici parlano di "sindrome da burnout": una patologia da stress che spesso colpisce sportivi colpiti da una lunga serie di insuccessi. Il quadro è chiaro fin da subito: Sebastian, per dirla in parole estremamente semplici, non ha retto alla pressione. La pressione di un paese che gli chiedeva di ergersi a salvatore della patria calcistica, le aspettative di chi vedeva in lui il nuovo Matthaus, o il nuovo Littbarski. Paragoni ed etichette che lui, Deisler, non aveva mai amato, e che aveva pubblicamente rifiutato anche durante alcune interviste rilasciate negli anni prima. Voleva solo essere Basti: tutte le altre vesti erano troppo pesanti, per lui. La gravidanza difficile che sta attraversando la moglie, poi, fa il resto. E Sebastian crolla, implode. Rimane lontano dai riflettori fino a maggio del 2004, quando torna in campo segnando anche un gol al Friburgo. Qualche mese costellato dalle solite noie fisiche, poi, quando il peggio sembra ormai messo alle spalle, ecco la ricaduta: la depressione si impadronisce ancora di Deisler, è ottobre del 2004 e Basti deve fermarsi ancora, inghiottito dalla sofferenza di una malattia subdola, silenziosa, ma allo stesso tempo devastante. Un nuovo ricovero in clinica, poi però è la gioia della paternità a corrergli in aiuto nelle fattezze del figlioletto Raphael. Poco a poco Deisler risale dal fondo sul quale si era adagiato, e con la serenità ritrova anche una forma fisica che gli mancava ormai da anni. Tra il 2005 e il 2006 il Bayern e la Germania riassaporano sprazzi di quel talento cristallino che tanto aveva fatto sognare negli anni precedenti, prima di rimanere intrappolato nella morsa degli infortuni e della depressione che avevano perseguitato Sebastian.</div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-DRn7FZx9Xdw/WM_yBQPGfdI/AAAAAAAAA5k/G_YL5YE2sxcnY1pvld0GTlytGQwVBuoPQCEw/s1600/deisler3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://4.bp.blogspot.com/-DRn7FZx9Xdw/WM_yBQPGfdI/AAAAAAAAA5k/G_YL5YE2sxcnY1pvld0GTlytGQwVBuoPQCEw/s320/deisler3.jpg" width="320" /></a></div>
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La stagione 2005-2006 è quella che porta agli attesissimi mondiali tedeschi. E' qui che Deisler vuole riprendersi con gli interessi quanto il destino gli ha tolto quattro anni prima: la depressione è ormai alle spalle, anche i problemi fisici sembrano dopo tanti anni concedergli una tregua, l'occasione di un mondiale da giocare in casa sembra perfetta per regalargli quel riscatto che la Germania intera gli augura e si augura. Sebastian gioca bene, finalmente sta bene, è ormai pedina inamovibile del Bayern Monaco di Magath. A marzo del 2006, però, il destino riemerge dagli inferi per trascinare giù con sè, ancora una volta, il centrocampista di Lorrach: in uno scontro fortuito in allenamento con l'inglese Hargreaves, Deisler riporta la rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro. Serve l'operazione, la quinta in otto anni. Basti dice addio al sogno di un mondiale da giocare in casa e ripiomba nel baratro più profondo. Sebastian, però, sembra aver fatto tesoro delle lezioni che la vita gli ha impartito negli anni precedenti: ,la sua corazza ora è più che mai resistente, Deisler non si lascia abbattere, mentre guarda i suoi compagni di nazionale conquistare il terzo posto al mondiale casalingo lavora in compagnia del fisioterapista. Non vuole arrendersi al destino, vuole provare a riemergere ancora una volta, alla faccia della sfortuna, degli infortuni e dei mostri che lo hanno rapito negli anni precedenti. Il 18 novembre 2006 Sebastian torna in campo contro lo Stoccarda, sette giorni dopo illumina il Bayern con due assist nella vittoria sull'Amburgo, a dicembre torna anche a calcare i campi della Champions League contro l'Inter. Sembra rinato ancora una volta, Sebastian.</div>
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/--wK7c0lbYuE/WM_ydQB_HhI/AAAAAAAAA5s/yTSGHn5T1jQabkTOgaluPZU1_NWl5X4IgCEw/s1600/deisler4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="179" src="https://1.bp.blogspot.com/--wK7c0lbYuE/WM_ydQB_HhI/AAAAAAAAA5s/yTSGHn5T1jQabkTOgaluPZU1_NWl5X4IgCEw/s320/deisler4.jpg" width="320" /></a></div>
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Ma le cicatrici, nel fisico e nell'anima, sono ormai troppo profonde e troppo dolorose. A gennaio del 2007, così, Sebastian spiazza tutti, convoca una conferenza stampa e annuncia: "Mi ritiro. Non ho più fiducia nel mio ginocchio, è un calvario. Non gioco in allegria, non posso fare le cose a metà. Giocare è una tortura ormai, mi sento gravemente menomato". Parole che trasudano tremenda sofferenza, quella di un ragazzo a cui il destino ha negato l'amore più grande, quello per il pallone. La dirigenza del Bayern parla di decisione "inspiegabile", congela il contratto di Deisler sperando in un successivo ripensamento.</div>
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Ma non ci ripenserà, Basti. Si chiuderà quel giorno, con la conferenza del 16 gennaio 2007, la carriera di uno dei talenti più splendenti e sfortunati della storia del calcio.</div>
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Basti dirà basta ad appena 27 anni, arrendendosi ad un destino che ha trasformato in sofferenza ciò che per lui era gioia infinita.</div>
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">FONTI</b></div>
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b></div>
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<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><b>1 - http://www.contra-ataque.it/2015/06/18/sebastian-deisler-il-campione-di-cristallo-fermato-dal-destino.html</b></span></span></div>
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<span style="background-color: #999999; font-size: 13px;"><span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><b>2 - </b></span></span><span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>https://inzonacesarini.wordpress.com/2014/11/11/maledetto-destino-la-storia-di-sebastian-deisler/</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>3 - http://archiviostorico.gazzetta.it/2003/novembre/22/dolori_del_giovane_Deisler_ga_0_0311228672.shtml</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>4 - http://thesefootballtimes.co/2015/09/03/sebastian-deisler-and-the-pressures-of-elite-sport/</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b><br /></b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>FOTO</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b><br /></b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>1 - www.11freunde.de</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>2 - www.taringa.net</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>3 - www.bild.de</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>4 - www.thefootballmind.com</b></span></span></div>
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<span style="color: #1b1b1b; font-family: Allerta Stencil;"><span style="font-size: 13px;"><b>5 - www.bild.de</b></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-6849331593800972102017-01-10T20:48:00.000+01:002017-01-10T20:48:52.915+01:00Cessate il fuoco, gioca O'Rei!<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-J6E0J7dDZB4/WHTCxr8u7VI/AAAAAAAAA2c/o_3-XvX6wlYONQZ4_LXGKpDv1_GVoTBjgCLcB/s1600/pelenig1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="201" src="https://1.bp.blogspot.com/-J6E0J7dDZB4/WHTCxr8u7VI/AAAAAAAAA2c/o_3-XvX6wlYONQZ4_LXGKpDv1_GVoTBjgCLcB/s320/pelenig1.jpg" width="320" /></a></div>
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Qualcuno, ogni tanto, ancora ci prova. "Il calcio è solo un gioco", sibila la voce, nel tentativo di spegnere il fuoco nel cuore degli appassionati, nel tentativo di oscurare la luce che ogni innamorato di pallone porta negli occhi. Nel 2017, però, con oltre un secolo di pallone ormai alle nostre spalle, di argomenti per smentirlo ne abbiamo in abbondanza. Il calcio non è, non è mai stato e mai sarà solamente un gioco: il calcio è un fenomeno sociale dall'incidenza ormai determinante nella vita di milioni di persone, parte integrante della storia di questo pianeta. Il calcio è stato in grado di scandirla e anche di indirizzarla, la storia del mondo, intersecandosi ed intrecciandosi con la stessa. Quel pallone che per qualcuno è soltanto un gioco è stato capace addirittura, in alcuni straordinari casi, di fermare le guerre, portando sprazzi di spensieratezza là dove regnavano sangue e odio. </div>
<a name='more'></a><div style="text-align: justify;">
Il più famoso di questi episodi riguarda la cosiddetta "tregua di Natale" del 1914: lo scenario è quello di Ypres, nelle Fiandre, territorio che oggi appartiene al Belgio ma che allora è un'autentica terra di nessuno. Il 25 dicembre soldati tedeschi e truppe alleate si ritrovano a festeggiare insieme il Natale, in un "cessate il fuoco" spontaneo e non riconosciuto: una tregua che ad un certo punto si trasforma in una partita di calcio, giocata con un pallone di fortuna, ricavato con degli stracci. Così, senza nessun accordo pregresso, senza alcun ordine dall'alto, tedeschi e alleati cessano di spararsi addosso, ragazzi che scoprono di avere tanto in comune lasciano da parte per qualche giorno fucili e baionette, mettendo il naso fuori dalle trincee: la tregua dura fino a Capodanno, la storia di quella leggendaria partita è arrivata fino a noi.</div>
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Un caso simile, più recente ma molto meno celebre del precedente, è quello che secondo la leggenda va in scena in Nigeria nel 1969: una leggenda che però sembra essere vera solamente a metà. Per raccontarla, partiremo dal principio, andando un po' indietro nella storia della nazione africana.<br />
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La Nigeria, dal 1967, è teatro di una sanguinosa guerra civile, che al termine delle ostilità farà registrare un milione e duecento mila vittime, tra soldati e civili (ma si stima che sommando i morti per fame e malattie, la cifra salga a tre milioni). Sebbene il conflitto abbia ufficialmente inizio nel luglio '67, è nel '66, in una Nigeria ridotta ad una polveriera, che la guerra civile affonda le proprie radici: il 15 gennaio, con il pretesto di presunti brogli elettorali, alcune sezioni dell'esercito operano un colpo di stato destituendo il governo eletto. Il potere passa tra le mani del generale Johnson Aguiyi Ironsi, è lui il nuovo presidente della Nigeria. Passano appena sei mesi, però, ed ecco un contro-colpo di stato: Ironsi viene accusato di aver concesso promozioni a diversi ufficiali di etnia Igbo, popolazione diffusa nel sud del paese, a cui lui stesso appartiene, a spese di militari Yoruba e Hausa, altri due gruppi etno-linguistici diffusi in Africa occidentale. Il contro-colpo di stato da parte dei settentrionali destituisce Ironsi, il nuovo presidente è il tenente colonnello Yakubu Gowon, salito al potere il 29 luglio 1966. E' da queste tensioni etniche, meno di un anno più tardi, che divampa il fuoco che porta alla guerra civile: le province del sud, di etnia Igbo, autoproclamatesi Repubblica del Biafra, annunciano la loro secessione dalla Nigeria, la repressione del governo centrale è violentissima. Ogni tentativo di mediazione diplomatica va a vuoto, il 6 luglio 1967 due colonne dell'esercito federale nigeriano entrano nel territorio dell'autoproclamata Repubblica del Biafra: in Nigeria inizia ufficialmente la guerra civile.<br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-0EQPuWbxczI/WHTJ2yGy2RI/AAAAAAAAA2s/ymUSWAANLgkg1zv0jEDWr8OVhm5FhmfiQCLcB/s1600/pelenig2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-0EQPuWbxczI/WHTJ2yGy2RI/AAAAAAAAA2s/ymUSWAANLgkg1zv0jEDWr8OVhm5FhmfiQCLcB/s1600/pelenig2.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Odumekwu Ojukwu, leader dei secessionisti del Biafra</span></div>
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Una mattanza che si concluderà solo due anni e mezzo dopo, all'alba del 1970, con la Repubblica del Biafra che firmerà la resa dopo una strenua resistenza, rinunciando alla secessione, con il governo centrale nigeriano che verrà accusato di genocidio nei confronti dell'etnia Igbo: immagine simbolo di quella sanguinosa guerra civile resteranno i corpi scheletrici, denutriti, segnati dalla fame, dei bambini delle province del Biafra. Proprio in seguito alla drammatica esperienza in Nigeria Bernard Kouchner, insieme ad altri medici francesi, fonderà nel 1971 l'organizzazione "Medici senza frontiere".<br />
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Nel frattempo, mentre in Nigeria imperversa la follia della guerra, dall'altra parte dell'Atlantico impazza il mito del Santos di Pelè. Dopo aver vinto due Mondiali, O'Rei è ormai diventato una star di livello internazionale: l'eco delle sue gesta è arrivata anche in Africa, anche in quella Nigeria insanguinata dalla guerra civile. Anche gli appassionati di pallone africani sognano di ammirare da vicino la Perla Nera e i suoi compagni del Santos: all'inizio del 1969, così, Pelè e il Peixe sorvolano l'Atlantico e sbarcano nel continente nero per una tournèe decisamente ben retribuita. Le federazioni africane sono disposte ad aprire i cordoni delle loro borse, pur di assicurarsi un'esibizione del più grande giocatore del mondo. I primi quattro impegni del Santos sono nella Repubblica Democratica del Congo, tra il 17 e il 23 gennaio 1969: all'esordio il Peixe vince 3-0 a Point Noire contro una rappresentativa locale, poi sconfigge 3-2 la nazionale congolese, che reincotrerà nell'ultimo impegno in questa nazione il 23 gennaio perdendo 3-2. Nel mezzo, il 21 gennaio, la vittoria 2-0 sulla nazionale congolese B.<br />
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Il 26 gennaio 1969, di domenica mattina, la delegazione brasiliana atterra all'aeroporto di Lagos, Nigeria: è qui che il Santos ha fissato la seconda tappa dal suo tour africano. Qualche chilometro più a est, ogni giorno si combatte, ogni giorno si muore, ogni giorno scorrono fiumi di sangue. Al Peixe la federazione nigeriana ha corrisposto la somma di 11 mila sterline nigeriane (valùta di valore equivalente alla sterlina britannica), in tanti, nel paese, si indignano, con il Nigerian Daily Times, noto quotidiano, che solleva la polemica: la nazione è dilaniata dalla guerra civile, è immorale ed ingiutificato spendere così tanti soldi per una semplice partita di calcio. "Il Santos è una squadra di statura internazionale, Pelè è il più grande giocatore della storia del calcio, abbiamo fatto un affare portandoli in Nigeria con una somma così ridotta. - sentenzia Alfred Osula, vice presidente federale - Per non parlare della fortuna che avranno i tifosi potendo ammirare così da vicino una star come O'Rei, e di quanto potranno apprendere da lui i nostri calciatori". Polemica messa a tacere, la partita si gioca.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-qOnTZ57vE38/WHTKgwm0ivI/AAAAAAAAA20/UgMiT3deoZYcPekYWKjzyoLjNkVUelsMQCLcB/s1600/pelenig3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://2.bp.blogspot.com/-qOnTZ57vE38/WHTKgwm0ivI/AAAAAAAAA20/UgMiT3deoZYcPekYWKjzyoLjNkVUelsMQCLcB/s1600/pelenig3.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Il Santos si presenta alle autorità nigeriane</span></div>
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E' il pomeriggio del 26 gennaio 1969, il Santos scende in campo a Lagos contro le Super Aquile, soprannome della nazionale nigeriana. In città regna l'ordine, l'organizzazione è impeccabile, il pubblico accorso sugli spalti per l'occasione numeroso ed entusiasta. Il match non tradisce le aspettative e si chiude con un divertente 2-2: per le Green Eagles vanno a segno Muyiwa Oshode e Baba Alli, per il Santos doppietta di Pelè. Ci sono tutti gli ingredienti per una giornata perfetta, la federazione nigeriana ha ottenuto il massimo che potesse desiderare: una partita vibrante, tanti gol, un'ottima prestazione dei beniamini di casa e una doppietta dell'uomo più atteso, Edson Arantes do Nascimento. E poi, questa partita ha permesso ad un popolo di dimenticare per un giorno gli orrori della guerra, il sangue, la morte, il dolore, che da quasi due anni stanno straziando il paese.<br />
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Il giorno dopo il Santos risale sull'aereo e riparte alla volta del Mozambico, terza tappa della torunèe africana: qui, il primo di febbraio, il Peixe batterà per 2-0 il Lourenco Marques. In Nigeria, nel frattempo, si comincia a lavorare sottotraccia: la partita di Lagos è stata un grandissimo successo, la federazione vorrebbe fare il bis, portando il Santos in un'altra città, mettendo Pelè in vetrina in un'altra zona della nazione. Un lavoro che per la verità, nelle stanze dei bottoni del calcio nigeriano, era iniziato ancor prima che i brasiliani sbarcassero a Lagos per la prima amichevole. Già dai primi giorni di gennaio Isaac Okonjo, presidente del Midwest Sports Council, aveva infatti iniziato a lavorare ad un'esibizione del Santos a Benin, centro a est di Lagos ripetutamente oggetto di attacchi da parte dei secessionisti del Biafra per la sua importanza strategico-economica: a Pelè e ai suoi compagni sarebbero andati ulteriori 6 mila sterline nigeriane, la partita si sarebbe giocata il 27 gennaio, il giorno dopo quella di Lagos contro le Green Eagles. Il Santos inizialmente rifiuta, poi torna sui suoi passi: si dice disponibile a giocare un'altra gare in terra nigeriana, ma non il 27 gennaio. O'Rei e i suoi compagni faranno ritorno in Nigeria qualche giorno dopo, solo dopo essersi esibiti in Mozambico. Martedì 4 febbraio è la data scelta, il Santos affronterà una rappresentativa centro occidentale nigeriana.<br />
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Atterrata a Benin, dopo uno scalo a Lagos, di prima mattina, la delegazione brasiliana, il 4 febbraio, porge visita al tenente colonnello Samuel Ogbemudia, leader del governo militare nigeriano nel Midwest del paese. Il pomeriggio, alle ore 15.30, al Benin's Ogbe Stadium, è previsto il calcio d'inizio della seconda esibizione del Santos in terra nigeriana. Le porte dell'impianto, inaugurato un anno prima e capace di contenere 10 mila persone, si aprono alle 10 del mattino: due ore prima del fischio d'inizio le tribune sono colme in ogni ordine di posto. Fuori dallo stadio altri centinaia di tifosi, senza biglietto, spingono per entrare, ma vengono respinti. In molti si presentano allo stadio con una sedia, nella speranza di trovare una sistemazione di fortuna a posti a sedere esauriti. Arrivano appassionati da tutto il paese, ma non solo: anche dalle nazioni confinanti centinaia di persone giungono a Benin per ammirare le gesta di Pelè., noncuranti della guerra civile in corso, noncuranti dell'orrore che sta devastando il sud-est del paese. Contro i determinati ma limitati calciatori locali il Santos vince, ma senza esagerare: la gara si chiude sul 2-1, Pelè non segna, vanno in rete Edu e Negreiros, mentre Okere firma il gol della bandiera locale. Dopo l'incontro il Santos tornerà a Lagos, per poi volare ad Accra, in Ghana, successiva tappa del tour, la penultima: dopodichè il Peixe giocherà in Algeria, per poi rientrare in patria il 9 febbraio 1969, dopo quasi un mese in terra africana.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-HjYRYHMhR_c/WHTLtbzbm6I/AAAAAAAAA3A/osk-BS5VbSkyGFcGY40JXldscNFLEz0kQCLcB/s1600/pelenig4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="204" src="https://2.bp.blogspot.com/-HjYRYHMhR_c/WHTLtbzbm6I/AAAAAAAAA3A/osk-BS5VbSkyGFcGY40JXldscNFLEz0kQCLcB/s320/pelenig4.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Il mitico Santos di Pelè</span></div>
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La leggenda narra che in occasione di questo secondo match del Santos in Nigeria si verificò un incredibile "cessate il fuoco": i ribelli della Repubblica del Biafra e le forze governative si sarebbero accordati per cessare momentaneamente le ostilità, per 48 ore, il tempo per raggiungere Benin e godersi l'ultima esibizione di Pelè in Nigeria. Le due fazioni avrebbero così deposto le armi per 48 ore in nome del Dio Pallone, un Dio che in quegli anni aveva le fattezze di uno strabiliante brasiliano di nome Edson Arantes do Nascimento, conosciuto dal mondo intero come Pelè. Una storia, quella di questo "cessate il fuoco", raccontata da organi d'informazione autorevoli come la Cnn, il Telegraph e The Guardian: quanto c'è, però, di vero in questa leggenda? Quanto invece appartiene al mito, ad una versione romanzata dei fatti?<br />
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Innanzitutto è bene chiarire un'imprecisione ricorrente in cui spesso è incappato chi ha deciso di raccontare questa storia. Secondo diverse fonti, infatti, la tournèe del Santos in Nigeria sarebbe datata 1967, anzichè 1969: si tratta di un errore probabilmente nato da un refuso presente nell'autobiografia dello stesso Pelè, "My life and a beautiful game", uscita nel 1977, in cui O'Rei fa risalire (erroneamente) al '67 la sua visita in Nigeria con il Santos. Proprio da questa autobiografia, comunque, nascono i primi dubbi sulla veridicità della leggenda: Pelè, nel ricordare la tournèe, non fa infatti alcun cenno a questo presunto "cessate il fuoco", e addirittura cita solamente una delle due gare giocate dal suo Santos in Nigeria, quella di Lagos. A gennaio del 1967, peraltro, la guerra civile nigeriana non era ancora ufficialmente iniziata.<br />
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Alcune versioni di questa leggenda poi, parlano di un ponte, il Sapele Bridge di Benin City, che il tenente colonnello Samuel Ogbemudia avrebbe fatto aprire appositamente, in quel 4 febbraio, per permettere alla popolazione del Biafra di raggiungere lo stadio. La realtà dei fatti è però un'altra: quel ponte, di norma a pedaggio, fu aperto gratis in quella giornata per permettere a chi aveva raggiunto Benin per la partita di non dover sostenere ulteriori costi, di certo non per andare incontro ai secessionisti. Improbabile, inoltre, pensare che qualcuno, tra la popolazione del Biafra, potesse pensare di raggiungere Benin per assistere al match, rischiando di essere arrestato, o peggio, ucciso dalle forze governative. Di fronte a questo rischio, anche il più entusiasta tra gli appassionati avrebbe desistito. Pochi giorni prima, peraltro, un aereo dei ribelli aveva bombardato un villaggio di contadini, Obagie, a poche miglia da Benin, uccidendo quattro persone e ferendone a decine: raggiungere quella città per la partita del Santos, per il popolo del Biafra, sarebbe stato come finire nella tana del lupo, ed è inoltre davvero difficile pensare ad "cessate il fuoco" proprio a pochi giorni da un attacco del genere.<br />
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A sfatare questo mito ci sono poi le cronache dell'epoca: tutte le maggiori testate nigeriane riportarono la notizia delle due gare di Pelè e compagni a Lagos e Benin, con cronache ampie e dettagliate, nessuno, però, fece menzione di un "cessate il fuoco", nè se ne fa cenno nelle relazioni governative.<br />
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Una leggenda, quella del "cessate il fuoco" in nome di Pelè, che iniziò a diffondersi all'inizio degli anni '90, dopo un articolo di Michel Laurence, giornalista franco-brasiliano, in cui si parlava brevemente proprio del tour africano del Santos a inizio '69. L'alone di mistero che avvolge questa vicenda è poi stato alimentato dallo stesso Pelè, nella sua seconda autobiografia, uscita nelle librerie nel 2007, in cui O'Rei scrive: "Non sono sicuro che ci fu effettivamente un cessate il fuoco, ma i nigeriani sicuramente fecero in modo che non ci fossero invasioni da parte dei Biafra mentre eravamo a Lagos. Eravamo protetti dalla Polizia, il servizio di sicurezza da parte dell'esercito era imponente", commenta Pelè citando ancora una volta Lagos e non Benin. Pelè che poi, nel 2011, forse nell'intenzione di regalare agli appassionati una storia affascinante ed incredibile (anche se falsa) scelse di alimentare ulteriormente la leggenda in un'intervista rilasciata alla Cnn: "Sono orgoglioso di questo fatto, con la mia squadra fermammo la guerra. - racconta O'Rei - La gente impazziva per il calcio, lo amava, e cessò le ostilità per venire a vedere me e i miei compagni". La memoria, però, poi tradisce la Perla Nera, che prosegue: "Mi riferisco alla nostra tournèe del 1967 in Nigeria: le due fazioni si accordarono per un cessate il fuoco di 48 ore per assistere alla nostra partita a Lagos". Pelè non solo cita l'anno sbagliato (la tournèe avvenne come detto nel 1969), ma dimentica (per la terza volta) la partita di Benin, quella effettivamente protagonista di questa leggenda, parlando erroneamente di Lagos, dove il Santos aveva giocato la prima delle due partite in terra nigeriana.<br />
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Si dice che tre indizi fanno una prova. In questo caso gli indizi sono ben più di tre, e vanno tutti nella medesima direzione: tutto lascia pensare che la leggenda del "cessate il fuoco" in piena guerra civile per assistere all'esibizione di Pelè sia sostanzialmente un falso storico. Una storia affascinante, ma appartenente ad una versione distorta della realtà. Una leggenda senz'altro credibile: se c'era, negli anni '60, uno sportivo così influente da poter addirittura fermare una guerra, quello era senz'altro Pelè, tale era affermato il suo status di stella internazionale. La storia è quindi verosimile, ma non vera, ed è comprensibile come nel corso dei decenni il confine tra leggenda e realtà si sia fatto così sottile e labile.<br />
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Un miracolo, però, il pallone lo fece comunque: il "cessate il fuoco", come abbiamo visto, è probabilmente un falso, ma vero fu l'entusiasmo della gente, vera fu la trionfale accoglienza che la Nigeria riservò a Pelè a ai suoi compagni, accompagnati durante la loro permanenza a Lagos e a Benin da una folla festante, una folla in delirio di fronte alla stella più lucente del pallone mondiale, giunta in quella terra come un Messia da un mondo lontano, insieme ai suoi discepoli, per diffondere il suo verbo, per portare un po' di serenità e spensieratezza là, dove da lunghi mesi regnava il terrore, là, dove la morte era compagna quotidiana della vita di tutti. La sanguinosa guerra civile in atto non fermò le migliaia di persone che affollarono gli spalti degli stadi di Lagos e Benin: nemmeno la crudeltà di quel conflitto era riuscita a spegnere la passione per il pallone.<br />
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Anche senza il "cessate il fuoco", la potenza del calcio si era manifestata anche in Nigeria, facendosi spazio tra il sangue e le follie di un'atroce guerra civile.<br />
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Già allora, il calcio non era solo un gioco.<br />
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<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b><br />
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;"><br /></b>
<b style="background-color: #999999; color: #1b1b1b; font-family: "Allerta Stencil"; font-size: 13px;">FONTI</b><br />
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http://www.curiosone.tv/sapevi-guerra-venne-interrotta-per-giorni-perche-i-soldati-potesser-assistere-ad-partita-pele-95886/</div>
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http://africasacountry.com/2015/10/when-pele-played-in-nigeria-during-its-civil-war-did-he-really-bring-a-ceasefire/</div>
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http://www.ilcatenaccio.es/it/2013/10/10/il-santos-pele-piu-forte-della-guerra/<br />
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pel%C3%A9<br />
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https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_in_Nigeria<br />
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<b>FOTOGRAFIE</b><br />
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1 - www.globoesporte.globo.com<br />
2 - en.wikipedia.org<br />
3 - www.nairaland.com<br />
4 - www.africasacountry.com</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-88241573310032851262017-01-07T17:00:00.001+01:002017-01-08T13:15:36.551+01:00Tommaso Vailatti, nessun rimpianto<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-qu8-Dbc3M1g/WHDyjabfkuI/AAAAAAAAA1A/wgrVS5H1S9IthsLPckGlNZu2Un_ZQUQMACLcB/s1600/vailatti1.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="286" src="https://3.bp.blogspot.com/-qu8-Dbc3M1g/WHDyjabfkuI/AAAAAAAAA1A/wgrVS5H1S9IthsLPckGlNZu2Un_ZQUQMACLcB/s320/vailatti1.png" width="320" /></a></div>
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Quel pomeriggio allo stadio Olimpico di Roma. Quel caldo opprimente, infernale, tipicamente agostano, quella maglia intrisa di sudore che ti si incolla alla pelle. Quella partita, la prima della tua vita nel calcio dei grandi, quello che conta, i tuoi primi passi in Serie A. Quel cross che sembra lungo per tutti. Ma non per te, che su quella palla che piove sul secondo palo ti ci fiondi. La colpisci di testa, che non è mai stata la tua specialità, spiazzi il portiere, la rete si gonfia. Velo nero davanti agli occhi, i pensieri sono soffocati dalla gioia, vuoi solo correre, gridare al mondo la tua felicità. Non hai nemmeno vent'anni e hai segnato in Serie A, all'Olimpico, nel giorno del tuo debutto. Corri, corri verso la panchina, cerchi quel compagno a cui sei affezionato, quello che ha sempre creduto in te, quello che te l'aveva detto che eri bravo per davvero. Sei in un sogno, il tuo sogno, pensi "è fatta, sono arrivato, sono un calciatore vero". Però non è così, ti ricordi di quegli allenatori che negli anni ti ricordavano come il difficile non fosse tanto arrivare in alto, quanto riuscire poi a restarci, lassù tra i grandi. E quella gioia incontenibile, settimana dopo settimana, ti sfugge dalle mani, diventa un ricordo giorno dopo giorno sempre più lontano. Pensavi di essere diventato grande, ma ti sbagliavi: ti mancava qualcosa per restare lassù, e lo avresti scoperto con il passare degli anni. Questa è la storia di una gioia effimera, di un talento grezzo che non ha avuto la forza per sbocciare, di un ragazzo che ha conosciuto la gloria e poi si è perso nel labirinto delle sue debolezze: questa è la storia di Tommaso Vailatti.</div>
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<span style="text-align: justify;">Tommaso Vailatti nasce a Venaria Reale, alle porte di Torino, il 2 gennaio del 1986, in una famiglia di etnia sinti piemontese. Papà Natale e mamma Maura, per vivere, fanno i giostrai, ma la passione di Ricky, fin dai suoi primissimi anni di vita, ha la forma sferica di un pallone da calcio. Ricky, sì: nella popolazione sinti, la più popolosa comunità nomade italiana, è usanza attribuire ad ognuno un nome diverso da quello anagrafico. Tommaso, così, diventa per tutti Ricky Vailatti. Ad ogni modo, come abbiamo detto, il sogno di Ricky non è quello di proseguire la tradizione di famiglia: Ricky vuole fare il calciatore, e chi di pallone ne mastica dice che sì, quel ragazzino un po' esile ce la può fare per davvero. E' il 1992, infatti, quando Tommaso Vailatti entra a far parte del settore giovanile del Torino: Ricky indossa la maglia granata, non la toglierà più per 18 lunghi anni.</span><br />
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Fino al 2005 quella di Ricky è una storia perfetta. Tutta la trafila nel settore giovanile, in cui Tommaso si segnala tra i più talentuosi ragazzi di un vivaio, quello granata, che non è più la prodigiosa fucina di campioni di qualche decennio prima, ma che sa ancora sfornare ottimi giocatori. Vailatti è uno di questi: centrocampista esterno ma all'occorrenza anche centrale, fisico non esattamente statuario, ma un'ottima tecnica di base, accompagnata da una notevole potenza nel calcio da lontano e una grande facilità di corsa. Nell'estate del 2004 Ezio Rossi, allenatore della prima squadra che prepara il campionato di Serie B, se ne accorge, aggregandolo con frequenza al gruppo dei "grandi". E Ricky non è lì per caso, non è lì solamente per rimpinguare la rosa della prima squadra in caso di necessità. Ezio Rossi lo vuole con sè perchè il ragazzo è bravo, può tornare decisamente utile alla causa e merita una chance. Quella chance arriva la sera del 19 novembre, quando Rossi consegna a Vailatti una maglia da titolare per la sfida di Coppa Italia contro la Sampdoria: dopo un percorso durato dodici anni, durante il quale Vailatti ha vestito il granata in ogni categoria del settore giovanile, Ricky veste la maglia del Toro, quello vero, quello dei grandi. Se non fosse un po' banale, un po' scontato, verrebbe da chiamarla "favola". Il debutto del ragazzo del vivaio al Delle Alpi dura 70 minuti, poi Ricky lascia posto a Balzaretti, con il risultato fermo sullo 0-0. Nel finale Doni e Kutuzov firmeranno il 2-0 doriano, rendendo amaro l'esordio di Vailatti con la prima squadra granata.</div>
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Nove giorni dopo, il 28 novembre 2004, sempre al Delle Alpi, ecco anche la "prima" in campionato, ma per Vailatti è un altro debutto guastato da una sconfitta: Rossi lo manda in campo nei minuti finali di Torino-Modena, con il risultato fisso sul 3-0 in favore dei canarini, score che resisterà fino al termine. Gradualmente, passo dopo passo, nonostante due debutti non esaltanti, Ricky riesce a farsi spazio, a ritagliarsi un ruolo sempre più importante nella sua squadra del cuore, quella che lo ha visto crescere, che lo ha formato come calciatore ed educato come uomo: Tommaso colleziona 10 presenze, il Torino, attraverso i playoff, conquista il ritorno nella massima serie. E' tutto perfetto, fin qui, è una storia da incorniciare.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-nxJcNE4-a4A/WHDzP0Q2vRI/AAAAAAAAA1E/OeXiLyTAT7ALcBaSfL33VBiRkoKvFTkNQCLcB/s1600/valilatti2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://2.bp.blogspot.com/-nxJcNE4-a4A/WHDzP0Q2vRI/AAAAAAAAA1E/OeXiLyTAT7ALcBaSfL33VBiRkoKvFTkNQCLcB/s1600/valilatti2.jpg" /></a></div>
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Nell'estate del 2005, però, il sogno si trasforma in incubo. Manca una fideiussione bancaria per l'iscrizione alla Serie A, il Torino viene escluso dal campionato, e, peggio ancora, rischia di sparire completamente dalla mappa del calcio italiano. Mentre sta scivolando in fondo al baratro, il Toro viene letteralmente preso per i capelli dal gruppo dei "lodisti" (che prendono il nome dal lodo Petrucci, del quale si servono per prelevare e salvare la società), che acquisisce il titolo sportivo e fonda la Società Civile Campo Torino. Sono giorni caotici, i lodisti hanno preservato il titolo sportivo, ma non possono farsi carico dei costi di gestione di una società di calcio professionistica. Tra i giocatori è fuggi fuggi, tutti i tesserati cercano e trovano altre sistemazioni. Restano solamente in due. Uno è Alberto Fontana, il portiere di riserva, l'altro è lui, Tommaso "Ricky" Vailatti, il ragazzo del vivaio, il ragazzo che dal 1992, ininterrottamente, veste il granata. "Vivevo a Torino, sono torinese fin dalla nascita, sono del Toro, nel Toro ho iniziato a giocare a calcio e sono diventato grande. Era casa mia, non potevo andarmene, ero lì da quando avevo sei anni", dirà Ricky in un'intervista rilasciata qualche anno dopo. Parole d'amore, un amore che se possibile, dalla burrasca dell'estate del 2005, con il Toro che, in extremis, passa tra le mani di Urbano Cairo, esce rafforzato, più solido e forte di prima. Sulle spalle di Tommaso, e su quelle di Fontana, poggia una responsabilità decisamente rilevante: Vailatti, a nemmeno vent'anni, è uno degli anelli cui tocca congiungere passato e futuro. Un passato glorioso, quello del Torino, un futuro carico di speranze, per Vailatti stesso e per tutto il popolo granata, che guarda a Cairo come ad un autentico salvatore della patria.<br />
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L'amore e la fedeltà di Ricky verso i colori granata vengono premiati. La stagione 2005-2006, per il Torino, ha i contorni dell'impresa epica. Una squadra arrivata ad un passo dal baratro del fallimento, ricostruita in sette giorni grazie ad una speciale finestra di mercato aperta ad hoc dalla federazione ad inizio settembre, che centra un obiettivo impensabile, si qualifica per i playoff e poi li vince. La sera dell'11 giugno 2006, al termine della sfida di ritorno contro il Mantova, un doppio confronto mozzafiato che mette in palio la Serie A, la Torino granata può esultare: il Toro, quella squadra che appena nove mesi prima aveva seriamente rischiato di sparire, si è ripreso la Serie A. E' l'ennesima rinascita, ma questa volta la gioia è vera, nessuno può strapparla dalle mani del popolo granata. Nel Toro di De Biasi Vailatti colleziona 13 presenze e trova la gioia del primo gol tra i professionisti (su punizione, all'ultima giornata, contro la Cremonese): per lui, la sera dell'11 giugno ha un sapore particolare, ancor più dolce. Lui, che non ha abbandonato la barca mentre stava per affondare, lui, che in granata ci è rimasto per amore, pur essendo uno dei talenti più promettenti del calcio italiano, quando tutti gli consigliavano di andare, si è preso la sua personale rivincita. Per lui, al triplice fischio della finalissima contro il Mantova, è festa doppia.<br />
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Nell'estate del 2006, mentre il Torino prepara l'esordio in Serie A, Vailatti si prepara, per la prima volta nella sua vita, ad allontanarsi da quei colori che lo hanno cresciuto. La società decide di girarlo in prestito al Vicenza, in Serie B: il ragazzo ha talento, non c'è dubbio, ma serve testare le sue capacità nell'arco di un campionato intero, in una squadra che possa garantirgli continuità. Lo stesso Ricky sa che è giusto così, ma per lui non è facile lasciare Torino e il Torino: veste quei colori dal 1992, da quattordici lunghi anni, vive e respira quella città fin da quando è nato, quella è casa sua. Nell'anno di Vicenza Tommaso mette insieme 20 presenze, senza infamia e senza lode. Non demerita, ma non evidenzia quella crescita che i dirigenti granata avevano auspicato al momento di dirottarlo in prestito in Serie B. Nell'estate del 2007, quando Vailatti ritorna alla base, in quel Torino che nel frattempo ha centrato una sofferta salvezza, l'intenzione granata è quella di concedere al ragazzo un ulteriore anno di apprendistato, sempre in Serie B, sempre in una squadra che possa garantirgli un buon numero di presenze.<br />
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Ha programmi diversi, però, Walter Novellino: al neo allenatore granata Ricky piace, l'idea di dare fiducia a quel ragazzo un po' esile ma dalle qualità indiscutibili lo stuzzica. Novellino, durante il ritiro di Malles, lo osserva, lo studia, lo valuta, e alla fine decide: punterà su di lui, Vailatti, nella stagione 2007-2008, sarà un giocatore del Torino, in Serie A. Ricky tocca il cielo con un dito, la fiducia di Novellino lo carica come una molla, nelle amichevoli di quell'estate è stabilmente tra i migliori, sente di poter fare bene per davvero, anche nella massima serie, nonostante un'annata, quella trascorsa a Vicenza, non proprio esaltante. Un fiducia, quella del tecnico nei confronti del giovane prodotto del vivaio granata, che non si ferma alle parole, ma si traduce in fatti concreti: Vailatti, in quel Toro, non sarà uno dei tanti, non sarà solo un numero a completamento della rosa, bensì un elemento importante, su cui puntare, in cui credere fortemente.<br />
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Si torna così all'incipit di questa storia, a quel pomeriggio di caldo infernale allo stadio Olimpico di Roma. E' il 26 agosto del 2007, si gioca Lazio-Torino, valida per la prima giornata del campionato di Serie A 2007-2008. I granata sono andati in vantaggio con un delizioso pallonetto di Rosina, per poi essere ripresi e superati dai centri di Pandev e Rocchi. Al quarto d'ora della ripresa, tre minuti dopo il raddoppio biancoceleste, Novellino decide che è il momento di cambiare, di tentare di scompaginare le carte, solo così si può sperare di rimettere in piedi quella partita. E il primo uomo a cui Novellino pensa di affidare questa responsabilità è proprio lui, Tommaso Vailatti. "Via la pettorina, tocca a te, Ricky!". E' il minuto 62 di Lazio-Torino, in un pomeriggio di caldo soffocante dell'agosto 2007, a ventuno anni, quel bambino entrato nella famiglia granata nel 1992 fa il suo esordio in Serie A sostituendo Sasa Bjelanovic. Basterebbe questo a rendere indimenticabile quella giornata, ma per Tommaso il destino ha in serbo qualcosa di ancora più incredibile. Al 71' Barone riceve palla sulla destra e va al traversone: le attenzioni della difesa laziale sono tutte per Ventola e Rosina, è su di loro che si concentrano le maglie biancocelesti. Si sono dimenticati che da qualche minuto in campo c'è anche quel ragazzino, quel debuttante granata con tanta fame, con tanta voglia di emergere, con tanta voglia di ripagare la fiducia che l'allenatore ha riposto in lui. Il cross di Barone scavalca tutti: Ventola e Rosina, ma anche De Silvestri, Kolarov, Zauri e Cribari. La sfera plana verso il secondo palo, dove ha tagliato proprio Vailatti. Colpo di testa, non proprio la sua specialità: palla da una parte, Ballotta dall'altra. Lazio 2, Torino 2, ha segnato Tommaso Vailatti, il risultato non cambierà più. Ricky parte in una corsa a perdifiato verso la panchina, il sorriso stampato sul volto, evita tutti i compagni che cercano di fermarlo, di abbracciarlo, di esultare con lui. Ricky vuole abbracciare Jimmy Fontana, prima di tutti gli altri: quell'unico compagno che due anni prima era rimasto con lui, in quel Toro che stava affondando, è con lui che vuole condividere questa gioia pazzesca ed indescrivibile. "Non riuscivo a respirare, non trovavo l'aria, volevo solo correre da Jimmy. Stavo sognando, la sera, quando avrei rivisto il gol alla tv, sarei scoppiato in lacrime" ricorderà Ricky qualche anno dopo.<br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-4akcswgyFvM/WHDz2xG9MjI/AAAAAAAAA1Q/gad_6pyj_V4N2nyo5CylVvqxx2mD-XltACLcB/s1600/vailatti4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-4akcswgyFvM/WHDz2xG9MjI/AAAAAAAAA1Q/gad_6pyj_V4N2nyo5CylVvqxx2mD-XltACLcB/s1600/vailatti4.jpg" /></a></div>
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La sera, in tv, il protagonista è lui, tutti voglio raccontare la sua storia, la storia di un ragazzo che veste il granata fin dall'età di 6 anni, che non lo ha mai abbandonato, nemmeno quando tutti gli altri se la davano a gambe, nemmeno quando abbandonare sarebbe stata la scelta più logica e meno rischiosa, ed ora, con quella stessa maglia, gioca e segna in Serie A. A Ricky, però, la notorietà non interessa. Il mondo gira intorno a lui, come quelle giostre in mezzo alle quali è cresciuto, ma quell'improvvisa attenzione quasi lo intimorisce: "Cosa devo dire? Durerà molto? Parlerò in diretta?" chiede Tommaso prima delle interviste di rito, dopo la partita. Non è la fama ciò che conta, per lui. Contano gli affetti, conta l'attaccamento alla sua maglia, alla sua città, ma soprattutto alla sua famiglia: "La dedica va a mamma e papà e a tutti quelli che mi vogliono bene, e sono tanti" commenta emozionato Ricky davanti alle telecamere. E' a loro che va il primo pensiero, è con loro, e con nessun altro, che il ragazzo diventato grande vuole condividere questo momento di incontenibile emozione. Un amore sconfinato, quello per la sua terra e per i suoi cari, che per Tommaso, come vedremo, diventerà per certi versi un limite. Quella sera, però, non c'è spazio per questi ragionamenti, quella sera Vailatti è una star, tutti, a Torino ma non solo, sono convinti che sul prato dell'Olimpico sia nata una stella. "Avete visto che bravo questo ragazzo? Mi stupisco che Casiraghi non lo abbia mai convocato in Under 21" gongola Novellino, fermamente convinto di avere per le mani un gioiellino, oltre che una personalissima scommessa vinta.<br />
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Ricky è in rampa di lancio, pronto a spiccare il volo verso un futuro da protagonista, nella sua città, con la maglia che ama tatuata sulla pelle. Il destino, quel destino che gli ha regalato un pomeriggio da sogno all'Olimpico di Roma, gli volta però le spalle sette giorni dopo. Lo stadio è sempre l'Olimpico, ma quello di Torino: seconda giornata di campionato, Torino-Reggina, Vailatti subentra a Rosina nel secondo tempo, ma stavolta le cose vanno in una direzione diametralmente opposta rispetto a quanto avvenuto a Roma. Tommaso riporta una seria distorsione al ginocchio, c'è l'interessamento dei legamenti, servono quasi due mesi di stop. Proprio quando sembrava in procinto di spiegare le ali, Ricky deve tornare sulla terra. Ma è il suo momento, vuole sfruttarlo a tutti i costi: Vailatti accelera i tempi di recupero, e il 21 ottobre è di nuovo in campo, nel finale del 2-2 del Toro a Bergamo. Nel 2-0 casalingo al Cagliari, sette giorni dopo, la prima da titolare. Novellino ripone in lui tantissime speranze, non è più una novità: Vailatti, prima della sosta natalizia, raccoglie altre tre presenze con Udinese, Empoli e Roma. Ma dopo un esordio da star, per Vailatti sono tempi duri. Il Torino langue nelle zone basse della classifica, c'è bisogno di concretezza, di garanzie immediate, quelle garanzie che un giovane ai primi passi in Serie A, seppur talentuoso, non può dare. Insomma, il Toro 2007-2008 non può permettersi di aspettare pazientemente la completa maturazione del suo talentino fatto in casa, che, pur essendo bravo, ha bisogno di crescere ancora. A gennaio i granata lo girano al Livorno, diretta concorrente per la salvezza. Per Vailatti è l'inizio di un declino lungo ma costante: lontano da Torino, da casa sua, dalla sua terra e soprattutto dai suoi affetti, Ricky sembra perdere quel talento che lo aveva condotto fin lì, in Serie A, quel talento per il quale tutti lo inseriscono nella cerchia dei giovani più promettenti del nostro calcio. In Toscana sono mesi tristi, anche se in panchina c'è un allenatore che con Ricky condivide il sangue e il cuore granata, Giancarlo Camolese: Vailatti mette insieme la miseria di 4 presenze, solo una da titolare, contro il suo Toro, gli amaranto chiudono all'ultimo posto e retrocedono mestamente in Serie B. Tommaso rientra alla base, nell'estate del 2008, e si ritrova al punto di partenza: nonostante le promettenti premesse, nonostante un esordio, quello contro la Lazio, che lasciava presagire un futuro scintillante, il ragazzo del vivaio del Toro rimane un giocatore incompiuto, ancora alla ricerca della definitiva consacrazione, del definitivo salto di qualità. A 22 anni, Vailatti è di fronte ad un crocevia: diventare grande, oppure rimanere un'eterna promessa.<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-lvDS-Ic-2qs/WHD0O7YIT7I/AAAAAAAAA1Y/T9Agg5lFULoTTf5P6WaPl7t-Ng7L-WQAQCLcB/s1600/vailatti5.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="193" src="https://3.bp.blogspot.com/-lvDS-Ic-2qs/WHD0O7YIT7I/AAAAAAAAA1Y/T9Agg5lFULoTTf5P6WaPl7t-Ng7L-WQAQCLcB/s320/vailatti5.jpeg" width="320" /></a></div>
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Il crocevia si traduce in una scelta: lasciare Torino per farsi le ossa in prestito, ancora una volta, oppure restare e giocarsi le proprie chance in granata? Ricky non ha dubbi. "Questa è casa mia, non me ne vado", dev'essere questo, in linea di massima, il suo pensiero. Ai nastri di partenza della stagione 2008-2009, così, Tommaso è nella rosa del Torino, ancora una volta in Serie A: o la va o la spacca, dev'essere obbligatoriamente, questo, per lui, l'anno dell'esplosione. Ma le cose, purtroppo per lui, prendono una piega profondamente diversa. De Biasi, come si dice in gergo, proprio non lo vede: Tommaso non solo non trova spazio in campo, ma finisce spesso e volentieri in tribuna. Per l'esordio stagionale bisogna attendere il 21 dicembre, quando Ricky subentra a gara in corso nell'1-0 casalingo sul Napoli. Ma è un'apparizione fugace. De Biasi, per il centrocampo granata, ha idee diverse: preferisce i muscoli alla tecnica, l'esperienza alla sfrontatezza giovanile. Dzemaili, Corini, Saumel, Paolo Zanetti, Barone, sono questi, ed altri ancora, i giocatori che ogni domenica chiudono le porte del campo a Vailatti. Ricky, dal canto suo, invece di reagire, si lascia piegare dalle difficoltà. Si deprime, si chiude in sè stesso, inizia ad allenarsi con sempre meno intensità, con sempre meno ferocia, con sempre meno cattiveria: la sua è una vera e propria involuzione, quello che due anni prima era uno dei talenti più intriganti della Serie A ora è un autentico oggetto misterioso. A Torino si vocifera addirittura di accese discussioni, mai confermate, con De Biasi, l'allenatore che di fatto lo tiene ai margini del Toro per l'intera stagione 2008-2009: per Vailatti solo 5 scampoli di gara, il Toro fallisce l'obiettivo e sprofonda in Serie B. Ricky fa in tempo a segnare un altro gol in Serie A, ma è una rete ininfluente, all'ultima giornata, in un Roma-Torino 3-2 che sancisce la retrocessione granata. E' il 31 maggio 2009: quella contro la Roma rimarrà l'ultima presenza di Vailatti in Serie A, curiosamente proprio in quello stadio Olimpico in cui nell'agosto del 2007, meno di due anni prima, Ricky si era rivelato al grande pubblico. Quel pomeriggio del 2007 in cui lui, Ricky, sognava per sè un futuro diverso, un futuro che adesso gli sta irrimediabilmente sfuggendo dalle mani. Nel 2009 , però, Vailatti ha solamente 23 anni, e tutto il tempo per riscattare due stagioni al di sotto delle aspettative.<br />
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Per Tommaso non è ancora il momento di arrendersi. La società vuole inserirlo nella trattativa per Belingheri e cederlo all'Ascoli, ma lui si oppone. Ancora un volta è questa l'antifona: Torino è la sua casa, e lui non se ne vuole andare. La sua fortuna, nell'estate del 2009, ha un nome, un cognome ed un volto, quelli di Stefano Colantuono, che si oppone alla sua cessione e ritaglia per lui un ruolo importante nel centrocampo a tre del Torino che prenderà parte alla Serie B 2009-2010. O almeno, queste sono le impressioni estive: nel pre-campionato Vailatti parte spesso e volentieri nell'undici titolare, ma quando il gioco si fa duro e in palio iniziano ad esserci punti importanti, la musica cambia.<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-exgj31VYsrI/WHD0iNoE0wI/AAAAAAAAA1g/9WIZouJYgHgZ52iRqca81YaV1l81pkciwCLcB/s1600/vailatti6.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://3.bp.blogspot.com/-exgj31VYsrI/WHD0iNoE0wI/AAAAAAAAA1g/9WIZouJYgHgZ52iRqca81YaV1l81pkciwCLcB/s320/vailatti6.jpg" width="320" /></a></div>
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Tommaso ha talento, un talento che nessuno mette in discussione, ma pecca in grinta, determinazione e mordente, fattori imprescindibili per sopravvivere nel calcio professionistico: quando il gioco si fa duro, dicevamo, Ricky sparisce dal campo, rivelandosi troppo "morbido". La tecnica non basta, per destreggiarsi in quella selva oscura che è la Serie B, e sarà proprio questa mancanza a spingerlo poco alla volta fuori dai radar del grande calcio. Uno scampolo di gara contro il Grosseto, alla prima di campionato, poi un tempo contro la Salernitana, il 18 settembre. Vailatti parte titolare, prima di essere sostituito da Zanetti nell'intervallo. Ricky ancora non lo sa, ma quella è la sua ultima presenza ufficiale con il Torino. Allo stadio Arechi si chiude una storia d'amore iniziata nel 1992 e durata quasi 18 anni, una storia d'amore che ha saputo sopravvivere anche ad un fallimento, ma che ora giunge ai titoli di coda.<br />
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Di fatto, Vailatti è fuori dalla rosa di Colantuono, che dopo aver creduto in lui in estate lo ha sostanzialmente scaricato, senza troppe spiegazioni, senza troppi rimpianti. Ma anche se nei fatti il rapporto tra Ricky e il granata è già arrivato al capolinea, il peggio deve ancora venire. Dopo un'ottima partenza, il Toro si spegne, perdendo posizioni e terreno in classifica domenica dopo domenica. Il 30 novembre 2009 il Crotone passa all'Olimpico (2-1), Colantuono viene esonerato, al suo posto arriva Beretta (che a propria volta durerà poche settimane e lascerà posto allo stesso rientrante Colantuono). All'ombra della Mole iniziano a circolare strane voci, si dice che alcuni giocatori granata abbiano scommesso sulla sconfitta contro i calabresi, "vendendo" insomma la partita. Le voci non verranno mai confermate, nessun fascicolo verrà mai aperto, nè tantomeno un'inchiesta formale, ma fanno esplodere le frange più estreme del tifo granata, che già accusavano la squadra di scarso impegno. Il 6 gennaio del 2010 un gruppo di una ventina di ultras fa irruzione nel ristorante "I Cavalieri", sulla collina che sovrasta Torino, dove un gruppo di giocatori sta festeggiando il compleanno di David Di Michele: volano insulti, anche schiaffi, sul Torino esplode una vera e proprio bomba. Dopo l'episodio, nella finestra invernale di mercato, molti dei calciatori aggrediti lasceranno Torino, non prima di aver indetto una conferenza stampa per denunciare l'accaduto. In quel ristorante, la sera del 6 gennaio, Vailatti non c'è, e nella partita incriminata contro il Crotone si trova in tribuna, ma Ricky, durante la conferenza stampa voluta dai giocatori aggrediti, si presenta a fianco ai suoi compagni, per manifestare la sua solidarietà, per prendere le distanze e condannare quanto accaduto.<br />
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E' la pietra tombale sul legame tra Vailatti e l'ambiente Toro, è l'ultimo atto di un rapporto durato quasi vent'anni. Ricky sembra aver perso ogni ambizione, la delusione per la piega presa dalla sua carriera prende il sopravvento: il sogno di diventare un grande calciatore sembra non interessarlo più. Tommaso vuole solo rimanere a casa sua, in quella Torino che lo ha visto nascere e crescere, questo è il suo unico desiderio. Nella finestra invernale di mercato rifiuta ogni proposta di trasferimento: prima dice di no al Locarno, poi a diverse squadre del sud Italia. Non se ne vuole andare, anche se al Torino, per lui, ormai non c'è più posto, anche se pure lui finisce nel mirino delle critiche dei tifosi a causa di allenamenti condotti a ritmi, diciamo così, non proprio forsennati. La seconda parte del campionato di Serie B 2009-2010 Vailatti la trascorre da autentico separato in casa, a giugno il suo contratto scade, non ci sono margini per il rinnovo. Tommaso, così, trascorre malinconicamente da svincolato la sua estate 2010.<br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-JE5W6pcSsoU/WHD08HcL3-I/AAAAAAAAA1o/QbWLgbRKp1Anp8j9oGwFDUyckq2I1-UiwCLcB/s1600/vailatti7.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-JE5W6pcSsoU/WHD08HcL3-I/AAAAAAAAA1o/QbWLgbRKp1Anp8j9oGwFDUyckq2I1-UiwCLcB/s320/vailatti7.jpg" width="295" /></a></div>
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Ma se solamente due anni prima il nome di Vailatti era sul taccuino di diverse big italiane, ora il telefono non squilla, il suo nome, dopo due stagioni deludenti, non fa più gola. Giugno, luglio e agosto passano in fretta, quando la nuova stagione riparte, Vailatti è ancora senza squadra. Poi, il 9 settembre, finalmente, ecco la chiamata della Ternana: per continuare a giocare, Tommaso si rassegna ad allontanarsi da Torino e a scendere fino alla Prima Divisione, l'ex Serie C1. Ma, come gli era successo già nelle precedenti esperienze a Vicenza e Livorno, lontano dalla sua Torino Ricky non si ambienta, non riesce ad esprimersi al meglio delle sue qualità. E' spento, un lontano parente del calciatore che aveva esordito in Serie A infilzando la Lazio all'Olimpico. Gli manca l'aria di casa, gli mancano le persone che ama, ogni allenamento è un peso terribile da sostenere. Solamente 7 presenze, nessun gol, e nell'estate del 2011 si riparte da capo, senza squadra, senza contratto, con la speranza di esplodere e consacrarsi come un calciatore di valore che diventa via via sempre più simile ad un miraggio. Per il 2011-2012 Tommaso si riavvicina a casa, ma scende ancora di categoria firmando per la Valenzana, Seconda Divisione: 11 presenze, 1 gol, un grave infortunio che lo tiene lontano dai campi per lunghi mesi. Nel 2012-2013 l'ultimo tentativo di rimanere aggrappato al mondo dei professionisti: Vailatti firma per il Treviso, ma anche in Veneto non riesce ad emergere ed imporsi, collezionando la miseria di 7 scampoli di gara. Per Ricky è l'ultimo anno da calciatore professionista: a 27 anni Vailatti abbandona il sogno che lo aveva accompagnato in tutti suoi anni granata, quel sogno che pensava di aver realizzato il pomeriggio del 27 agosto 2007. Paga un carattere troppo fragile, quel carattere che non gli ha permesso di sconfiggere le difficoltà, quel carattere che gli ha impedito di spiccare il volo anche lontano dalla Mole, quell'immaginario cordone ombelicale che lo tiene legato alla sua terra e che non è mai riuscito a tagliare.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-kiopVwq1BBo/WHD1KsknIxI/AAAAAAAAA1s/gQM1HSIGfRkHLaq09SpC0B1xvK0aw7JegCLcB/s1600/vailatti8.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-kiopVwq1BBo/WHD1KsknIxI/AAAAAAAAA1s/gQM1HSIGfRkHLaq09SpC0B1xvK0aw7JegCLcB/s320/vailatti8.jpg" width="312" /></a></div>
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Le ultime stagioni vedono Ricky vagare sui campi spelacchiati del dilettantismo piemontese, senza allontanarsi troppo dalla sua Torino: Chieri in Serie D, poi Pavarolo in Promozione, Asti e Lucento nella stessa categoria. L'ultima stagione Vailatti la inizia con la maglia della Santostefanese, Promozione, per poi trasferirsi, a dicembre, al Moretta, cambiando girone ma rimanendo nella medesima categoria. "Gioco per passione. Ho avuto qualche chance di ritornare nel professionismo, in Lega Pro, ma a 30 anni ero stufo di andare in giro per l'Italia, magari senza nemmeno giocare. Preferisco stare a casa mia, giocare e divertirmi" dice Vailatti in un'intervista del 2015: la voglia di sentirsi circondato dai suoi affetti, la necessità di respirare l'aria di casa, per Ricky sono state probabilmente più forti dell'ambizione, della voglia di diventare una stella lucente nel firmamento del pallone italiano, e queste parole ne sono la lampante testimonianza.<br />
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Oggi Ricky si dedica ai più piccoli, lavorando per diverse scuole calcio del torinese, mettendo la sua esperienza al servizio di quei bambini che coltivano il sogno di diventare calciatori: Ricky, forse, in quei bambini rivede sè stesso vent'anni fa, quando anche lui, correndo dietro ad un pallone con la maglia granata, sognando la gioia di giocare e segnare in Serie A.<br />
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Quella gioia Tommaso l'ha provata per davvero, ma è stata una sensazione effimera, sfuggente. Eppure riesce difficile pensare che Vailatti abbia qualche tipo di rimpianto: è rimasto a casa sua, non se n'è andato, e questo, probabilmente, per lui è ciò che conta di più.</div>
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<b>[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b></div>
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<b>FONTI</b></div>
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<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">Wikipedia - https://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_Vailatti</span></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">La Stampa - http://www.lastampa.it/sport/cmsSezioni/quitoro/200708articoli/10305girata.asp</span></div>
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<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">La Gazzetta dello Sport - http://archiviostorico.gazzetta.it/2007/agosto/27/giostraio_gol_favola_Vailatti_ga_10_070827042.shtml?refresh_ce-cp</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">Archivio calcio italiano - http://calcio-seriea.net/</span></span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">Centro Formazione Giovani Calciatori - http://www.cfgc.it/news/dettaglio/new/Tommaso+Ricky+Vailatti,+il+nuovo+istruttore+che+seguir%C3%A0+attaccanti+e+centrocampisti</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><b>IMMAGINI</b></span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">1 - www.sportovest.com</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">2 - www.sucardrom.blogspot.com</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">3 - www.toronews.net</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">4 - www.lastampa.it</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">5 - www.tuttomercatoweb.com</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">6 - www.toronews.net</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">7 - www.sporterni.it</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: x-small;">8 - www.sprintesport.it</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-64877470239411665402017-01-02T23:35:00.001+01:002017-01-03T10:07:41.553+01:00L'ultima lotta di Guido Gratton<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-MxpPQrBUZvw/WGrMxNdVttI/AAAAAAAAA0U/BBI8CIxse58QQN5GSURTcVQTpnTvTHJawCLcB/s1600/fiorentina%2Bguido%2Bgratton.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-MxpPQrBUZvw/WGrMxNdVttI/AAAAAAAAA0U/BBI8CIxse58QQN5GSURTcVQTpnTvTHJawCLcB/s320/fiorentina%2Bguido%2Bgratton.jpg" width="211" /></a></div>
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Centrocampista, fisicamente forte e resistente. Con queste parole, alla voce "caratteristiche tecniche", Wikipedia descrive Guido Gratton. Nome e cognome che agli appassionati di calcio del 2017 dicono poco, in altri casi proprio nulla. Eppure mai come in questo caso gli aggettivi utilizzati dalla più famosa e cliccata enciclopedia online sono perfetti, calzanti nel delineare non soltanto lo stile di gioco, i pregi e i difetti di un calciatore, ma l'indole stessa di un uomo. Sì, perchè Gratton, come pochi altri calciatori hanno fatto nella storia, ha dimostrato di essere un lottatore vero non solamente in campo, ha dimostrato una grinta leonina anche e soprattutto fuori dal rettangolo di gioco. Lo ha fatto suo malgrado: già, perchè probabilmente proprio quella voglia di lottare, di ruggire di fronte alle avversità, gli è costata la vita in una sera di novembre del 1996.</div>
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Nato a Monfalcone, provincia di Gorizia, il 23 settembre 1932, Gratton, in un'Italia che provava a rialzarsi dopo gli stenti del secondo conflitto mondiale, cercò la sua strada inseguendo un pallone. E' il Parma a dargli la prima chance tra i grandi, in Serie C, nella stagione 1949-1950. Poi il giovane Guido si riavvicina alla terra natìa, firmando per il Vicenza: due stagioni in Veneto in Serie B, dal 1950 al 1951, poi la grande occasione, il treno da prendere ad ogni costo, quello che passa una volta nella vita, una volta nella carriera di un calciatore: è la chiamata del Como, il che significa Serie A. Nel 1952 per Guido Gratton si aprono le porte del massimo campionato italiano: 30 presenze, 3 reti, il friulano si segnala come una delle migliori promesse del torneo. A soli 20 anni, Gratton mostra un repertorio da centrocampista completo: grande prestanza fisica, grande corsa, buone qualità tecniche, abilità in entrambe le fasi di gioco. Per salvare il Como dalla retrocessione non basta, ma le doti messe in evidenza da Gratton sono più che sufficienti per garantirgli un futuro tra i grandi.</div>
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Nell'estate del 1953, così, Guido fa ancora le valigie, si va a Firenze, a vestirsi di viola, a giocare al fianco di campioni come Gunnar Gren, un terzo della mitica Gre-No-Li rossonera. A volere fortemente Gratton sulle rive dell'Arno è Fulvio Bernardini, il mitico "Fuffo", un pezzo di storia del calcio italiano, che nel 1953 è l'allenatore della Fiorentina. Per Gratton inizia un periodo da sogno: nella prima stagione in viola conferma quanto di buono fatto intravedere l'anno prima, in riva al Lario, mettendo a segno ben dieci gol, score stratosferico per un centrocampista, e contribuendo al terzo posto finale dei gigliati. Il 13 novembre 1953 arriva anche l'esordio in nazionale, contro l'Egitto, in una gara valida per la qualificazione ai mondiali del 1954 (mondiali per cui Gratton verrà convocato, ma senza scendere mai in campo). Gratton è ormai una certezza del nostro calcio, e dopo l'interlocutoria stagione 1954-1955, in cui la Fiorentina chiude quinta, per i viola e per il centrocampista friulano arriva la soddisfazione del primo scudetto.<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-ed-DTPFh9kM/WGrNmGMIcEI/AAAAAAAAA0c/a8d_vqY5WY8v7WLj2Quv-omI8SH0rzDbwCLcB/s1600/GRATTON.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://3.bp.blogspot.com/-ed-DTPFh9kM/WGrNmGMIcEI/AAAAAAAAA0c/a8d_vqY5WY8v7WLj2Quv-omI8SH0rzDbwCLcB/s1600/GRATTON.jpg" /></a></div>
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E' la Fiorentina dei miracoli, quella che vince il titolo con cinque giornate d'anticipo, quella che chiude con 12 punti di margine sul Milan secondo, un'enormità nell'era dei due punti a vittoria, quella di Julinho, di Montuori, quella che perde una sola gara, l'ultima contro il Genoa, a scudetto ormai ampiamente acquisito. E' la Fiorentina di Gratton, che scende in campo in tutte le 34 gare giocate dai viola mettendo a segno 3 reti, segnalandosi come una delle colonne della compagine campione d'Italia.</div>
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Dopo altre quattro stagioni in Toscana, al termine delle quali totalizzerà 193 presenze e 28 reti in campionato (ma da ricordare c'è anche la cavalcata nella Coppa dei Campioni '56-'57, conclusa con la sconfitta in finale contro lo stellare Real Madrid di Puskas e Di Stefano) diventando una vera e propria bandiera viola, Gratton saluta Firenze nel 1960 trasferendosi a Napoli. Gli anni migliori, però, sono alle spalle: in azzurro il friulano parte bene, poi una serie di infortuni ne pregiudica il rendimento. Nel '61 Guido passa all'Inter, senza lasciare traccia, a novembre dello stesso anno l'ultima tappa della carriera da professionista, alla Lazio, con la quale chiude con 5 presenze e una rete in Serie B. Nell'estate del '62 Gratton fa rientro in Toscana: ultimi calci con i dilettanti dell'Impruneta, centro dell'area metropolitana di Firenze, poi il ritiro. </div>
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Dopo una carriera decisamente prolifica di soddisfazioni, Gratton si trova a fare i conti con una vita senza calcio. E' dura, per chi ha sempre vissuto inseguendo un pallone, è dura per chi è arrivato a toccare la vetta dell'Olimpo, per chi ha vestito l'azzurro dell'Italia per undici volte partecipando anche ad una spedizione mondiale, per chi ha avuto ai propri piedi una città come Firenze, abituarsi ed adattarsi ad una vita "normale". Gratton prova a restare aggrappato al mondo del pallone facendo l'allenatore, ma le sue esperienze alla guida di Salernitana, Foligno e Paganese sono decisamente dimenticabili. Per il friulano iniziano anni duri: Gratton resta solo, la moglie Anna Maria lo lascia, la figlia Paola cerca fortuna in Germania. E poi scelte sbagliate, investimenti finiti male, anche i soldi diventano un problema. Sono lontani i giorni felici, i giorni di gloria in cui Gratton era conosciuto come "Guido il Toro", il guerriero del centrocampo viola, cuore pulsante di una Fiorentina stellare. Guido finisce per vivere in solitudine, in una roulotte, dimenticato da un mondo crudele che lo aveva elevato a idolo, prima di sputarlo nel dimenticatoio.<br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-ADfkAdSQRbM/WGrOGu0mdaI/AAAAAAAAA0g/jJBqB_pM2mE6pWkXwfZS5Qyq8wdO3dIDwCLcB/s1600/Guido_gratton_-_Faas_Wilkes.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="247" src="https://1.bp.blogspot.com/-ADfkAdSQRbM/WGrOGu0mdaI/AAAAAAAAA0g/jJBqB_pM2mE6pWkXwfZS5Qyq8wdO3dIDwCLcB/s320/Guido_gratton_-_Faas_Wilkes.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Gratton insegue Wilkes del Torino, stagione 1952-1953</span></div>
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Poi, in suo soccorso, arriva ancora una volta lo sport. Non il calcio, lo sport a cui aveva dedicato una vita, ma il tennis. Nel 1988 Gratton apre un circolo a Bagno a Ripoli, pochi chilometri a est di Firenze, sulle rive dell'Arno. E' qui, nella sua Club House, che Guido ritrova il sorriso, che "torna a vivere", come lui stesso confessa agli amici. Allenatore federale dal 1975, Guido insegna tennis ai bambini, riprende il filo di una vita che sembrava essergli sfuggita di mano: i giorni di gloria tinti di viola restano lontani, ma ora Guido può guardarsi indietro con un sorriso, senza il sapore amaro del rimpianto e della nostalgia. E' qui, nel prefabbricato dove vive all'interno del circolo, che Guido si trova la sera del 16 novembre del 1996.</div>
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Guido sta preparando la cena che consumerà come ogni sera da solo, nella quiete della sua Club House, quando viene allertato da alcuni strani rumori. Un'altra persona chiamerebbe le forze dell'ordine barricandosi tra le mura di casa. Non Guido. Guido è un lottatore, lo è stato in campo, lo è anche fuori: ha lottato contro le avversità della vita, rialzandosi quando sembrava ormai piegato da un triste destino, non ha paura di qualche rumore sospetto a pochi metri da lui. Prende una torcia, esce, vuole controllare di persona. Là fuori lo attendono almeno due persone, che lo sorprendono rompendogli letteralmente in testa una sedia. Ma, come riveleranno poi le indagini, Guido non molla, tenta di reagire, tenta di difendersi, venendo colpito un'altra volta. Quella grinta che lo contraddistingueva in campo, ai bei tempi, è ancora viva e vegeta in lui. Questa volta, però, gli è fatale. I malviventi, probabilmente sorpresi e infastiditi dalla determinazione di quel sessantaquattrenne che non vuol saperne di arrendersi senza mollare, decidono di infierire. Lo seguono in casa, lo colpiscono alla testa con il manico di una racchetta da tennis, con calci e pugni, poi con la base di marmo di una coppa. Sono convinti di averlo finito, se ne vanno sicuri di aver lasciato senza vita quel "vecchietto terribile".<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-S8Vg0ZRsmxA/WGrSDnXoWnI/AAAAAAAAA0w/XO-T5wXWvagNDE_iiVTzI5CkDOUY1z78wCEw/s1600/Italia-Francia_2-0%252C_Bologna%252C_15_febbraio_1956.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="193" src="https://2.bp.blogspot.com/-S8Vg0ZRsmxA/WGrSDnXoWnI/AAAAAAAAA0w/XO-T5wXWvagNDE_iiVTzI5CkDOUY1z78wCEw/s320/Italia-Francia_2-0%252C_Bologna%252C_15_febbraio_1956.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Giorni felici in maglia azzurra (Gratton è il secondo da destra in piedi)</span></div>
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Ma Gratton, nei suoi giorni da calciatore, era soprannominato "Guido il Toro", e di certo non è un caso. Incredibilmente, dopo un pestaggio di inaudita violenza, il friulano è ancora vivo. Con la forza della disperazione, quella di chi è riuscito a ricostruirsi una vita mattoncino dopo mattoncino e non vuol saperne di mollare, Gratton si trascina fino al bar del circolo, dove c'è un telefono fisso. Vuole chiamare i soccorsi, ma stavolta le energie vengono meno. Guido rimane lì, privo di conoscenza, in una pozza di sangue, sul pavimento del bar del suo circolo. Il giorno dopo è domenica, nessuno si allarma quando vede il circolo rimanere chiuso, in fondo la domenica non ci sono corsi di tennis in programma.<br />
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Quando anche il lunedì le porte del circolo rimangono chiuse, però, gli amici si allarmano e decidono di entrare scavalcando la recinzione. La scena che si para loro davanti è spettrale, da film dell'orrore. Guido è steso al suolo, inerme, il sangue ha sporcato ogni cosa intorno a lui. Eppure respira. Non si sa come, ma grazie a forze pescate chissà dove Guido non è morto. Vuole lottare ancora, non è ancora il momento di mollare la presa lasciandosi sfuggire definitivamente di mano quella vita ricomposta con tanta fatica. Guido viene trasferito in ospedale, dove viene operato al cervello: c'è da ridurre un'ematoma vastissimo, i colpi inferti dai malviventi sono stati violentissimi e il ritardo nei soccorsi non fa che aggravare la situazione. Un individuo normale si sarebbe già arreso, ma Guido lotta ancora, resiste addirittura a tre arresti cardiaci. Ma dopo dieci giorni di strenua lotta per la vita, la mattina del 26 novembre 1996, alle ore 9.45, Guido molla la presa: i medici dichiarano la morte dell'ex centrocampista friulano, fatale il pestaggio subìto la sera del 16 novembre all'interno del suo circolo.<br />
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Complicatissime le indagini: i malviventi hanno avuto due giorni per far perdere le proprie tracce, le piste sono numerose, le certezze pochissime. Inizialmente si pensa ad una rapina finita male, ma i carnefici di Gratton hanno trafugato solo portafogli e cellulare della vittima, lasciando sul posto la televisione, altri oggetti di valore e altro denaro contante. Si fa poi spazio la pista del regolamento di conti: diverse bande criminali sono attive sul territorio fiorentino in quei mesi: che Gratton abbia pestato i piedi alle persone sbagliate? Le indagini, però, non portano alla luce alcuno scheletro nell'armadio dell'ex calciatore viola. L'inaudita violenza lascia pensare alla premeditazione, ma il fatto che Gratton sia stato colpito solo con oggetti trovati sul posto finisce per fare intuire il contrario. Insomma, tanti indizi, altrettante ipotesi, nessuna certezza: a distanza di vent'anni l'omicidio di Guido Gratton rimane insoluto, senza colpevoli, il "Toro" viola resta senza giustizia.<br />
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Una folla oceanica accorre in Santa Croce, a Firenze, per l'ultimo saluto. Amici, tifosi, ex compagni: sono loro, i ragazzi dello scudetto del '56, a sostenere la bara di Guido, ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio terreno. Sarti, Cervato, Chiappella, Montuori, Prini, Orzano: compagni di giorni felici.<br />
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La felicità, Guido, dopo anni bui, aveva saputo ritrovarla, lottando contro un destino che, dopo anni gloriosi, gli aveva riservato delusioni e sofferenze. Quella felicità che uomini ancora senza volto gli hanno strappato via dalle mani in una sera di novembre del 1996. Quella sera in cui Guido ha lottato, come aveva sempre fatto nella vita, sia in campo che fuori, perdendo però l'ultima delle sue battaglie.<br />
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<b>[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata</b><br />
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Foto 1 - www.anotandofutbol.blogspot.it<br />
Foto 2- www.solocalcio.com<br />
Foto 3 - it.wikipedia.org<br />
Foto 4 - it.wikipedia.org<br />
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FONTI<br />
<br />
I grandi gialli del calcio, Dodici misteri intorno al mondo del pallone - <i>Francesco Ceniti</i> - Rcs Mediagroup, 2016<br />
<br />
Wikipedia - it.wikipedia.org/wiki/Guido_gratton<br />
<br />
Archivio "La Repubblica" - ricerca.repubblica.it/ricerca/archivio/repubblica/1996/11/27/gratton-morte-mistero.html</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-64727456390522542382016-12-28T20:32:00.002+01:002016-12-28T20:32:34.356+01:00Vincere non è la sola cosa che conta<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-lkVsXO_Wuuc/WGQRW14YtHI/AAAAAAAAAzw/p4wvZXPbMjko3tJ9qJFuv3QT6NkBoKfmACLcB/s1600/rolly.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://3.bp.blogspot.com/-lkVsXO_Wuuc/WGQRW14YtHI/AAAAAAAAAzw/p4wvZXPbMjko3tJ9qJFuv3QT6NkBoKfmACLcB/s320/rolly.jpg" width="320" /></a></div>
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"Vincere non è importante, è la sola cosa che conta". Parole di Giampiero Boniperti, parole che non ho mai particolarmente apprezzato. Io tifo per il Torino, ma non è per questo motivo che il mio modo di intendere il calcio è lontano anni luce dalla mentalità espressa da quest'aforisma coniato da uno dei simboli della storia bianconera. No, non è per questo che questa frase non mi piace, non mi è mai piaciuta e, probabilmente, mai mi piacerà. Se non riesco a sentire mie queste parole e la filosofia che sta alle loro spalle è perchè riducendo tutto al mero obiettivo finale della vittoria mi sembrerebbe di fare un affronto al calcio, di insultare tutto ciò che mi ha fatto vivere in vent'anni d'amore, a tutte le emozioni che mi ha regalato. E no, le emozioni non sempre collimano con le vittorie. Anzi, se qualcosa riesce a toccare i tasti delle tue emozioni e farli vibrare senza avvalersi del brivido e del gusto di una vittoria, allora quel qualcosa è tremendamente, immensamente potente. No, nel calcio non conta solo la vittoria. Per fortuna non è così, e se devo scegliere una data in cui l'ho imparato, scelgo il 9 giugno 2010.</div>
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<a name='more'></a><div style="text-align: justify;">
La sera del 9 giugno 2010, allo stadio Olimpico di Torino, è in programma la gara d'andata della finale playoff del campionato di Serie B 2009-2010. Si sfidano Torino e Brescia, che in semifinale hanno eliminato rispettivamente Sassuolo e Cittadella. E' una stagione tormentata per il mio Toro: a dicembre, con la squadra che arranca a metà classifica, iniziano a circolare strane voci, sospetti di partite truccate, di un'altra sporca storia di calcioscommesse in cui alcuni giocatori granata sarebbero coinvolti. Il 7 gennaio alcuni di questi giocatori vengono addirittura aggrediti da un gruppo di tifosi in un ristorante torinese. Il Toro è una polveriera, a gennaio, sul mercato, la squadra viene totalmente rivoluzionata: la promozione sembra una chimera, i granata sembrano doversi rassegnare ad un altro anno di Serie B, sarebbe il secondo consecutivo. La squadra costruita da Petrachi dopo il caos invernale, guidata da Colantuono, riesce invece a risalire la china: al fischio finale della giornata numero 42, l'ultima della stagione regolare, il Torino è quinto, qualificato per i playoff.</div>
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Dopo aver eliminato il Sassuolo in semifinale, come detto, la sera del 9 giugno 2010 va in scena il primo atto della finalissima, l'avversario è il Brescia. E' un traguardo che sembrava impensabile fino a pochi mesi prima, a Torino la febbre sale, il clima d'attesa è quello di una finale di Champions League.<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-G8q7Z6jAzjk/WGQRxvSXHmI/AAAAAAAAAz0/YHmDhEXRlIQ7ebTodHAGRjg6JKQQczLAgCLcB/s1600/cola.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="220" src="https://3.bp.blogspot.com/-G8q7Z6jAzjk/WGQRxvSXHmI/AAAAAAAAAz0/YHmDhEXRlIQ7ebTodHAGRjg6JKQQczLAgCLcB/s320/cola.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Stefano Colantuono, il nostro mister, quella sera</span></div>
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All'epoca ho 18 anni, non sono un habituè dello stadio, nè lo diventerò negli anni a venire, ma quella è una serata alla quale è vietato mancare. Anche solo per tributare il giusto ringraziamento a quel manipolo di semisconosciuti che si sono vestiti di granata a gennaio e hanno centrato una rimonta per certi versi clamorosa. Morello, D'Aiello, Scaglia, Statella, Genevier, Garofalo, Pestrin ed altri ancora: onesti mestieranti del pallone, una vita nelle serie inferiori, è a questi uomini che quella sera si affida il popolo granata, è a loro che si chiede di riportare il Toro nella massima serie. Gente che la Serie A non l'ha vista mai, e nella maggior parte dei casi mai la vedrà. Ma non è questo che conta, i playoff se li sono presi loro, con le unghie e con i denti, e la sera del 9 giugno 2010 sono lì a giocarseli. Conta questo, non il curriculum o il palmarès di ognuno di loro.</div>
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Non si può mancare, ad una serata così. Tre amici, quattro biglietti per la curva Primavera, quattro per il treno, tratta Savona-Torino, e nel tardo pomeriggio di mercoledì 9 giugno 2010 si parte alla volta dello stadio Olimpico. E' una serata di inizio estate, ma sembra agosto inoltrato. Caldo torrido, in treno quasi non si respira, e poi c'è l'adrenalina, quell'adrenalina che sale ogni volta che metti piede allo stadio per sostenere la tua squadra. E non conta che sia una finale playoff, una finale dei Mondiali o una semplice amichevole estiva: quell'adrenalina, quella tensione, sono sempre uguali, uniche. Non le ho mai vissute in un posto diverso dallo stadio, quelle sensazioni. Perchè il calcio ti può emozionare anche se sei seduto sul divano, di fronte ad uno schermo, ma se sei là, a pochi metri dal campo e dai tuoi idoli, e senti l'odore dell'erba, e intorno a te vedi volti tesi quanto il tuo, persone arrivate lì tutte per il medesimo motivo, e con la tua voce ti sembra di poter aiutare davvero il tuo terzino a correre un po' più forte, il tuo portiere a volare un po' più in alto, il tuo attaccante a colpire con più potenza...beh, se provi tutte queste sensazioni è proprio un'altra cosa, rispetto a quando te ne stai seduto davanti alla tv. Per questo, quando vado allo stadio, mi piace prendere un biglietto in curva: perchè la curva è un cuore che batte, in curva non si guarda la partita, in curva si gioca la partita insieme agli undici ragazzi in campo. O almeno, è così che mi piace pensarla. </div>
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Poco dopo le 19 scendiamo alla stazione Lingotto, si prosegue a piedi verso lo stadio, venti minuti di cammino e siamo là, sotto la torre Maratona che dà il nome alla curva. Panino, birra, e si entra: siamo impazienti, quel manipolo di ragazzi, nel suo piccolo, quella sera può scrivere la storia, e noi ci saremo. </div>
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Saliamo le scale che portano in curva, il rumore che viene dalla pancia dello stadio fa salire ancora di più quell'adrenalina che mi pervade già da ore. Ci siamo, eccolo, il rettangolo verde, eccoli, i giocatori che stanno ultimando il riscaldamento. Prendiamo posto in curva, siamo pronti anche noi, per cantare, per saltare, per tifare, per fare la nostra parte e giocare la nostra partita.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-TeN58IU94Y0/WGQSjBzrPsI/AAAAAAAAA0A/JeTbmZhWsAUmso2VnBYWkdo1zidi0WIWgCLcB/s1600/curva.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://2.bp.blogspot.com/-TeN58IU94Y0/WGQSjBzrPsI/AAAAAAAAA0A/JeTbmZhWsAUmso2VnBYWkdo1zidi0WIWgCLcB/s320/curva.jpg" width="320" /></a></div>
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Morello; D'Aiello, Loria, Ogbonna; Antonelli, Barusso, Genevier, Rubin; Gasbarroni, Scaglia, Bianchi. Il Toro scende in campo così. Qualche buon giocatore, qualche giovane di prospettiva, tanti calciatori che alle platee del grande calcio non dicono assolutamente nulla: non importa, per me, quella sera, sono undici fuoriclasse. </div>
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Lo stadio è stracolmo e ruggisce accompagnando gli attacchi del Toro. Nel primo tempo si gioca in pratica ad una porta sola: ci provano Bianchi, Loria, Gasbarroni e Barusso, ma l'imprecisione e le parate del portiere bresciano Arcari tengono il risultato inchiodato sullo 0-0. Però io ci credo, e con me gli altri 29 mila cuori granata: giochiamo bene, stiamo spingendo il gol arriverà. Forse serve cantare un po' più forte, farci sentire ancora un po' di più. Ci proviamo, può servire anche questo, per sbloccare una finale dei playoff di Serie B. Nella ripresa il copione non cambia: noi attacchiamo, il Brescia si difende. Eppure restiamo 0-0, quella palla non vuole saperne di entrare. </div>
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Poi, quando siamo ormai nel recupero, dal piede destro di Gasbarroni parte un lancio profondissimo. Il destinatario, al limite dell'area bresciana, è Rachid Arma, attaccante marocchino subentrato dieci minuti prima a Scaglia. In quel campionato ha giocato poco e segnato ancor meno, ma ora può diventare un eroe vero e proprio. Sì, perchè il suo marcatore, Martinez, si fa sorprendere dalla traiettoria del lancio di Gasbarroni, e Arma gli sguscia alle spalle. La palla plana sul destro dell'attaccante marocchino, che controlla e prende la mira verso la porta di Arcari. Diagonale di destro, rete che si gonfia, gol, lo stadio che esplode. Non so dire cosa accada con precisione in quegli istanti: vengo travolto da un mare di persone festanti, la curva, letteralmente, viene giù. Perdo tutti i miei amici, vengo trascinato dalla marea, ubriaco di gioia, non so come, non so perchè, mi ritrovo abbracciato ad un signore anziano, che mi stringe forte e piange di felicità. Non so come si chiami, non l'ho rivisto mai più, so che era un signore sulla sessantina, e stava piangendo come un bambino per un gol della sua squadra in una finale playoff d'andata, quindi nemmeno così decisiva. Eppure mi stringeva ed esultava. "Gol! Abbiamo segnato! Gol!". E che vuoi fare quando uno sconosciuto ti abbraccia piangendo al 90' di un Torino-Brescia in una calda sera di giugno? Lo abbracci anche tu, esulti anche tu, urli e ti emozioni anche tu. E allora lo stringo a me, lo alzo verso il cielo, esultiamo insieme, come fossimo fratelli (o forse padre e figlio, o forse nonno e nipote), anche se non ci eravamo mai visti prima e mai ci saremmo rivisti dopo quella sera. Era un perfetto sconosciuto, ma fu un momento di un'intensità incredibile, di quelli che se non ci sei dentro non puoi capire, di quelli che per davvero ti mettono la pelle d'oca. Non durò che qualche decina di secondi, ma ricordo quel momento con incredibile nitidezza.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-7BoYEgEDTa8/WGQS2DQvojI/AAAAAAAAA0E/upLrpU5-2QY_jvL7cYcKAzkwbcxq1MuCgCLcB/s1600/arma.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://2.bp.blogspot.com/-7BoYEgEDTa8/WGQS2DQvojI/AAAAAAAAA0E/upLrpU5-2QY_jvL7cYcKAzkwbcxq1MuCgCLcB/s320/arma.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Rachid Arma</span></div>
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Poi la marea della curva si placa, lo stadio si ricompone, guardo verso il tabellone dell'Olimpico, deve mancare pochissimo alla fine. "Dài, arbitro, fischia, che è finita!". E invece, sul tabellone il risultato recita così: Torino 0, Brescia 0. "Come 0-0? Com'è possibile? Abbiamo segnato, ha segnato Arma, siamo 1-0 per noi!". E invece è tutto vero, Damato ha visto una trattenuta di Arma su Martinez, che la moviola rivelerà essere decisamente impercettibile e ininfluente, ed ha annullato il gol. Torino-Brescia finisce 0-0, nella sfida di ritorno Arma segnerà per davvero, ma le Rondinelle vinceranno 2-1 prendendosi la Serie A.</div>
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Il primo impatto non fu facile, tornando a casa con i miei amici non riuscivo a darmi pace. "Oltre al danno, la beffa, è sempre così per noi del Toro".</div>
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Poi cambiai idea. Fu questa serata, questa incontenibile esultanza per un gol annullato, abbracciato ad uno sconosciuto, nel cuore della curva del Torino, a portarmi ad una conclusione. Vincere è bello, certo, e mi sarebbe piaciuto che quel gol fosse stato convalidato, che Damato non avesse visto quella trattenuta, che avessimo vinto quella partita e che in Serie A ci fosse andato il Toro. Mi sarebbe piaciuto, sì, sarebbe stato bello. Poi, però, passata la rabbia iniziale, mi accorsi che era stato bello lo stesso. Sì, era stato bellissimo, perchè anche se quel gol, di fatto, non esiste su nessun tabellino e su nessun almanacco, io quell'emozione l'ho vissuta per davvero. Era vera, autentica, impagabile. Non avevamo vinto la partita, non saremmo stati promossi in Serie A, ma mi ero emozionato ed avevo gioito in maniera viscerale, quasi fino alle lacrime. Il fatto che quel gol fosse poi stato annullato non toglieva nulla all'intensità di quei momenti, a quelle sensazioni, a quei brividi che avevo provato. Mi ero sentito parte di un popolo che gioiva e soffriva per la medesima causa, avevo toccato con mano quell'eccezionale capacità che talvolta riesce ad avere il calcio, quella di unire anzichè dividere come troppo spesso accade, avevo provato una gioia genuina e primordiale, anche se breve ed effimera.</div>
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Fu quella sera che me ne convinsi: vincere è bello, ma emozionarsi lo è ancora di più.<br />
E per emozionarsi, non è indispensabile vincere.</div>
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<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 13px;">[A.D.] - liberopallone.blogspot.it - Riproduzione Riservata</span><span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;"> </span><br />
<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;"><br /></span>
<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;">FOTO</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;"><br /></span>
<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;">1 - www.sport.sky.it</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;">2 - www.toronews.net</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;">3 - www.isolafelice-forumcommunity.net</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; color: #1b1b1b; font-family: inherit; font-size: 13px;">4 - www.toronews.net</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-55940654080902477072016-12-13T19:46:00.003+01:002016-12-13T19:46:52.648+01:00Mi manchi, amico Guerin<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-UP9WtXwDDfs/WFA2E9duyTI/AAAAAAAAAzI/ASkt0GHpHrY7uR5l1yJTGQ9TBhUq5BAzQCLcB/s1600/guerino.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-UP9WtXwDDfs/WFA2E9duyTI/AAAAAAAAAzI/ASkt0GHpHrY7uR5l1yJTGQ9TBhUq5BAzQCLcB/s320/guerino.JPG" width="244" /></a></div>
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Avevo un amico, fino a qualche tempo fa. Un amico fedele, di quelli su cui puoi contare sempre. Era un amico di vecchia data, ci conoscemmo che ero un bambino, mi accompagnò durante la mia adolescenza e mi vide diventare un uomo. Era un amico di quelli che ti fanno sentire al sicuro. Sapevo sempre dove trovarlo, quando ne avevo bisogno, e lui sapeva sempre dirmi le parole giuste. Sapeva ciò che mi serviva, sapeva ciò che mi piaceva, e non mi tradiva mai. Poi, un giorno, è scomparso, e di lui non ho più avuto notizie. Ma io lo so, non è stata colpa sua. Io non gli porto rancore, perchè lo hanno rapito, lo hanno preso in ostaggio contro la sua volontà. Non so perchè, non so che cosa vogliano ottenere, queste persone che lo hanno portato via. So solamente che mi manca, mi manca terribilmente, quel mio caro, vecchio amico.<br />
<a name='more'></a>Era l'inverno a cavallo tra il 2000 e il 2001, quando conobbi quel mio amico. Avevo nove anni, mi affacciavo al mondo del calcio con la curiosità tipica di ogni bambino, la passione aveva preso a divampare dentro di me in una sera di giugno, una sera in cui Toldo si mise addosso il mantello di Superman, guardò negli occhi gli olandesi e disse "No, ragazzi, mi spiace, ma in finale ci andiamo noi". E in finale ci erano andati, i miei eroi vestiti d'azzurro. Calcio, calcio e ancora calcio, nella mia testa non c'era molto spazio per altri pensieri che non fossero a forma di pallone. Entrai in edicola in un pomeriggio di spese insieme a mia madre e lo vidi, là, appoggiato sull'espositore insieme ad altre decine di riviste sportive: "Guerin Sportivo". "Che strano nome", pensai. Sulla copertina il titolo recitava "Carlo's Angels". Carlo era Ancelotti, allora allenatore della Juventus, i suoi Angels erano Filippo Inzaghi, David Trezeguet e Darko Kovacevic, attaccanti di quella Juve insieme a Del Piero. E in copertina, insieme a quel titolo, c'erano proprio loro tre. Già tifavo per il Toro, eppure la mia attenzione fu catturata da quella prima pagina. Non mi sono mai spiegato il perchè, anzi, probabilmente non me lo sono mai chiesto: il destino, quando decide di mettersi in moto, quando decide che gli eventi devono prendere una piega anzichè un'altra, non guarda in faccia a nessuno. No, nemmeno alla logica.<br />
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Mentre il Guerin catturava la mia attenzione e mi chiamava a sè, io catturai quella di mia madre e riuscii ad essere abbastanza convincente da farmelo acquistare. Pensavo di comprare una rivista, avevo trovato un amico.<br />
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Non lo avrei abbandonato più, il Guerin, allora settimanale, poi trasformatosi in mensile. Divenne un appuntamento fisso, la fonte primaria dal quale traevo la nutrizione per la mia fame di calcio. Non mi bastava Novantesimo Minuto, non mi bastavano i programmi tv che già pullulavano su ogni rete, mi serviva di più, per placare il mio appetito. Tutto ciò che non trovavo in televisione, me lo dava il Guerin, puntualmente, prima ogni settimana, poi ogni mese. Non lo leggevo, lo divoravo. Gli approfondimenti, le interviste, il calcio estero: tra quelle pagine trovavo tutto ciò che desideravo, e anche di più, tutto ciò che la televisione non sapeva e non poteva darmi.<br />
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Entrai a far parte della famiglia dei "guerinetti" durante la direzione Zazzaroni, rimasi fedele nel passaggio ad Andrea Aloi, non lo abbandonai con Matteo Marani e con il doloroso passaggio da settimanale a mensile. Mi accompagnò in ogni fase della mia vita: quando dovevo rilassarmi dopo la scuola, quando dovevo distrarmi per le prime delusioni amorose, quando in generale avevo bisogno di staccare, lui era sempre là. Bastava prendere in mano il Guerin, cominciare a sfogliarlo, e si veniva catapultati in un mondo fantastico, un mondo realizzato e firmato da alcune delle più brillanti penne del giornalismo sportivo italiano. Era un amico, sì, non era solamente una rivista. E' anche e soprattutto grazie al Guerin, ai suoi direttori e alle sue inimitabili firme, se mi sono avvicinato ad un certo modo di vedere e vivere il calcio: non come passione irrazionale tramite la quale sfogare istinti e frustrazioni una volta a settimana, ma come vero e proprio amore, come dedizione ad uno sport che ha segnato, piaccia o no, la storia del nostro paese, intrecciandosi e integrandosi con la stessa. "Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio": lo ha detto Mourinho, e se oggi anch'io so che non c'è frase più vera di questa devo dire grazie al Guerin Sportivo, che ha scandito con il suo appuntamento fisso in edicola i miei ultimi sedici anni di vita.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-rMLQ56WSna4/WFA_R56M0oI/AAAAAAAAAzY/-k2_dwmiI9k-kZcICo9i9F8owr9-0mxnwCLcB/s1600/marani.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://2.bp.blogspot.com/-rMLQ56WSna4/WFA_R56M0oI/AAAAAAAAAzY/-k2_dwmiI9k-kZcICo9i9F8owr9-0mxnwCLcB/s320/marani.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Matteo Marani, da gennaio ex direttore</span></div>
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Mentre intorno a lui il mondo del calcio e il tifoso medio italiano degeneravano entrando in una vorticosa discesa verso il nulla culturale, quella discesa che ci avrebbe portati all'adorazione dei "bomber" e all'ignoranza assurta a valore positivo, il Guerin rimase fedele a sè stesso. Contenuti di qualità altissima, inchieste, servizi mai banali: si trovò a dover far la guerra ad internet e ne uscì più forte. Nonostante il passaggio a mensile e la concorrenza del web, il Guerin, sotto la gestione Marani, era diventato un vero e proprio capolavoro.<br />
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Di tanto in tanto prendevo in mano i quotidiani sportivi, quelli principali, quelli che dovrebbero rappresentare l'èlite del nostro giornalismo sportivo: scoop di mercato o presunti tali, gossip, chiacchiericcio da bar. "Per fortuna mi resta il Guerin. - mi dicevo - Il Guerin non cambierà mai". Ero convinto che mi sarebbe rimasto fedele, quel mio vecchio amico, così come io lo sarei rimasto a lui.<br />
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Poi è arrivato il febbraio del 2016. Vado in edicola, prendo il Guerin come ogni mese, torno a casa, inizio a sfogliare e trovo il saluto del direttore Marani. Dal numero successivo ci sarebbe stato un cambio al timone: Alessandro Vocalelli sarebbe stato il suo successore, il nuovo direttore del Guerin Sportivo. Fin sa subito la notizia mi lasciò perplesso: Marani aveva costruito un capolavoro, non sarebbe stato facile raccogliere il suo testimone.<br />
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"Cambiano i giocatori, restano le maglie, è questo l'importante", dice Marani nel suo ultimo saluto ai lettori. Gli do fiducia, mi fido, quelle parole mi rassicurano: cambiava la guida, ma il Guerin, come sempre, sarebbe rimasto uguale e fedele a sè stesso e ai suoi adepti. Ma mi sbagliavo, mi sbagliavo di grosso. Le cose, dopo l'addio di Marani, sarebbero andate molto peggio di quanto temevo allora.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-OOj8x53nOv8/WFA_wGvGOJI/AAAAAAAAAzc/-sriSHB_8IwJlKzsDVrULXzox665WhXywCLcB/s1600/vocalelli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-OOj8x53nOv8/WFA_wGvGOJI/AAAAAAAAAzc/-sriSHB_8IwJlKzsDVrULXzox665WhXywCLcB/s320/vocalelli.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Alessandro Vocalelli, carnefice del Guerin</span></div>
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Il primo numero della gestione Vocalelli è interlocutorio, molto simile a quelli a cui ero abituato. Lo sfacelo inizia dal Guerin successivo, quello di aprile. In prima pagina un richiamo ai servizi interni mi allarma: "Melissa Satta si racconta". Come? Un'intervista a Melissa Satta? Sul Guerin Sportivo, sul mio amato Guerin? Mi stropiccio gli occhi, sperando di aver letto male. E invece è tutto vero. Nei mesi successivi in questa "interessantissima" rubrica viene data voce rispettivamente a Claudia Gerini, Alessia Ventura, Caterina Balivo, e altre ancora. Sul Guerin Sportivo. Lo riscrivo, per convincermi ancora che sì, è tutto vero. Là dove ogni mese trovavo approfondimenti e storie affascinanti sul mio amato pallone, ora c'è spazio per interviste a vallette, soubrette e attrici varie. Ora, lungi da me essere tacciato di sessismo, ma permettetemelo, io sul Guerin voglio leggere di calcio, punto e basta. E non è detto che il calcio me lo debba per forza raccontare un uomo, anzi, ci sono donne, anche in televisione, che masticano calcio più di tanti "opinionisti" (ma che vorrà dire, poi...) uomini. Un nome? Katia Serra. Ma se mi intervisti Melissa Satta e quell'intervista me la sbatti sul Guerin, bè, io non ci sto. Non ci sto a vedere infangate in questo modo pagine che hanno ospitate le penne più prestigiose del nostro giornalismo sportivo, penne che hanno combattuto per tenere viva una certa cultura sportiva nel degrado italiano.<br />
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Vado avanti, però, non voglio tradire il Guerin. E' mio amico da sedici anni, non ci separeremo ora.<br />
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Ma nei mesi la situazione non fa che peggiorare. Servizi di qualità sempre più scadente, approfondimenti che non approfondiscono, sempre più spazio al gossip, alle chiacchiere da calciomercato, le inchieste quasi spariscono per fare spazio a poster, gigantografie a tutta pagina del campione del momento e una grafica decisamente discutibile, più consona a Novella 2000 che ad un periodico di cultura sportiva. Il Guerin diventa di mese in mese più povero, si adegua alla massa, tradisce sè stesso, tradisce me e altre migliaia di fedeli guerinetti. Continuo a presentarmi all'appuntamento mensile, ma soffro, soffro a vedere un amico ridotto in quello stato. Quelle pagine che mi emozionavano e mi arricchivano, ora non mi danno nulla di più rispetto a quanto potrei trovare tra le pagine di una Gazzetta dello Sport, o di un Tuttosport, oppure nei servizi di un qualsiasi rotocalco calcistico televisivo.<br />
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Ci sono le eccezioni, firme straordinarie che si battono indomitamente per tenere alta la qualità del prodotto, ma la caduta è ormai irreversibile.<br />
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Mese di novembre. Basta, non ce la faccio più. Così non posso andare avanti.<br />
Dopo sedici anni, non mi presento all'appuntamento col Guerin Sportivo. Non lo riconosco più. Ma io il Guerin non l'ho tradito: no, perchè quello che ora esce ogni mese nelle edicole non è il mio Guerin, non è quell'amico che ho amato, quell'amico fedele che mi ha preso per mano accompagnandomi nel meraviglioso pianeta pallone, raccontandomi storie straordinarie e scortandomi tra le pieghe di questo mondo. Del Guerin è tornata la vecchia testata, ma dentro quelle pagine oggi c'è qualcosa di diverso, molto più simile ad una qualunque rivista di gossip, piuttosto che a quella Bibbia del calcio che ha cresciuto me e altre intere generazioni di ragazzi.<br />
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Ed ora, desolatamente orfano di quell'immancabile e rassicurante appuntamento mensile, solo una cosa mi resta da dire: mi manchi, amico mio.<br />
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<span style="background-color: #cccccc; font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif; font-size: 13px;">[A.D.] - liberopallone.blogspot.it - Riproduzione Riservata</span><span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;"> </span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;"><br /></span>
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">FOTO</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;"><br /></span>
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">1 - blog.guerinsportivo.it</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">2 - www.zimbio.com</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">3 - www.primaonline.it</span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-63097637520754795722016-12-06T20:14:00.001+01:002016-12-06T21:39:16.114+01:00Sauro Tomà: morire dentro<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-Kj9eheuC6Ic/WEcJAZINCZI/AAAAAAAAAxg/GzK_3lnP53gY9X__WttXy5gsEOUhfdJ-ACLcB/s1600/tom%25C3%25A01.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="212" src="https://1.bp.blogspot.com/-Kj9eheuC6Ic/WEcJAZINCZI/AAAAAAAAAxg/GzK_3lnP53gY9X__WttXy5gsEOUhfdJ-ACLcB/s320/tom%25C3%25A01.jpg" width="320" /></a></div>
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La tragedia aerea che ha coinvolto i giocatori della Chapecoense ha riportato alla memoria di tutti gli appassionati di calcio italiani la più tristemente celebre tra le disgrazie del nostro pallone, quella del Grande Torino, di quella leggendaria epopea di una squadra straordinaria spentasi al crepuscolo del 4 maggio 1949, schiantatasi sul terrapieno sottostante la basilica di Superga di ritorno da un'amichevole con il Benfica a Lisbona. Tutti morti, i 18 giocatori del Torino a bordo dell'apparecchio Fiat G.212 della compagnia Ali. C'è anche, però, chi quel pomeriggio del 1949 morì dentro, pur rimanendo fisicamente in vita. E' Sauro Tomà, terzino di quel Grande Torino che non era partito per l'amichevole di Lisbona a causa di un infortunio al ginocchio. Un infortunio che l'allora giovane Sauro aveva maledetto, un infortunio che gli salvò la vita.<br />
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<a name='more'></a>Sauro nasce a Rebocco, frazione di La Spezia, il 4 dicembre del 1925. E' con la casacca bianconera del Rapallo Ruentes, società ligure oggi militante nel campionato di Eccellenza, che muove i primi passi da calciatore. Lungo e secco, Sauro se la cava decisamente bene tra i pali: già, il calciatore che sarebbe diventato il terzino di una delle più forti formazioni della storia del calcio ha dato i primi calci al pallone giocando in porta. Solo qualche anno dopo, quasi per caso, Sauro sfila i guanti andando incontro alla prima delle "sliding doors" della sua vita calcistica.<br />
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Avviene nel 1940, quando un dirigente dello Spezia, tal Sergio Persia, lo nota durante una partitella tra amici e decide di invitarlo ad una delle selezioni per ragazzi abitualmente organizzate dalla società spezzina. Sauro, giunto sul posto del "provino", lo stadio "Picco", si ritrova con tanti altri portieri. Troppi, per lui. Troppa concorrenza, impossibile farsi notare: Sauro decide così di sostenere la selezione nel ruolo di interno. "Provino" superato, Tomà diventa ufficialmente un giocatore dello Spezia. Dopo la trafila nelle giovanili, dopo i prestiti a Rapallo, Entella, Borgotaro e Vogherese, dopo una sanguinosa guerra che sembra spezzare i sogni di gloria di milioni di ragazzi, una guerra durante la quale Sauro viene impiegato presso il Regio Arsenale di La Spezia, la stagione 1946-1947 è quella della definitiva esplosione: gli spezzini si piazzano al terzo posto nel girone A della Serie B, Tomà rientra alla base ed è un punto fermo della squadra, al punto che su di lui, nell'estate del '47, si posano gli occhi di diverse big della Serie A. Si interessano a lui la Juventus, il Genoa, ma soprattutto il Torino del presidentissimo Ferruccio Novo. E nel calciomercato italiano dell'immediato dopoguerra, quando Novo vuole un giocatore, difficilmente se lo lascia sfuggire: per avere Tomà, Novo scomoda direttamente il tecnico Egri Erbstein, inviato a La Spezia per trattare il trasferimento del giovane spezzino in granata.<br />
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Anche se, per la verità, il passaggio di Tomà al Torino è decisamente travagliato: ad un certo punto i granata, che per avere il terzino devono cedere agli spezzini una contropartita formata da ben cinque giocatori, ci ripensano. Il prezzo da pagare, in termini di giocatori, per avere Tomà, viene ritenuto troppo caro. Novo prova anche a giocare sporco, tirando in ballo presunti problemi polmonari di Tomà e bloccando di fatto il trasferimento. Sauro, però, sta benissimo, è furioso per quest'intoppo: è convinto di essere sano come un pesce e, come si dice, sente puzza di bruciato. Si affida al dottor Tartagli, primario all'ospedale dei La Spezia, per una visita privata. Le analisi danno l'esito sperato: Sauro sta bene, non ci sono motivi per dubitare della sua idoneità all'attività sportiva. E infatti alla fine l'affare si fa, con annesse scuse di Ferruccio Novo in persona. Sauro Tomà entra ufficialmente a far parte del Grande Torino.<br />
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-6Mv6HGaJOUI/WEcKQivALCI/AAAAAAAAAxo/sZQP2FQ00isKYdL0NBf2yV1z5VjQj0ArACLcB/s1600/tom%25C3%25A02.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="119" src="https://4.bp.blogspot.com/-6Mv6HGaJOUI/WEcKQivALCI/AAAAAAAAAxo/sZQP2FQ00isKYdL0NBf2yV1z5VjQj0ArACLcB/s320/tom%25C3%25A02.jpg" width="320" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Un allenamento del Grande Torino nel '49. In fondo s'intravede Tomà.</span></div>
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Tomà entra nell'universo granata in punta di piedi, quasi con timore reverenziale, con soggezione nei confronti di quei campioni di cui poche settimane prima leggeva le imprese sulle pagine dei giornali e che ora sono i suoi compagni di squadra, ma i continui problemi muscolari che affliggono Virgilio Maroso, terzino titolare del Grande Torino e autentico monumento nel ruolo, il più giovane, ma anche il più fragile tra gli "Invincibili", gli offrono diverse chance per mettersi in mostra. Alle noie fisiche di Maroso si aggiungono poi le bizze di Rigamonti, che di tanto in tanto, senza avvisare, balza in sella alla sua moto e se ne va in giro per l'Italia: lo fa in quell'estate del '47, in cui così Erbstein e il Grande Torino iniziano la preparazione senza il loro stopper migliore. Sauro sa giocarsi bene le sue carte: le sue prestazioni, a partire dai primi allenamenti al Filadelfia e dalla tourneè spagnola nell'estate del '47, sono di ottimo livello.<br />
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Tomà dimostra di essere pienamente all'altezza di un contesto come quello del Grande Toro, il mitico "Carlin", sulle pagine di Tuttosport, tesse le lodi di quel terzino grintoso, elegente e tatticamente disciplinato. Sauro, che fino a pochi anni prima non era che un ragazzino sognante nelle giovanili dello Spezia, sogna ad occhi aperti.<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-2guegGHpMD4/WEcKzR7NzGI/AAAAAAAAAxs/3l6kiGPvBBMGzBlZiDNpO6Uh1-3_pgDAACLcB/s1600/tom%25C3%25A03.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://2.bp.blogspot.com/-2guegGHpMD4/WEcKzR7NzGI/AAAAAAAAAxs/3l6kiGPvBBMGzBlZiDNpO6Uh1-3_pgDAACLcB/s1600/tom%25C3%25A03.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Una squalifica di Rigamonti apre a Tomà le porte del Grande Toro</span></div>
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Per il debutto ufficiale, però, bisogna attendere: nell'ultima giornata del campionato di Serie B 1946-1947, con lo Spezia, Sauro è stato espulso, ed è quindi squalificato per la prima giornata del torneo di massima serie 1947-1948 (Torino-Napoli 4-0). La giornata giusta sembra essere la seconda: Rigamonti, rientrato a Torino poco prima dell'inizio del campionato, è decisamente fuori forma, Erbstein è intenzionato a mandare in campo Tomà nella trasferta di Bari. Il tecnico, però, non ha fatto i conti con Novo: il presidentissimo interviene: "Il titolare è Rigamonti, gioca lui, il ragazzino avrà tempo per dimostrare quel che vale". Debutto rimandato, A Bari per il Toro è una giornataccia: i pugliesi vincono 1-0, Rigamonti, palesemente fuori forma, viene espulso. Il 28 settembre del 1947, al Filadelfia, Sauro può così finalmente fare il suo esordio ufficiale in granata. E che esordio: il Toro ritorna Grande Toro e schianta la Lucchese, battuta 6-0 dalle reti di Loik (doppietta), Mazzola, Gabetto, Ballarin e Castigliano. Sette giorni dopo Mazzola e compagni annientano anche la Roma all'Olimpico (1-7 il finale): Tomà non gioca, ma ormai lo spezzino è per Erbstein un titolare a tutti gli effetti.<br />
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Arrivato da riserva, Tomà si ritaglia uno spazio importante: nel campionato 1947-1948 mette insieme ben 24 presenze, un dato assolutamente rilevante in una squadra, il Grande Torino, che vanta fuoriclasse di levatura mondiale in ogni ruolo. La stagione 1947-1948, per i granata, è quella dei record: quarto scudetto consecutivo, 125 reti fatte, 16 punti di vantaggio sulla seconda in classifica, un'enormità nell'era dei due punti a vittoria, risultati leggendari come il 10-0 all'Alessandria. Primati ad oggi ancora imbattuti, primati nel quale Tomà ha dato un contributo importantissimo, dimostrandosi all'altezza di sostituire un campione assoluto come Maroso. A 23 anni, Sauro tocca il cielo con un dito. Anche la tourneè brasiliana dell'estate del '48, deludente dal punto di vista dei risultati, è un successo di pubblico e popolarità: folle oceaniche accolgono la comitiva granata, la fama del Grande Torino ha ormai varcato l'Atlantico, i calciatori campioni d'Italia, Tomà compreso, sono vere e proprie star.<br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-ktnu3QsDLPc/WEcMfy7O1xI/AAAAAAAAAx0/ObFAB6ASTPMAeS3QezphjfLazSjdn62KgCLcB/s1600/tom%25C3%25A04.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-ktnu3QsDLPc/WEcMfy7O1xI/AAAAAAAAAx0/ObFAB6ASTPMAeS3QezphjfLazSjdn62KgCLcB/s1600/tom%25C3%25A04.jpg" /></a></div>
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Per Tomà, però, quelli sono gli ultimi assaggi di gloria. Durante la prima giornata del campionato 1948-1949, contro la Pro Patria (vittoria granata per 4-1), Sauro, cercando di evitare lo scontro con il suo portiere Bacigalupo, salta: ricadendo, il ginocchio sinistro cede. Un dolore lancinante: i cambi ancora non sono ammessi, Tomà rimane in campo, ma relegato all'ala sinistra, come si usava allora, senza poter essere utile ai compagni. Ma Sauro non si arrende: sta vivendo un sogno, e non vuole svegliarsi. Il dolore al ginocchio lo accompagna anche nella settimana successiva, ma lui stringe i denti e scende regolarmente in campo a Bergamo: il Torino perde 3-2, per Tomà sarà l'ultima partita ufficiale giocata con gli "Invincibili". Il ginocchio continua a dare problemi e cede definitivamente durante l'allenamento del martedì successivo. Il pallone finisce sulle gradinate del Filadelfia, Sauro corre a recuperarlo: le scarpe bullonate scivolano sul cemento, tutto il peso del corpo ricade sul quel ginocchio già debole. Un ginocchio che si gonfia a vista d'occhio e assume dimensioni preoccupanti. Il giorno dopo le visite presso l'ospedale delle Molinette non riescono a fare chiarezza sull'entità del problema. Si parla di rottura del menisco, ma non ci sono conferme. Una sola cosa sembra inevitabile: il Torino dovrà fare a meno di Tomà per un bel po'. Lui, Sauro, maledice un destino che in quel momento sembra infame, un destino che rischia di spezzare il suo sogno diventato realtà, quello di giocare nel Grande Torino. Non sa che sarà proprio quel destino, materializzatosi in un ginocchio gonfio come un melone, a salvargli la vita.<br />
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Tomà rimane a guardare per l'intera stagione 1948-1949, il Torino, pur senza strabiliare come nell'annata precedente, si avvia a vincere il suo quinto scudetto consecutivo, uno scudetto cui lo spezzino contribuirà solo in minima parte, con le due presenze messe insieme ad inizio campionato, prima dell'infortunio. Il 30 aprile i granata escono indenni da San Siro (0-0 contro l'Inter) ipotecando il tricolore: è il lasciapassare che capitan Valentino ha concordato con Ferruccio Novo per disputare un'amichevole a Lisbona contro il Benfica, la gara d'addio del capitano delle Aquile Ferreira, grande amico di Mazzola. Nel frattempo, Tomà continua a dannarsi l'anima per rimettere in sesto un ginocchio che, più di sei mesi dopo l'infortunio, rimane al punto di partenza: ad ogni minimo sforzo, l'articolazione si gonfia. Diversi specialisti visitano lo spezzino senza riuscire a cavare dal buco il proverbiale ragno. A pochi giorni dalla partenza per Lisbona, l'ultimo consulto, insieme a Maroso, nello studio del professor Camera, presidente degli ortopedici torinesi: per Virgilio c'è il via libera, Tomà, invece, deve sottoporsi ad un complesso programma riabilitativo per rinforzare il ginocchio, ormai quasi atrofizzato dopo mesi di quasi totale immobilità. E' quel giorno che il fato compie la sua scelta, è questa la porta girevole: da un lato la vita, dall'altro la morte. Maroso partirà con i compagni per Lisbona e non farà più ritorno, Tomà rimarrà a Torino. Quel maledetto problema al ginocchio gli salva la vita.<br />
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Il 30 aprile del 1949 Tomà va a San Siro per assistere alla partita dei compagni. Non è un rito abituale, Sauro non segue quasi mai la squadra in trasferta, ma quel giorno qualcosa lo porta a Milano: forse è il destino che ha già preso la sua decisione e concede a Sauro un ultimo saluto ai compagni, a quegli amici che diventeranno leggenda pochi giorni dopo sulla collina di Superga.<br />
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In una primavera stranamente piovosa, in un pomeriggio scuro come la notte, una Torino in allerta alluvione, il 4 maggio del '49, perde diciotto calciatori che avevano dato alla città un barlume di gioia e speranza dopo le tremende sofferenze della guerra. Quel pomeriggio Tomà lo passa al Filadelfia, prosegue nel suo percorso riabilitativo, si allena per tornare quel giocatore che aveva meritato un posto tra gli "Invincibili". Non sa che gli "Invincibili" non ci sono più. Torna a casa dopo l'allenamento e trova la moglie Giovanna in lacrime: "Sauro, l'aereo che tornava da Lisbona...lassù a Superga...sono tutti morti, Sauro". Non vuole crederci, non può essere vero, rimane impietrito, come anestetizzato.<br />
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Vuole sapere la verità, Sauro. Sale lassù, sulla collina che sorveglia Torino e i torinesi. E' tutto vero: corpi carbonizzati, l'aereo ridotto ad un relitto, decine e decine di persone in lacrime. Il Grande Torino non c'è più, i suoi amici non ci sono più. Una parte di Sauro muore, lì, ai piedi della basilica di Superga, in quel tetro pomeriggio del '49: la morte si impossessa di una parte di lui che non tornerà più. Quell'infortunio al ginocchio gli ha salvato la vita, ma la morte sarà una sua compagna di viaggio per il resto dei suoi giorni.<br />
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<div style="text-align: center;">
<i>"Ero vivo, non ero partito. Ma puoi essere vivo quando porti la morte nel cuore?"</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i><span style="font-size: x-small;">Sauro Tomà - Me Grand Turin</span></i></div>
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Tomà rimane al Torino, è da lui che Ferruccio Novo vuole far partire la ricostruzione. Ma il Grande Torino è una squadra irripetibile e non tornerà. Lui, Sauro, non è più il giocatore che aveva saputo guadagnarsi un posto fisso tra i fuoriclasse granata: non si tratta di un problema fisico, anche se gli infortuni continuano a tormentarlo. E' un dolore che gli tormenta l'anima da quel 4 maggio '49, è un mostro che si è preso una parte del suo cuore portandogli via tanti, troppi amici, compreso quel Valentino Mazzola che per lui era diventato un fratello, portandogli via quel sogno nel quale si era ritrovato a vivere. Tomà non tornerà mai più quello splendido terzino capace di non far rimpiangere Maroso. Giocherà nel Torino altri due anni, totalizzando altre 51 presenze, poi se ne andrà, nell'estate del '51. Brescia, Carrarese e Bari le ultime tappe della sua carriera, prima di appendere le scarpe al chiodo nel 1955. Ma Tomà, il vero Tomà, era morto a Superga in quel maledetto pomeriggio del '49. Pur restando fisicamente in vita, la sua carriera calcistica e in qualche modo anche una parte importante della sua vita finirono lì, tra le macerie di quel tragico incidente. Sauro, infatti, decide di non tornare più a casa, a La Spezia: a fine carriera si stabilisce a Torino, a pochi metri dal Filadelfia, dove vive tutt'oggi. Come per sentirsi più vicino ai suoi amici, come per vivere ancora dentro di sè quegli anni meravigliosi in cui era il terzino titolare della squadra più forte del mondo.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-11idMZXfE-E/WEcNSeqQAgI/AAAAAAAAAx4/a8yEMeU9cLMNODCjtoVbg59QrKm37u7FgCLcB/s1600/tom%25C3%25A05.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="211" src="https://2.bp.blogspot.com/-11idMZXfE-E/WEcNSeqQAgI/AAAAAAAAAx4/a8yEMeU9cLMNODCjtoVbg59QrKm37u7FgCLcB/s320/tom%25C3%25A05.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-small;">Sauro Tomà oggi, a 91 anni</span></div>
<br />
<div style="text-align: center;">
<i>"La mia vita è stata un rincorrere il Toro. Forse anche la leggenda. Adesso abito a pochi metri dal Filadelfia.</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>...</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>Raccontare e ricordare. E ancora raccontare. E' il destino dei sopravvissuti"</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i><span style="font-size: x-small;">Sauro Tomà - Me Grand Turin</span></i></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
Il destino di Sauro Tomà: si può morire dentro, anche continuando a vivere.<br />
<br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 13px;">[A.D.] - liberopallone.blogspot.it - Riproduzione Riservata</span><span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;"> </span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;"><br /></span>
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">FONTI</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;"><br /></span>
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">Me Grand Turin, Sauro Tomà, Graphot Editore</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;"><br /></span>
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">FOTO</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">1 - www.purple66.blogspot.it</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">2- www.tifotoro.forumfree.it</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">3, 4 - it.wikipedia.org</span><br />
<span style="background-color: #cccccc; font-family: inherit; font-size: 13px;">5 - www.toronews.net</span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-45707495425829038772016-11-23T19:27:00.000+01:002016-11-23T19:33:50.861+01:00"La stanza dei sogni" - Innamorarsi del calcio inglese<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-pGMBUEwm3l8/WDBA5qy9JYI/AAAAAAAAAv4/m8ORzu30QXEJ0O0ZkpTWRldu9g9qU_Y1ACLcB/s1600/lastanzadeisogni1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="218" src="https://3.bp.blogspot.com/-pGMBUEwm3l8/WDBA5qy9JYI/AAAAAAAAAv4/m8ORzu30QXEJ0O0ZkpTWRldu9g9qU_Y1ACLcB/s320/lastanzadeisogni1.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;">Robilante, piccolo centro della valle
Vermenagna, alle porte di Cuneo, e Newham, quartiere dell'est di Londra. Due realtà
all'apparenza diametralmente opposte, con poco o nulla in comune. E'
proprio a Newham, però, che nel 1895 viene fondato il West Ham,
squadra di calcio che oggi milita in Premier League. A Robilante, centinaia di chilometri
più a sud, è attivo da qualche anno un gruppo di appassionati
tifosi proprio del West Ham, membri di un sodalizio chiamato “Station
936”. Tra di loro c'è anche Giampiero <span class="il">Vola</span>, che poco più di due
anni fa ha deciso di mettere per scritto ciò che il West Ham, e il
calcio in generale, hanno rappresentato per lui fin da quando era
bambino. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: inherit;">Ne è venuto fuori un libro, “La Stanza dei Sogni”, scritto appunto negli ultimi due anni e pubblicato da Urbone Publishing. <i>“In questo racconto, come
mi piace chiamarlo, ripercorro un viaggio iniziato negli anni
Settanta, da quando il Guerin Sportivo, giornale che ho comprato
puntualmente ogni settimana per trent'anni, mi ha fatto innamorare
del calcio, di quello inglese in particolare”</i> commenta <span class="il">Vola</span>. Nel
libro pillole di calcio inglese si intrecciano con le esperienze di
vita dell'autore, con la musica, compagna fondamentale che si lega ai
ricordi di ognuno di noi: Vola ripercorre la sua passione fin dalle sue origini: l'avvicinamento al mondo del calcio, l'incontro folgorante col football inglese, l'avventura della "Station 936". Nelle pagine del libro ci si immerge in un viaggio che tocca tappe fondamentali del pallone, inglese ma non solo, degli ultimi quarant'anni: i Mondiali del '74 e del '78, le tragedie degli anni
Ottanta (Heysel e Hillsborough su tutte), le favole del West Ham e
del Nottingham Forest, e tanti altri “assaggi” di pallone visti dagli occhi dello scrittore. </span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-cyVfhc2xeeE/WDBByVwR5JI/AAAAAAAAAv8/P-_F8h2bEnASKQozAb2GTzJQ8RgHcU3lwCLcB/s1600/lastanzadeisogni2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="204" src="https://1.bp.blogspot.com/-cyVfhc2xeeE/WDBByVwR5JI/AAAAAAAAAv8/P-_F8h2bEnASKQozAb2GTzJQ8RgHcU3lwCLcB/s320/lastanzadeisogni2.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit; font-size: x-small;">Giampiero Vola durante la presentazione del suo libro</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;">Un libro, "La stanza dei sogni" che si apre con una vera e
propria “chicca”, la prefazione di Roberto Gotta, giornalista di
Sky Sport e prestigiosa penna proprio di quel Guerin Sportivo tanto
caro a <span class="il">Vola</span>. Un lavoro, quello di Vola, dedicato a chiunque
ami il calcio, a chiunque ne abbia fatto una parte importante della
propria vita, a tutti coloro che al pallone legano ricordi
importanti. <i>“L'idea di scrivere un libro è nata un po' per gioco,
ma sono felice del lavoro che ne è venuto fuori</i> – commenta <span class="il">Vola</span> –
<i>Devo ringraziare in primis i miei amici che mi hanno sostenuto,
Nicolò Franchi, prezioso nelle ricerche sul periodo degli hooligans,
mia sorella Nadia per i disegni che arricchiscono le pagine, mia
figlia Eleonora che mi ha aiutato nelle correzioni, e infine Roberto
Gotta, che mi ha fatto un regalo enorme scrivendo la prefazione”</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Le pagine di "La stanza dei sogni" trasudano passione e sconfinato amore per il calcio, per quello inglese in particolare. Passione e amore nelle quali ogni "calciofilo" potrà immedesimarsi e rivedersi. Perchè ogni appassionato di calcio che si rispetti ha legato a questo sport momenti importanti della propria vita, e con il pallone ha scandito i propri anni: per questo non è difficile trovare passaggi nei quali rispecchiarsi, sfogliando le pagine de "La stanza dei sogni", un libro che parla sì di calcio, ma che soprattutto parla di emozioni.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-PJjZT55-pgw/WDXhBqRdy8I/AAAAAAAAAxM/eBHIu7yqoeY7TMgcdTglLvLOfR7zKXCugCLcB/s1600/librovola.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-PJjZT55-pgw/WDXhBqRdy8I/AAAAAAAAAxM/eBHIu7yqoeY7TMgcdTglLvLOfR7zKXCugCLcB/s320/librovola.jpg" width="180" /></a></div>
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;">Il libro, del costo di 12 euro, è disponibile sul sito della casa
editrice, la Urbone Publishing, specializzata in letteratura
sportiva, oppure su Amazon. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="background-color: #cccccc; font-family: "arial" , "tahoma" , "helvetica" , "freesans" , sans-serif; font-size: 13px;">[A.D.] - liberopallone.blogspot.it - Riproduzione Riservata</span><span style="font-family: inherit;"> </span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/11371597496100273783noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4202415218045846269.post-18799196928774877332016-11-23T18:40:00.000+01:002016-11-23T18:40:45.895+01:00Innamorarsi di Ronaldinho in tre mosse<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-O_MtDuQ3z08/WDXRltxP1aI/AAAAAAAAAw0/B0deJ5SOBToeQWDu2zrv8ZvrhftvxFgLgCLcB/s1600/dinho.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://2.bp.blogspot.com/-O_MtDuQ3z08/WDXRltxP1aI/AAAAAAAAAw0/B0deJ5SOBToeQWDu2zrv8ZvrhftvxFgLgCLcB/s320/dinho.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
La corsa indiavolata e del tutto priva di logica di Gennaro Gattuso al minuto 119 della finale di Champions League del 2003, Milan-Juventus all'Old Trafford di Manchester. Se mi chiedessero di descrivere che cos'è secondo me il calcio servendomi di una sola immagine, sceglierei questa. Due ore di gioco in cui nessuna delle due squadre è riuscita a prevalere, ventun giocatori stremati attendono solo la fine dei supplementari per giocarsi la coppa ai rigori. Il ventiduesimo è Gennaro Gattuso, che ancora non si rassegna, e pressa, pressa come un tarantolato, in solitaria, sul giro palla dei bianconeri. Calzettoni abbassati, corpo ingobbito dalla fatica, gambe che iniziano a mulinare pescando energie da chissà dove. Per me, un'immagine emozionante, sintesi di volontà, grinta, determinazione. Per me il calcio è questo, spingersi oltre i propri limiti attraverso la fatica, nonostante la fatica, anche se il Signore non ti ha dato doti eccezionali, se non un cuore grande così. Da quest'introduzione potrete intuire qual è il genere di calciatore a cui più facilmente mi appassiono: ho sempre amato i gregari, i mastini, i "medianacci". Ma ogni regola ha un'eccezione, e la mia eccezione si chiama Ronaldo de Assis Moreira, nato a Porto Alegre il 21 marzo 1980.<br />
<br />
<a name='more'></a>Non ho mai amato i giocolieri, quei giocatori che all'arrosto preferiscono il fumo, con il numero da circo, spesso e volentieri meramente fine a sè stesso, sempre in canna. Mi piace vedere colpi di tacco o doppi passi, ma solo se funzionali nell'ottica di un'azione di squadra: mi piacciono i giocatori che badano alla sostanza, insomma, mi piacciono quei giocatori che non si perdono in inutili orpelli utili solamente a deliziare gli esteti e suscitare qualche "Oooooh!" di meraviglia. I ragazzi della mia generazione ricorderanno bene Fifa Street, videogioco uscito verso la metà dello scorso decennio in cui per totalizzare punti servivano colpi di tacco, finte, controfinte e giochetti assortiti. Inutile dire che non me lo presi mai, quel gioco. Quei calciatori lì, a dirla tutta, mi sono sempre stati un po' antipatici. Tutti, tranne uno. Ce n'era uno che non riuscivo a non amare, nonostante nei numeri da circo e affini fosse assolutamente il migliore. Anzi, forse proprio per questo motivo me ne innamorai. Parlo di Ronaldinho, ad oggi l'unico calciatore del suo genere capace di rapire il mio cuore di malato di pallone. Perchè Dinho giocava per deliziare la platea, certo, ma i suoi colpi non erano mai fini a sè stessi: in campo si divertiva a provare ogni genere di virtuosismo tecnico, ma non lo faceva per irridere gli avversari. Se puntava l'uomo provava spesso l'elastico, ma lo faceva perchè per lui era il metodo più efficace per saltare il diretto avversario e creare un pericolo. E sempre per creare pericoli agli avversari e servire cioccolatini ai compagni si esibiva in colpi di tacco, passaggi no-look e tutto quanto fosse nel suo repertorio. E insomma, ben poche giocate non rientravano nel suo repertorio. Una volta, ricevendo un lancio lungo sulla sinistra, si girò improvvisamente dando le spalle al pallone e facendoselo rimbalzare sulla schiena: non era un clamoroso errore, no. Dinho aveva visto un compagno inserirsi all'interno, e la sua schiena funzionò da sponda. La palla arrivò esattamente tra i piedi di quel compagno, Tra il 2004 e il 2006, semplicemente, Ronaldinho faceva un altro sport.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-kyGe2sDBpTI/WDXR8wxpAlI/AAAAAAAAAw4/Mh65b10AgtIKfvWQdwC2BI5zWgxLt5LhgCLcB/s1600/ballondor.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="299" src="https://3.bp.blogspot.com/-kyGe2sDBpTI/WDXR8wxpAlI/AAAAAAAAAw4/Mh65b10AgtIKfvWQdwC2BI5zWgxLt5LhgCLcB/s320/ballondor.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
Ma quello con Ronaldinho, per me, non fu un colpo di fulmine. Fu un innamoramento graduale, arrivato passo dopo passo. Posso individuare tre fasi, tre fotografie, tre momenti che fecero scoppiare la mia passione per quel fantastico brasiliano con i dentoni.<br />
<br />
Il primo approccio è datato 3 novembre 2004. Al Camp Nou si gioca Barcellona-Milan, fase a gironi della Champions League 2004-2005. Una finale anticipata, si affrontano due corazzate, due squadroni veri e propri, più che una partita di calcio è una parata di stelle. Una di queste, Andriy Shevchenko, porta in vantaggio i rossoneri al 17', ma Samuel Eto'o, venti minuti dopo, batte Dida e trova il pareggio. La partita prosegue poi sui binari della parità fino alle battute finali. Ronaldinho si nasconde, la sua sembra una serata grigia, non riesce mai ad accendersi, non riesce mai a trovare la giocata giusta: Dinho non si diverte. Fino all'89'. Mentre Eto'o arretra a farsi dare palla a metà campo, Ronaldinho è stretto nella morsa tra Nesta e Kaladze, i due centrali del Milan. L' unico modo per cercare respiro è arretrare di qualche metro. Dinho lo fa, Eto'o lo vede e lo serve. Quando il 10 blaugrana stoppa quella palla è stretto in una tenaglia terribile: Nesta esce su di lui, Gattuso sta accorrendo in suo aiuto, mentre al limite dell'area Maldini, Cafu e Kaladze si stanno stringendo per intervenire in seconda battuta. Divincolarsi e trovare un varco in un muro come questo sarebbe difficile per il 99% dei calciatori esistenti. Ronaldinho, però, fa parte del restante 1%. Nesta si aspetta che il brasiliano cerchi il tiro col destro, ma credere che Ronaldinho possa fare qualcosa di prevedibile è un errore da non commettere. Succede tutto in pochissimi istanti: stop a orientarsi verso la porta, tocco con l'esterno a portarsi la sfera verso destra, a mettere in trappola Nesta. Poi, in una frazione di secondo, la palla sparisce, per ricomparire qualche metro più a sinistra. Dinho ha scelto il mancino, quando Nesta se ne accorge il brasiliano sta già scaricando la bomba verso la porta di Dida: nemmeno lui, che è uno dei migliori difensori al mondo, ha il tempo per reagire. Botta secca, quasi terrificante, col piede che teoricamente è quello "debole": palla sotto l'incrocio, 2-1 Barcellona. E i miei occhi incollati alla tv, a vedere e rivedere quel replay. "Ma come ha fatto a liberarsi di Nesta? Già lo amo".<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-Cx--BjoJl6U/WDXBsQ8I6PI/AAAAAAAAAwQ/Qwr4Bj9L7Zc2tQxuRim2Rw4P-075MfpyQCLcB/s1600/RONALDINHO%2BMARCANDO%2B%2528MILAN%2B2%2BNOVIEMBRE%2B2004%2BUCL%2529.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="211" src="https://4.bp.blogspot.com/-Cx--BjoJl6U/WDXBsQ8I6PI/AAAAAAAAAwQ/Qwr4Bj9L7Zc2tQxuRim2Rw4P-075MfpyQCLcB/s320/RONALDINHO%2BMARCANDO%2B%2528MILAN%2B2%2BNOVIEMBRE%2B2004%2BUCL%2529.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: x-small;">Ronaldinho riappare alle spalle di Nesta e batte Dida</span><span style="font-size: xx-small;"> [3]</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: x-small;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
Qualche mese più tardi, ecco l'atto secondo di questa storia d'amore tra il sottoscritto e Ronaldo de Assis Moreira. La sera è quella dell'8 marzo 2005, altra notte europea, lo scenario quello dello Stamford Bridge di Londra. Nell'andata degli ottavi di finale di Champions League il Barcellona ha battuto 2-1 il Chelsea, ma la qualificazione è ancora apertissima. Quella che va in scena nella tana dei Blues è una partita pazzesca, ancora oggi la ricordo come una delle più belle a cui abbia mai assistito: ritmi indiavolati, una battaglia senza esclusione di colpi, continui capovolgimenti di fronte, gol, colpi di classe. Già all'8' Gudjohnsen raccoglie l'invito di Kezman e porta avanti il Chelsea, poi al 17' Frank Lampard firma il 2-0 ribadendo in rete la respinta di Valdès sulla conclusione di Joe Cole. Passano altri due minuti e arriva il terzo schiaffo: contropiede Blues, Damien Duff fa centro, Chelsea 3 Barcellona 0. Per i blaugrana sembra finita, ma i blaugrana hanno Ronaldinho, e se hai Ronaldinho non è mai finita, soprattutto nel 2005. Al 27' Dinho accorcia le distanze trasformando un calcio di rigore concesso da Collina per fallo di mano di Paulo Ferreira, ma è dieci minuti dopo che il brasiliano illumina la notte londinese e si prende un ulteriore pezzetto del mio cuore. C'è un lancio lungo, Ricardo Carvalho respinge di testa, la palla finisce tra i piedi di Iniesta, che non è ancora l'Illusionista ma già se la cava. Andrès addomestica il pallone e lo porge a Dinho: chi può inventare qualcosa per riaprire definitivamente la partita, se non lui? Il 10 brasiliano guarda la porta, pochi metri fuori dall'area, ma di fronte a lui c'è una muraglia umana: Carvalho, Terry, Ferreira, Gallas, Gudjohnsen in ripiegamento, più Lampard che rinviene alle sue spalle. Sei contro uno. Emblema di quanto i giocatori del Chelsea temessero Ronaldinho, simbolo di cosa significasse giocare contro Ronaldinho tra il 2004 e il 2006. Lui, Dinho, ci pensa un attimo. Finta di calciare una volta, finta un'altra volta, poi realizza che non c'è spazio per coordinarsi per il tiro. Nè, tantomeno, c'è tempo. Serve agire in fretta, Lampard, alle sue spalle, sta per piombargli addosso. E se non hai spazio e tempo, c'è un solo modo per colpire il pallone: di punta. Nessuno si aspetta che un giocatore dotato della sua tecnica possa tirare di punta in un ottavo di Champions League. Chi tira di punta, almeno secondo quella che è la mia decennale esperienza al campetto dell'oratorio, viene solitamente additato come quello scarso, quello che non è abbastanza dotato per calciare di collo o di piatto. Ma Ronaldinho, dopo una specie di balletto fatto da un paio di finte che letteralmente paralizzano i difensori, calcia di punta, in un ottavo di finale di Champions League. Cech nemmeno si tuffa, forse nemmeno lui crede a quello che ha visto: quando realizza, la palla ha già gonfiato la rete alle sue spalle. Ronaldinho ha superato il muro Blues con una giocata che tanti avrebbero potuto mettere in pratica, ma che solo lui avrebbe potuto pensare in quella situazione e in quel contesto. Terry, segnando il 4-2 al 76', regalerà la qualificazione al Chelsea, ma l'eliminazione del Barcellona, almeno per quanto mi riguarda, non tolse valore al capolavoro che quella sera mi regalò Ronaldo de Assis Moreira. Io, amante dei medianacci tutto cuore, ero stato rapito dal balletto di un brasiliano, che mi aveva fatto innamorare con finte e controfinte, in una sera di marzo del 2005, su un prato verde di Londra. </div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-8DsqUSMnnPE/WDXJtSqSzoI/AAAAAAAAAwg/XPyug8s_4RYX5GbGCV8rE3b7NzZmbruVgCLcB/s1600/ronaldinho-chelsea-goal-2005-PA-2286059.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://3.bp.blogspot.com/-8DsqUSMnnPE/WDXJtSqSzoI/AAAAAAAAAwg/XPyug8s_4RYX5GbGCV8rE3b7NzZmbruVgCLcB/s320/ronaldinho-chelsea-goal-2005-PA-2286059.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: x-small;">Gabbia intorno a Dinho. Non basterà. [4]</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
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Ed eccoci al terzo atto, quello finale, quello che sancì definitivamente il mio amore sconfinato e incondizionato per Ronaldinho. Non è una notte europea, ma la sfida è ugualmente di quelle scintillanti. Sabato 19 novembre 2005, al Santiago Bernabeu di Madrid va in scena il Clasico, Real-Barcellona, che non è mai una partita normale. Quella sera Dinho scrive una pagina indelebile non solo della storia dell'eterna rivalità tra merengues e catalani, ma in assoluto nella storia del calcio. Eto'o porta in vantaggio il Barcellona, ma sono solo i titoli di testa di uno show che in qualche modo aprirà un'epoca, un'epopea, quella del grande Barça, tutt'ora in corso: il Ronaldinho-show, sul palco più prestigioso del mondo, quello del Bernabeu. E' il 60' quando Dinho riceve palla sulla linea di metà campo, defilato a sinistra, e inizia la sua meravigliosa recita. Lui e il pallone sembrano un'unica entità: quando Ronaldinho avanza con la palla al piede la sua corsa sembra più completa, quella sfera sembra essere un'appendice del suo corpo. Dinho corre veloce, Sergio Ramos tenta di fermarlo, entra in scivolata, ma il brasiliano se lo beve con una facilità che per il difensore spagnolo è quasi umiliante. Tocca poi a Helguera, che prova ad accompagnare Ronaldinho verso l'esterno. Niente da fare, Dinho ha la porta nel mirino: finta a sbilanciare il difensore madridista e cambio di direzione secco verso l'interno. Poi, come sempre, il colpo che non ti aspetti: Ronaldinho chiude il destro mirando il primo palo, quando sarebbe naturale aprire il piattone sul secondo. Anche Casillas l'aveva pensata così, e infatti, con il corpo completamente sbilanciato a sinistra, non può far altro che osservare la palla entrare. Real 0 Barcellona 2. Al 77' il bis, con Ronaldinho che riceve ancora palla sulla sinistra, questa volta qualche metro più avanti, e innesta le marce alte correndo verso la porta. Ancora una volta Ramos prova ad affrontarlo, ma Dinho nemmeno lo vede: due motori diversi, due velocità diverse, il brasiliano va ai mille all'ora. C'è Guti che prova una rincorsa, ma si ferma dopo pochi metri: lo ha capito anche lui, Ronaldinho è imprendibile, inarrestabile, quella sera. Ingresso in area, piattone destro sul secondo palo, questa volta sì, Real 0 Barcellona 3. Emblematica l'inquadratura di Casillas che la regìa spagnola manda in onda mentre il Barcellona esulta: sul volto del portiere del Real non ci sono nè rabbia nè nervosismo. C'è solo rassegnazione: Ronaldinho è troppo veloce, troppo forte, troppo imprevedibile per essere fermato. Non c'è modo per neutralizzare quel giocatore che tra il 2004 e il 2006 gioca un altro sport. Lo capisce anche il pubblico del Bernabeu, che si alza in piedi e batte le mani per il numero 10 del Barcellona: i tifosi madridisti tributano una vera standing ovation al giocatore che li ha appena mandati al tappeto, giocatore che veste la maglia dei rivali storici. Un onore riservato solamente a pochi, pochissimi eletti, da parte di uno stadio che, se si parla di fuoriclasse, ha senz'altro il palato fine. E forse è questa la più grande impresa della carriera di Ronaldinho: non un gol, non un assist, non un dribbling ben riuscito, ma la standing ovation del Bernabeu in quella sera di novembre del 2005.</div>
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-kdWgnOKtbEU/WDXQ3jlvWqI/AAAAAAAAAww/4GFK81X99HAk7qKxlQnsuP-bCyT0FEZCwCLcB/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://2.bp.blogspot.com/-kdWgnOKtbEU/WDXQ3jlvWqI/AAAAAAAAAww/4GFK81X99HAk7qKxlQnsuP-bCyT0FEZCwCLcB/s1600/download.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;">Casillas allunga la mano, ma sa già che non ci potrà arrivare. [5]</span></div>
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Così, con queste tre mosse, tra il 2004 e il 2005, Ronaldinho fece innamorare uno che ha come idolo Gennaro Ivan Gattuso.</div>
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<span style="background-color: #cccccc; font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif; font-size: 13px;">[A.D.] - liberopallone.blogspot.it - Riproduzione Riservata</span></div>
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<span style="background-color: #cccccc; font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif; font-size: 13px;">Foto</span></div>
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